L’etica, prima che regole, promuove atteggiamenti favorevoli alla vita

salvifici_dolorisRTM Rivista teologica morale n.148 ottobre-dicembre 2005

Luigi Lorenzetti

QUALITÀ E SACRALITÀ DELLA VITA: CATEGORIE ALTERNATIVE?

Dare senso alla vita implica inevitabilmente dare senso alla sofferenza, alla morte e, in generale, alla vita biologicamente e/o psichicamente imperfetta. Sono dimensioni della condizione umana alquanto rimosse dal pensiero filosofico e anche teologico, in ambiente laico ma anche religioso.

Basta considerare la scarsa rilevanza che ha ottenuto, rispetto ad altri interventi magisteriali, l’enciclica Salvifici doloris (1984) sul Significato cristiano del dolore umano.Di fronte alla vita sofferente, l’affermazione che la vita è un bene, un diritto e un dovere diventa problematica. È significativo lo spazio che ottiene la teoria della qualità della vita nella riflessione filosofica e medica degli anni ’50 in collegamento al progresso della biomedicina e del movimento ecologista.

Il concetto qualità della vita è senza alcun dubbio positivo e impegnativo, diviene ambiguo e deviante, quando conduce a valutare la vita umana in base a determinati parametri;1 quando finisce con il discriminare tra vita e vita; quando arriva addirittura a negare lo status di persona ad alcune categorie di esseri umani (2).

L’obiezione alla teoria della qualità della vita (e ai suoi sostenitori) è immediata: in base a chi e a quale diritto si può stabilire che un vita umana è (non è) degna di essere vissuta? Quale misura può stabilire che una vita abbia migliore qualità di un’altra? Quali quesi-ti legittimano o, viceversa, delegittimano il diritto alla vita? In base a quale criterio si limita il concetto di dignità e, quindi, di accettabilità della vita umana soltanto a quella qualitativamente significativa?

Le risposte sono inevitabilmente opinabili e, quindi, inconcludenti. Ma v’è un’altra osservazione. Il discorso della qualità della vita «conduce a distinguere tra la qualità e le qualità. Una cosa, infatti, è dissertare tra gli elementi qualitativi di una corporeità vivente (e questo è oggettivamente possibile), tutt’altro è valutare il globale senso qualitativo di un’esistenza, attribuendovi (questa volta del tutto soggettivamente) un giudizio di valore» (3).

In conclusione, il criterio qualità, quando viene lasciato nell’indeterminatezza e ancora peggio quando viene estremizzato, si traduce semplicemente in ideologia, arroganza e prepotenza del perfetto (biologico) sul cosiddetto imperfetto.

Non è esente da critica nemmeno il principio opposto: la sacralità (o santità) della vita qualora anch’esso venga estremizzato fino a confondersi con vitalismo biologico. La vita umana è meglio salvaguardata dalla reciprocità – anche dialettica – dei due principi, dove l’uno rinvia, corregge e si lascia interpretare nell’orizzonte dell’altro.

Così, il principio qualità della vita evita il rischio dell’arbitrarietà soggettiva e relativista; e il principio santità della vita non incorre in quello del dogmatismo e fondamentalismo, come se la visione teologica della vita, dono di Dio, comporti un atteggiamento passivo di fronte al vivere e al morire. In breve, tra qualità e santità della vita occorre verificare, cioè rendere vero, un rapporto sia pure dialettico (4). Soltanto nel coordinamento della duplice prospettiva, è possibile fondare un’autentica etica della vita.

ETICA DI ATTEGGIAMENTI, PRIMA CHE DI REGOLE

L’etica della vita, prima che regole morali da osservare, incoraggia e promuove atteggiamenti favorevoli alla vita. Regole morali e giuridiche sono necessarie ma non bastano, possono fare ben poco, anzi saranno avvertite come imposizioni arbitrarie e dispotiche se nel soggetto non c’è un atteggiamento positivo corrispondente: rispetto, compassione, autolimitazione (5).

Si tratta di atteggiamenti largamente condivisi dalla coscienza collettiva anche se diversamente interpretati e, proprio per questo, sono luogo di dialogo e di confronto tra la cultura laica e religiosa. Tali atteggiamenti non offrono la soluzione concreta ai diversi problemi morali, offrono, però, la giusta prospettiva entro la quale si può trovarla.

Il rispetto

II rispetto (etimologicamente re-spectare, guardare di nuovo), è un modo specifico di accostarsi alla realtà che si manifesta, a un tempo, in termini di vicinanza e distanza. È un guardare l’altro, gli altri (umani ed extraumani) per il loro valore specifico e non per la loro utilità verso terzi. La persona rispettosa non rivolge a sé, quale unico centro, quanto la ricorda e non si trova in difficoltà nel riconoscere precisi limiti nel rapporto con gli altri. Il rispetto è capace di rapportarsi all’altro senza doverne prendere possesso.

La persona consumistica, al contrario, tende a sfruttare ogni realtà che rientra nel suo orizzonte, a servirsene per il proprio tornaconto, a rivendicare i propri diritti e a calpestare quelli di altri, specie se deboli e quindi facilmente dominabili sena correre seri pericoli.

L’atteggiamento o disposizione rispetto della vita, non è alternativo alla faticosa ricerca del giudizio morale concreto ai controversi problemi relativi alla vita e alla morte, alla nascita e alla fase terminale, alla salute e alla malattia; e ai diversi interventi sulla vita umana ed extraumana. Tale atteggiamento, tuttavia, ma offre l’orizzonte giusto entro cui tale giudizio si può formulare. Che significa rispetto della vita nei laboratori degli scienziati, che fanno esperimenti sui primi stadi della vita di embrioni umani?

Che cosa esige il rispetto della persona del malato e del moribondo nei reparti di medicina intensiva dei nostri ospedali? E, a proposito della protezione della vita nelle sue forme non umane, quali cambiamenti esige il rispetto della vita degli animali per quanto riguarda il diritto  e i limiti degli esperimenti medici su di essi e il nostro dovere dio allevarli tenendo conto delle loro esperienze specifiche?

Che cosa comporta il rispetto delle forme fenomeniche della vita presenti nel nostro ambiente naturale, della molteplicità delle specie vegetali e animali? Che cosa comportano i divieti di inquinare l’aria e l’acqua e il dovere di salvaguardare i tesori fossili della nostra terra?

La compassione

Il concetto compassione ottiene largo consenso, sebbene vada incontro a diverse e opposte interpretazioni che riflettono le diverse antropologie di riferimento. F. Nietzsche, ad es. vede nella compassione solo «un moltiplicatore della miseria» e una corrispondente «perdita di vita». M. Scheler, al contrario, nel solco di una lunga tradizione filosofico-morale, parla della simpatia come di una reale immedesimazione che da luogo a una identificazione con la persona  dell’altro e a una genuina partecipazione all’altrui sofferenza.

Di tale interpretazione non c’è traccia  nella liberalizzazione dell’eutanasia. Se compassione è sopportare  con la sofferenza dell’altro, l’eutanasia è precisamente il suo rovescio . la compassione reale (non riducibile a mero sentimento)  può scaturire solo dalla capacità relazionale dell’uomo  che può solitamente sopportare con  anche la situazione più difficile del suo prossimo, nella consapevolezza che la vita, anche in condizioni di sofferenza, abbia senso. Quando una sofferenza irrimediabile appare come priva di senso, viene inevitabilmente meno la disponibilità a sopportare con una sofferenza inevitabile.

L’autolimitazione

L’autolimitazione si coniuga con il principio di responsabilità: «Non tutto quello che si può tecnicamente fare, è anche bene (moralmente) farlo». Il concetto di autolimitazione non è contro il progresso, al contrario ne assicura l’autenticità; non è contro la libertà della scienza, ne garantisce il buon uso; non è contro la creatività umana, ne dischiude il giusto orizzonte. E’ il giusto atteggiamento  che guida e modera  la volontà prometeica di estendere continuamente i confini del dominio sulla natura e pianificare la propria esistenza biologica.

L’autolimitazione coltiva il senso del limite e della giusta misura, si oppone alla dismisura, all’eccesso. Ricorda che i limiti non sono semplicemente da superare e trasgredire, occorre imparare a convivere con loro, pur nel tentativo di lasciare aperto un margine di possibilità ulteriore.

Soprattutto l’autolimitazione si fa attenta a che l’eventuale traguardo nella lotta contro le malattie e le miserie fisiche coincida con il bene di tutti e non venga raggiunto con il seminare per strada morti e feriti. La virtù dell’autolimitazione non è destinata solo a cambiare gli stili di vita individuali, ma anche quelli sociali e pubblici.

D’altra parte, la tutela dell’ambiente naturale Pambiente naturale e la conservazione della creazione esigono oggi un cambiamento di mentalità privata e collettiva. Le società democratiche dell’Occidente, favorevoli al principio di massima libertà possibile, sono costrette a introdurre limitazioni che cambiano in maniera incisiva abitudini individuali di vita.

Note

Luigi Lorenzetti, docente di etica teologica allo Studio teologico S. Antonio di Bologna e all’Istituto superiore di scienze religiose di Trento, direttore della Rivista di Teologia Morale

1) EV 23: «La cosiddetta qualità della vita è interpretata in modo prevalente o esclusivo come efficienza economica, consumismo disordinato, bellezza e godibilità della vita fisica, dimenticando le dimensioni più profonde – relazionali, spirituali, religiose – dell’esistenza».

2) Cf. H.T. HENGELHARDT, Manuale di bioetica, Mondadori, Milano 1991,126: «Ciò che caratterizza le persone è la loro capacità di essere autocoscienti, razionali e interessate al merito di biasimo ed elogio (…) D’altra parte, non tutti gli esseri umani sono persone. Non tutti gli esseri umani sono autocoscienti, razionali, capaci di concepire la possibilità di biasimare e lodare. I feti, gli infanti, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in coma senza speranza costituiscono esempi di non-persone. Tali entità sono membri della specie umana. Non hanno status, in sé e per sé, nella comunità morale».
3) LEONE S., La prospettiva teologica in bioetica, ISB, Acireale (CT) 2002,293
4) Cf. C. ZUCCARO, «La vita umana: sacralità, qualità, responsabilità», in ID., La vita umana nella riflessione etica, Queriniana, Brescia 200,25-42.
5) Cf. E. SCHOCKENHOFF, «Atteggiamenti cristiani fondamentali dell’etica della vita», in la, Etica della vita. Un compendio teologico, Queriniana, Brescia 1977,454-476