Il ritorno del fantasma Khomeini

Komeini

ayatollah Komeini

il Giornale 2 novembre 2005

Massimo Introvigne

C’è un punto che sembra sfuggire completamente alla sinistra e ai pacifisti che sottovalutano i proclami del presidente iraniano Ahmadinejad. È il riemergere in Iran del khomeinismo più estremista. Si tratta di un’ideologia di distruzione e di morte persino più pericolosa di quella di Al Qaida, che ha certo una lunga preparazione nella cerchia di Khomeini ma si precisa durante i durissimi nove anni di guerra (1980-1988) fra l’Iran e l’Irak di Saddam, costati oltre un milione di morti.

In questo clima apocalittico giunge a compimento un processo di autentica reinvenzione della tradizione sciita. Secondo la formula del sociologo francese Farhad Khosrokhavar si passa dalla religione musulmana sciita a qualche cosa di diverso, lo «sciismo», un’ideologia fondata su una preminenza assoluta della politica sulla religione che la tradizione sciita non aveva mai conosciuto.

Il processo passa per la rilettura della figura – centrale nella devozione di ogni fedele della Shia – di Husayn, il terzo imam degli sciiti perito nella battaglia di Karbala contro l’esercito sunnita. Nell’islam sciita tradizionale Husayn è una figura così elevata che qualunque ipotesi di imitare il suo martirio sarebbe sacrilega.

La reinterpretazione «sciista» rivoluzionaria umanizza Husayn, mette in secondo piano le caratteristiche soprannaturali e miracolose che gli aveva attribuito la religiosità popolare, e lo rende suscettibile di essere preso come modello da ogni comune fedele. Nel clima di effervescenza religiosa causato dalla rapida sequenza rivoluzione-guerra contro l’Irak, l’imitazione della figura di Husayn diventa ricerca esasperata del martirio. Il giovane «martire» khomeinista che si lancia imbottito di tritolo contro obiettivi iracheni cerca l’imitazione di Husayn e la morte come scorciatoia per il Paradiso.

Il terrorismo suicida appare per la prima volta presso gruppi sciiti filoiraniani in Libano. È la reinterpretazione khomeinista della cultura sciita a costruire, molti anni prima di Bin Laden, una cultura che insegna ad amare la morte «come l’Occidente ama la vita». Sono gli argomenti teologici degli ayatollah di Teheran che gli Hezbollah libanesi, sciiti, invocano per giustificare gli attentati suicidi che iniziano a compiere negli anni 1982-1983.

Soltanto in un secondo tempo questa teologia «sciista» sarà esportata presso gruppi sunniti come Hamas e Al Qaida. Il fatto che si passi da una guerra fra due Stati sovrani come quella fra Iran e Irak alle operazioni di organizzazioni private non sembra porre gravi problemi ai terroristi. Vissuta in una dimensione locale o globale, si tratta sempre di una lotta unica tra il Bene e il Male. Chi incarna il Male come «l’ebreo» o «l’americano» non è percepito come veramente umano, e ogni forma di strage e di sterminio è legittima.

Lo «sciismo» dell’ala più estrema del khomeinismo non è oggi l’unica forma di cultura religiosa diffusa nel mondo sciita. Liberato dal bavaglio di Saddam Hussein, il mondo sciita irakeno del Grande Ayatollah Sistani, al cui grado di autorevolezza nessuno dei suoi colleghi in Iran può aspirare, predica la versione tradizionale di una Shia che distingue fra autorità politica e religiosa e condanna il terrorismo.

È di fronte all’insidia che, con Sistani, prevalga fra gli sciiti un islam moderato che travolgerebbe il suo regime che Ahmadinejad rilancia l’ideologia «sciista». Un’ideologia che non si è mai fermata alle parole ma ha sempre seminato morte e distruzione.