Il peccato del vecchio abate

Abbé Pierre Il Foglio 29 ottobre 2005

L’abbé Pierre, il desiderio come misura di tutto e l’errore che fa scandalo

Dopo settantaquattro anni di saio, l’abbé Pierre, fondatore di Emmaus, ha deciso di raccontare i suoi peccati non a un confessore, ma in un libro. La ragione è che, in sostanza, sta ripudiando il concetto stesso di peccato, cardine della sua religione, a favore del nuovo potente dogma laicistico, quello che trasforma i desideri in bisogni e i bisogni in diritti.

“Il voto di castità, scrive, non elimina il desiderio sessuale”, e questo è senz’altro vero. La conseguenza che ne trae è che bisogna abolire il celibato ecclesiastico. Perché? Perché va contro il desiderio umano, la nuova legge universale. Nel merito, naturalmente, si può discutere.

Il celibato ecclesiastico non è un dogma, i preti cattolici di rito orientale si possono sposare. Violare un voto liberamente assunto, invece, rimane un peccato. Il peccato è lo scandalo del cristianesimo, il paradosso di una società in cui si riconosce che “tutti siamo peccatori”, ma egualmente si persegue la santità, come lievito per la salvezza del mondo.

Il mondo moderno sembra non tollerare più questo scandalo. Basta ricordare come Rocco Buttiglione fu giudicato inidoneo a sedere nella Commissione europea perché, pur affermando la separazione laica tra reato e peccato, pronunciò la parola proibita. Il peccato non è, non può essere, imposto alla società come metro di valutazione giuridica.

Gesù che dice “chi è senza peccato scagli la prima pietra” afferma, al contrario, che la generale condizione di peccatori è la base del perdono e della misericordia. Senza peccato non c’è redenzione, quindi non c’è cristianesimo.

Non c’è neppure spiegazione teologica della vita terrena, se la morte è “stipendium peccati”. Anche la ricerca laica di un senso della vita deve fare i conti con questo problema. La teoria del desiderio-bisogno-diritto non nega solo il peccato, ma lede la dignità della persona umana. Il fondamento della “coscienza morale dentro di me”, dell’imperativo categorico è un senso del limite che si può chiamare in altro modo, ma è in fondo il senso del peccato.