La scristianizzazione della società nel pensiero, da Lutero a Marx e Engels (2)

IL MARXISMO IDEOLOGIA DELLA RIVOLUZIONE

di Fernando Ocàriz, Ares 1975

(seconda parte)

7. Il socialismo tedesco e i fondatori del marxismo

Si può vedere in Karl Rodbertus-Jagetsow un antecessore prossimo, tanto del socialismo marxista quanto del socialismo “di Stato”, di cui si parlerà più innanzi. Già Rodbertus affermava che il profitto dei proprietari procede dallo sfruttamento dei lavoratori, dato che ricevono i benefici di qualcosa nella cui produzione non sono intervenuti. Secondo Rodbertus questa frode si mantiene grazie alla proprietà privata.

Il trapianto diretto del socialismo francese e di quello inglese in Germania dette origine anche a quello che si autodenominò “vero socialismo” (rappresentato specialmente da Karl Grün), che Marx qualificò “un’oziosa speculazione(Manifesto, 195). A questo “vero socialismo”, che non ebbe grande influenza, Marx ed Engels avevano dedicato, prima del Manifesto, una dura critica nell’ultima parte della loro opera congiunta L’ideologia tedesca.

a)  Karl Marx

Nacque a Treviri, in Prussia, il 5 maggio 1818. Suo padre era ebreo di religione ma, poiché le leggi di Prussia permettevano ai soli luterani di svolgere professioni liberali, si “convertì” al luteranesimo. Ammiratore di Rousseau, di Voltaire e di Diderot, educò suo figlio secondo le teorie di questi autori. Non risulta che Karl Marx fosse battezzato, e non ricevette nessuna formazione religiosa.

Nel 1830 cominciò a frequentare il liceo di Treviri e, nel 1835, si iscrisse alla Facoltà di diritto di Bonn. L’anno successivo conobbe Jenny von Westphalen, che sposerà nel 1843. Da lei ebbe sei figli, tre dei quali morirono molto giovani. Le sue figlie poi si sposarono con dei socialisti e contribuirono alla diffusione delle idee del padre.

Nel 1836, visto il poco profitto dei suoi studi a Bonn, suo padre lo iscrisse alla Facoltà di Berlino. Ivi seguì i corsi di Savigny (che negava il diritto naturale) e di Gans (che spiegava la filosofia del diritto di Hegel). Nel 1837 cominciò a frequentare il Doktorclub, dove entrò in contatto con i ‘giovani hegeliani’ della sinistra. Conobbe Bruno Bauer, e quando questi ottenne una cattedra a Bonn, Marx si affrettò a presentare la sua tesi dottorale alla Università di Lena: Differenza fra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, con il proposito di assicurarsi anch’egli un incarico d’insegnamento in quella università. Si era nel 1841.

Bauer fu espulso dalla Università di Bonn, e Marx – non riuscendo ad ottenere la cattedra – cominciò a scrivere sulla rivista Rheinische Zeitung, attaccando l’idea di “Stato cristiano” e dedicando particolare attenzione alle questioni sociali. Nel 1843 la rivista fu chiusa per ordine del governo, e Marx andò a Parigi per mettersi in contatto con i movimenti socialisti – specialmente con Proudhon – che aveva conosciuto attraverso l’opera di Lorenz von Stein, pubblicata nel 1842, Il socialismo e il comunismo della Francia contemporanea.

Restò a Parigi per due anni. Durante questo tempo, con l’aiuto di un altro “giovane hegeliano”, Arnold Ruge, fondò gli Annali Franco-Tedeschi. Lì cominciò pure a studiare gli economisti classici e scrisse i Manoscritti del 1844, che furono pubblicati solo molto tempo dopo.

Alla fine del 1844 Marx ed Engels – assieme per la prima volta – scrissero La sacra famiglia, titolo blasfemo-satirico per designare Bruno Bauer e seguaci, che fu pubblicata nel 1845, anno in cui Marx fu espulso dalla Francia e andò a stabilirsi a Bruxelles. Lì lo raggiunse Engels e insieme scrissero L’Ideologia tedesca, criticando Feuerbach, Bauer, Stirner e il “vero socialismo” tedesco.

Il 1846 è l’anno della rottura fra Marx e Proudhon: questi aveva scritto La filosofia della miseria e Marx gli rispose l’anno successivo con la Miseria della filosofia. In quest’epoca Marx entrò nella Lega dei Comunisti alla quale cambiò subito il motto «Tutti gli uomini sono fratelli» in quello «Proletari del mondo, unitevi». Marx assunse subito il controllo della Lega e, su richiesta del II Congresso di questa, Marx ed Engels redassero Il manifesto del partito comunista, pubblicato per la prima volta nel 1848.

Una serie di moti rivoluzionari ebbe luogo in Germania durante quell’anno, e Marx poté tornare nel suo paese. Entrò come redattore capo della Neue Rheinische Zeitung, e collaborò al movimento comunista di Colonia finché, dopo l’insuccesso di questo movimento, fu un’altra volta espulso dalla Germania. Sono di quest’epoca gli articoli che, nel 1895, Engels raccolse ne La lotta di classe in Francia e quelli che costituiscono Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte.

Nel 1849 Marx si stabilì definitivamente a Londra. Dovette affrontare serie difficoltà economiche e per ottenere un pò di denaro scrisse in questi anni una serie di articoli per il New York Tribune.

Nel 1859 pubblicò il volume Per la critica dell’economia politica.

Nel 1864 ebbe inizio un nuovo periodo della vita di Marx, periodo specialmente dedicato alle sue lotte contro le deviazioni dalla “ortodossia socialista” che egli propugnava. In detto anno partecipò alla formazione della “I Associazione internazionale dei lavoratori” (meglio conosciuta come ‘I Internazionale’) di cui sarà membro attivo fino al 1876.

Come dirigente della “I Internazionale” Marx dedicò molta della sua attività a lottare contro i seguaci di Proudhon in Francia, quelli di Lassalle in Germania, e gli anarchici, capeggiati da Bakunin.

Nel 1867 fu pubblicato il primo libro de Il capitale.

Tre anni dopo scoppiò la guerra franco-prussiana, dinanzi alla quale Marx adottò inizialmente una posizione favorevole ai prussiani, perché vedeva che la vittoria di questi “sarebbe nel contempo la vittoria della nostra teoria su quella di Proudhon(Lettera a Engels, 20-VII-1870). Più tardi però cambiò posizione e si unì alla “Comune di Parigi”, che considerò «un araldo glorioso della nuova società».

Nel Congresso del 1872 a La Haye, Marx ottenne che Bakunin e i suoi anarchici fossero espulsi dalla Internazionale, e anche che la sede dell’associazione si trasferisse a New York, per evitare una nuova infiltrazione di proudhonisti e di bakuninisti. A New York la I Internazionale ebbe vita languida, fino a quando sparì.

A partire dal 1873 Marx si ritirò quasi completamente dalla vita pubblica, dedicandosi a continuare Il capitale. Mori a Londra il 14 marzo 1883.

b) Friedrich Engels

Nacque a Barmen (Westfalia) il 28 novembre 1820, da famiglia borghese di industriali. Fino a non molto tempo fa si pensava che Marx avesse ‘educato’ Engels al socialismo, ma la pubblicazione delle opere giovanili di Engels evidenziò che questi sofferse per conto suo la crisi avvenuta in Germania nel decennio successivo alla morte di Hegel, e che nel momento del suo incontro con Marx già da vari anni procedeva sulla stessa strada.

Engels subì l’influsso di Hegel attraverso gli insegnamenti di Strauss, Batier e Feuerbach. I suoi primi scritti filosofici sono dedicati alla speculazione teologica. Nonostante la deformazione della sua concezione religiosa – tipicamente luterana – Engels durante questo periodo appare molto diverso da Marx, che sembra non abbia mai avuto credenze religiose.

Molto presto però, influenzato dalla “demitizzazione” del Vangelo fatta da Strauss, Engels passò decisamente all’ateismo e a mostrare, come gli altri della sinistra hegeliana, che questo ateismo era il “segreto” del sistema hegeliano. Nel 1841-42 Engels era già comunista. Alla fine del 1842 andò a Manchester per lavorare in un’azienda paterna e si verificò il suo primo contatto con il mondo del lavoro.

Pubblicò il saggio Situazione in Inghilterra nel quale compaiono ancora i problemi religiosi; ma il lavoro forse più qualificante di questo periodo fu la sua critica al libro di Th. Carlyle, Past and Present, in cui fa già una critica ‘positiva’ della religione. Pure appartiene a questo periodo il suo Abbozzo di una critica dell’economia politica.

A partire dal 1843 cominciò la sua amicizia e collaborazione con Marx, dalla quale seguirono le già citate opere congiunte: La sacra famiglia, L’ideologia tedesca, ecc.

Nel 1844 cominciò a scrivere la sua opera La situazione della classe operaia in Inghilterra, che non terminò fino al 1849. Redasse, su richiesta dei comunisti e prima che commissionassero a Marx e a lui il Manifesto, i Principi del comunismo. Dopo l’insuccesso della rivoluzione tedesca del 1848 scrisse tre saggi sul tema.

Nel 1850 tornò alla fabbrica di suo padre a Manchester, e di lì continuò la sua collaborazione con Marx, specialmente nella redazione degli articoli politici per il New York Tribune.

Quando Marx si ritirò dalla vita pubblica, Engels assunse tutto il peso della diffusione e della difesa del marxismo, contro gli attacchi di “revisionisti” e anarchici.

Degli anni 1876-77 sono le sue polemiche contro il socialista Eugen Dühring, raccolte nella sua opera Antidühring, della quale un capitolo fu redatto da Marx. A causa di queste polemiche aveva dovuto interrompere i suoi lavori circa la Dialettica della Natura; e dovette lasciarli di nuovo alla morte di Marx, per dedicarsi a mettere ordine nelle note e nei manoscritti lasciati dal suo amico.

Nel 1885 pubblicò il II libro de Il capitale, e, nel 1894, il III, undici anni dopo la morte di Marx. Durante tale periodo fu praticamente questo l’unico lavoro che fece, a parte l’appoggio fornito ai diversi partiti comunisti europei, soprattutto a quello russo. Mori nel 1895.

8. Principali avversari di Marx ed Engels

a) Il “socialismo di Stato” di Lassalle

Ferdinand Lassalle (1825-1865) fu il massimo rappresentante del “socialismo di Stato”. La sua principale differenza con il marxismo consisteva nella tattica propugnata per arrivare alla società socialista. Lassalle negava la necessità della Rivoluzione, e affidava allo Stato il compito di stabilire il socialismo. Il programma di Lassalle, di ispirazione hegeliana, si potrebbe riassumere dicendo che la storia dell’umanità altro non sarebbe che una lunga lotta per conquistare la libertà sulla Natura, sulle oppressioni di ogni tipo (fra le quali pone come principale la religione), e sulle miserie che circondano l’uomo. Lassalle affermava che era necessaria, per vincere questa lotta, l’unione di tutti i lavoratori, unione che solo lo Stato poteva creare.

Alla sua morte le sue dottrine non godettero di molta stima fra i socialisti “ortodossi” (di orientamento più o meno marxista), e nel Congresso di Erfurt (1891) condannarono la teoria di Lassalle. Ad ogni modo, attraverso il suo discepolo Wagner, Lassalle influì molto sul partito laburista inglese.

b) L’anarchismo: Bakunin

Nel IV Congresso della I Internazionale (Basilea, 1869) c’erano due tendenze principali: i marxisti e gli anarchici. Dopo quattro anni di continue dispute, al Congresso di La Haye del 1872, gli anarchici, capeggiati da Bakunin, ruppero definitivamente con i marxisti.

Mijail Bakunin (1814-1876) nacque vicino a Mosca, da famiglia agiata, ma a partire dai ventun anni cominciò una vita errante per l’Europa. Verso il 1840 arrivò a Berlino ed entrò in contatto con la sinistra hegeliana, specialmente con Max Stirner, che avrebbe decisamente influito sulla sua concezione politico-sociale.

Nel 1848 prese parte alla rivoluzione tedesca di Dresda; fu fatto prigioniero e consegnato alle autorità russe, che lo deportarono in Siberia.

Nel 1860 fuggì, e attraverso il Giappone e gli Stati Uniti tornò in Europa, partecipando a diversi tentativi rivoluzionari in Russia, in Polonia e in Italia.

Nel 1867 prese parte al I Congresso della “Lega della Pace”, ma patì una disillusione di fronte al pacifismo di Victor Hugo, Garibaldi, ecc.

L’anno successivo Bakunin fondò la “Alleanza della Democrazia Socialista”, che si unì alla I Internazionale. Fu allora che le sue dispute con Marx assunsero un carattere non soltanto teorico ma personale. Bakunin scriveva poi: «Marx mi ha chiamato idealista sentimentale, e aveva ragione; io l’ho chiamato un uomo vanitoso, perfido e astuto, e anch’io avevo ragione». Teoricamente, Bakunin affermava che lo Stato è la somma delle negazioni della libertà individuale e che la società politica è la causa di tutti i crimini.

Sarebbe pertanto necessaria e sufficiente la rivoluzione che annulli lo Stato borghese capitalista perché si instauri la ‘nuova società’, nella quale non vi sarà nessuna autorità, e che sarebbe naturalmente buona in quanto fondata sulla libertà degli individui, pertanto, senza bisogno di una tappa intermedia di ‘Stato proletario’, fra la rivoluzione e il comunismo, come propugnato da Marx. Dopo essersi separato dall’Internazionale, Bakunin fondò la Federazione del Giura, che fu la culla di quasi tutti gli anarchici dell’Ottocento.

9. Le dottrine economiche

Nonostante che l’economia sia stata studiata fin dai tempi antichi, la “scienza economica” è di origine abbastanza recente, e si è soliti porre il suo inizio verso la metà del Settecento. L’economia, che all’inizio era un insieme di norme etiche per amministrare le ricchezze, acquistò a poco a poco – soprattutto dalla seconda metà del Quattrocento in poi – indipendenza rispetto alla morale, fino a reggersi con leggi proprie. Tuttavia l’inizio di questa separazione risale specialmente al “mercantilismo” del Seicento.

a)  Il mercantilismo

Si è soliti designare con questo nome le concezioni economiche predominanti in Europa fino al 1750, durante il periodo caratterizzato, in campo economico. a grandi linee, dall’iniziare e primo svilupparsi del capitalismo, molto legato al fiorire del commercio, ancora però nell’ambito di una società a stati sociali, monarchica e con residui di feudalesimo.

Il mercantilismo non fu un sistema e neppure una teoria economica; gli economisti si dedicarono, inizialmente, a stabilire una serie di norme concrete per l’arricchimento del Principe o dello Stato, e, in seguito, anche per l’arricchimento privato. Queste norme venivano stabilite con indipendenza dalla morale: come leggi mercantili “autonome”, con le quali si cominciò a perdere di vista la precedente concezione di “giusto prezzo” per sostituirla con quella di “prezzo conveniente”. Però, nonostante la “emancipazione” dell’economia dalla morale, le soluzioni e i piani mercantilisti costituivano ancora un ostacolo per la libera attività economica degli individui, data la loro generalizzata dipendenza rispetto agli interessi degli Stati moderni nascenti.

Il mercantilismo, accanto a questo, comportò in pratica una diffusa trascuratezza dell’agricoltura. Nel Settecento, come reazione a questa situazione, nacque l’ “economia politica” liberale (anche se il termine fu coniato dal mercantilista francese Montchrestien nel 1615).

b)    I fisiocratici

Furono i primi a concepire l’ordine economico come analogo a un organismo naturale. La società economica è, secondo loro, un organismo di circolazione della ricchezza, retto da alcune leggi proprie e ‘naturali’, a meno che non vengano loro posti degli intoppi artificiali (intervento statale, imposte, ecc.).

L’ordine e lo sviluppo economico è il migliore possibile, secondo questi autori, quando gli individui sono pienamente liberi di operare nella circolazione di ricchezze, dato che quest’ordine è quello “naturale”. Ricevettero il nome di “fisiocratici” (fisiocrazia = governo esercitato dalla natura) gli autori francesi che costituirono scuola attorno a Francois Quesnay e al marchese di Mirabeau, verso la fine del Settecento.

Le idee naturaliste di Quesnay si concretarono nel suo “quadro economico”, del 1758, che è una rappresentazione grafica delle leggi di circolazione della ricchezza fra le “classi” (produttiva, proprietaria e sterile, secondo la sua terminologia), Questa terminologia ci indica un’altra delle idee principali dei fisiocratici: oltre che per il liberalismo, erano “agrari”.

Ciò che circola nella società è secondo loro il surplus (eccesso di beni rispetto al consumo) o prodotto netto; e questo sarebbe prodotto solo dall’agricoltura, dato che solo in essa la natura collabora con l’uomo. L’industria e il commercio, invece, sarebbero “sterili”. Anche se sono necessari, l’industria e il commercio non “producono” propriamente ricchezza: la trasformano soltanto e la trasportano; sicché alla fine del ciclo ciò che avanza (il surplus o prodotto netto, indice del progresso economico) sarebbe dovuto alla sola agricoltura.

Marx – anche se li criticava duramente – trovò nei fisiocratici un aspetto utile e precisamente la loro concezione naturalista dell’economia, che presentava punti di contatto con la visione marxista della storia come processo naturale.

c) La nascita della scuola ‘classica’ di economia politica: Adam Smith

Il liberalismo economico francese della scuola fisiocratica passò presto in Inghilterra, ma si abbandonò il carattere “agrario” della produttività per mettere l’accento sul “lavoro umano” come fonte primaria della produttività economica.

Adam Smith (1723-1790) si occupò dei problemi economici partendo dalla filosofia, influenzato soprattutto dall’empirismo di David Hume. Conobbe Quesnay nel 1764 e due anni dopo pubblicò la sua opera fondamentale: Ricerche sulla natura e sulle cause della ricchezza delle nazioni.

Adam Smith viene frequentemente considerato come il fondatore dell’economia politica classica, e perfino come il padre della scienza economica in generale, mentre altri pensa che, nonostante il suo influsso sia indubbio, questo sia un giudizio esagerato. L’apporto principale di Smith è più dottrinale che tecnico. Secondo lui – e ciò comportava una certa rivoluzione – l’unico fattore di produttività è il lavoro. Ne consegue che, per Smith, il progresso economico è legato essenzialmente alla divisione del lavoro, che rende possibile la diminuzione del costo di produzione di ogni mercanzia valutato in lavoro umano.

Smith però non giunse a precisare un’unità di misura per codesto lavoro: alcune volte assume come misura del valore di una mercanzia il “tempo” di lavoro necessario per produrla, e altre volte il “valore” del lavoro (salari). Questo sarà uno dei punti che Marx criticherà in Smith.

La teoria del valore è uno dei pilastri dell’economia classica. Il valore però di una determinata realtà materiale non è qualcosa di univoco: fu precisamente Adam Smith a introdurre la distinzione fra “valore d’uso” (pressappoco l’utilità pratica dell’oggetto per la vita dell’uomo) e “valore di scambio” (il suo equivalente economico sul mercato). In tal modo, per esempio, l’acqua ha sempre un enorme valore d’uso, mentre il suo valore di scambio può variare (dall’essere di solito piccolo, e perfino nullo, sino a essere elevato, in circostanze di grande scarsità). Il contrario succederà, per esempio, con il diamante, di limitato valore d’uso e di grande valore di scambio.

d) David Ricardo (1772-1823)

E l’altro grande rappresentante dell’economia politica classica inglese. La sua influenza fu maggiore di quella di Smith, di cui prese. la tesi del lavoro come fonte unica del valore. La sua opera Principi di economia politica e di tassazione, del 1817, è ancora oggetto di riedizioni in diverse lingue.

L’importanza di Ricardo è dovuta a diversi aspetti della sua economia, come l’analisi dell’origine della rendita del suolo, aspetti che qui non ci interessano. Per ciò che si riferisce alla “teoria del valore”, punto che invece è di interesse per il fine di queste pagine, Ricardo si accorse che Smith aveva utilizzato indiscriminatamente, come misura del valore della merce, il tempo di lavoro e il valore del lavoro (salari).

Propose allora l’unificazione di questa misura, nel senso seguente: assumere come misura del valore il valore del lavoro (salari), ma per questo bisognava ottenere che la proporzione fra capitale fisso (macchinari, edifici, ecc.) e capitale impiegato in salari fosse la stessa in tutte le industrie. Ma ciò, come gli obietterà Marx, è inattuabile: questa proporzione non può essere uguale, per esempio, nell’agricoltura e nell’industria siderurgica.

Ciò nonostante è con Ricardo, più ancora che con Adam Smith, che si viene a considerare il valore di scambio come unico valore economico.

Un altro aspetto importante dell’opera di Ricardo fu la tecnificazione dell’economia (codificazione in formule matematiche), che dette a questa scienza un aspetto ‘oggettivo’, indipendente da ogni concezione filosofica, e la rese restia ad accettare istanze e obiezioni di tipo filosofico, etico, ecc. Ciò nonostante c’è in essa tutta una carica ideologica: il liberalismo materialista dei fisiocratici.

e) Economisti posteriori

Dopo Smith e dopo Ricardo segui una serie di autori di importanza minore, che si limitavano a diffondere le dottrine dei “maestri”. Fra di essi si suole citare soprattutto James Mill e Nassau Senior.

Maggiore importanza ebbe il filosofo ed economista inglese John Stuart Mill (1806-1873), il quale, oltre ad essere un brillante espositore e divulgatore, nella sua opera Principi di economia politica, del 1848, formulò la legge della tendenza decrescente, del profitto, della quale Marx si giovò. D’altra parte, Stuart Mill propugnò una specie di sintesi fra liberalismo e socialismo. t frequente però che i marxisti considerino questo autore come un semplice ripetitore e continuatore di Ricardo, forse per sottolineare di più l’originalità di Marx (p. es., M. Dobb, Introducciòn a la economìa, Fondo de Cultura econòmica 1938, p. 32).

In Inghilterra l’ottimismo naturalista dell’economia classica venne presto meno, dando origine a variazioni pessimistiche circa il progresso economico. anche se non mancarono sostenitori accaniti dell’ottimismo iniziale, come Samuel G. Lloyd, e soprattutto Cairnes. Fu comunque in Francia che il liberalismo inglese assunse carattere quasi ufficiale, soprattutto con J. B. Say.

Il liberalismo dei classici inglesi ebbe poca risonanza in Germania dove von Thúnen seguendo la linea dello “Stato commerciale chiuso” di Fichte e dell’economia nazionalista di List – propugnò una teoria economica isolazionista. Maggior interesse presentò la successiva ‘scuola storicista’ tedesca di Roscher e Wagner, che negavano un ‘ordine naturale’ e difendevano l’evoluzione continua delle strutture economiche, benché in pratica fossero conservatori.

Anche Roscher e Wagner attrassero l’attenzione critica di Marx, che accettò da essi – conformemente alla tradizione hegeliana tedesca – il carattere storico delle forme economiche, ma criticando sia il loro conservatorismo pratico, sia la loro considerazione delle forme economiche come dipendenti dal cammino della storia sociale, mentre, secondo Marx, succede esattamente il contrario: è la struttura economica a produrre le forme sociali.

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