Erga migrantes caritas Christi (Parte I)

PONTIFICIO CONSIGLIO

DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI

istruzione

(La carità di Cristo verso i migranti)

Presentazione

Le migrazioni odierne costituiscono il più vasto movimento di persone di tutti i tempi. In questi ultimi decenni tale fenomeno, che coinvolge ora circa duecento milioni di esseri umani, si è trasformato in realtà strutturale della società contemporanea, e costituisce un problema sempre più complesso, dal punto di vista sociale, culturale, politico, religioso, economico e pastorale.

L’Istruzione Erga migrantes caritas Christi intende aggiornare la pastorale migratoria – tenendo conto appunto dei nuovi flussi migratori e delle loro caratteristiche -, passati ormai trentacinque anni dalla pubblicazione del Motu proprio di Papa Paolo VI Pastoralis migratorum cura e dalla relativa Istruzione della Sacra Congregazione per i Vescovi De pastorali migratorum cura (“Nemo est“).

Essa vuole dunque essere una risposta ecclesiale ai nuovi bisogni pastorali dei migranti, per condurli, a loro volta, a trasformare l’esperienza migratoria in occasione non solo di crescita nella vita cristiana ma anche di nuova evangelizzazione e di missione.

Il Documento tende altresì a una puntuale applicazione della legislazione contenuta nel CIC e nel CCEO per rispondere in modo più adeguato anche alle particolari esigenze di quei fedeli emigrati orientali, oggi sempre più numerosi.

La composizione delle migrazioni odierne impone inoltre la necessità di una visione ecumenica di tale fenomeno, a causa della presenza di molti migranti cristiani non in piena comunione con la Chiesa Cattolica, e del dialogo interreligioso, a motivo del numero sempre più consistente di migranti di altre religioni, in particolare di quella musulmana, in terre tradizionalmente cattoliche, e viceversa.

Un’esigenza squisitamente pastorale si impone infine, e cioè il dovere di promuove un’azione pastorale fedele e allo stesso tempo aperta a nuovi sviluppi anche per quanto riguarda le nostre stesse strutture pastorali, che dovranno essere atte a garantire la comunione tra Operatori pastorali specifici e la Gerarchia locale di accoglienza, la quale rimane l’istanza decisiva della sollecitudine ecclesiale verso i migranti.

Il Documento, dopo una rapida rassegna di alcune cause dell’odierno fenomeno migratorio (l’evento della globalizzazione, il cambiamento demografico in atto soprattutto nei Paesi di prima industrializzazione, l’aumento a forbice delle disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo, la proliferazione di conflitti e guerre civili), sottolinea i forti disagi che generalmente l’emigrazione causa nei singoli individui, in particolare nelle donne e nei bambini, nonché nelle famiglie.

Tale fenomeno solleva il problema etico della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale per una più equa distribuzione dei beni della terra, nella visione della comunità internazionale come famiglia di popoli, con applicazione del Diritto Internazionale. Il Documento traccia poi un preciso quadro di riferimento biblico-teologico, inserendo il fenomeno migratorio nella storia della salvezza, come segno dei tempi e della presenza di Dio nella storia e nella comunità degli uomini, in vista di una comunione universale.

Un sintetico excursus storico attesta poi la sollecitudine della Chiesa per il Migrante e il Rifugiato nei documenti ecclesiali, cioè dalla Exsul Familia al Concilio Ecumenico Vaticano II, all’Istruzione De Pastorali migratorum cura e alla successiva normativa canonica. Tale lettura rivela importanti acquisizioni teologiche e pastorali.

Ci si riferisce alla centralità della persona e alla difesa dei diritti del migrante, alla dimensione ecclesiale e missionaria delle migrazioni stesse, alla valutazione del contributo pastorale dei Laici, degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, al valore delle culture nell’opera di evangelizzazione, alla tutela e alla valorizzazione delle minoranze, anche all’interno della Chiesa locale, all’importanza del dialogo intra ed extra ecclesiale, e infine allo specifico contributo che la migrazione potrebbe offrire alla pace universale.

Altre istanze – come la necessità dell'”inculturazione”, la visione di Chiesa intesa come comunione, missione e Popolo di Dio, la sempre attuale importanza di una pastorale specifica per i migranti, l’impegno dialogico-missionario di tutti i membri del Corpo mistico di Cristo e il conseguente dovere di una cultura dell’accoglienza e della solidarietà nei confronti dei migranti – introducono l’analisi di quelle specificatamente pastorali a cui rispondere, rispettivamente nel caso dei migranti cattolici, sia di rito latino che di rito orientale, di quelli appartenenti ad altre Chiese e Comunità ecclesiali, ad altre religioni in genere, e all’Islam in specie.

Viene poi ulteriormente precisata o ribadita, la configurazione, pastorale e giuridica, degli Operatori pastorali – in particolare dei Cappellani/Missionari e dei loro Coordinatori nazionali, dei Presbiteri diocesani/eparchiali, di quelli religiosi, con i loro Fratelli, delle Religiose, dei Laici, delle loro Associazioni e dei Movimenti ecclesiali – il cui impegno apostolico è visto e considerato nella visione di una pastorale di comunione, d’insieme.

L’integrazione delle strutture pastorali (quelle già acquisite e quelle proposte) e l’inserimento ecclesiale dei migranti nella pastorale ordinaria – con pieno rispetto della loro legittima diversità e del loro patrimonio spirituale e culturale, in vista anche della formazione di una Chiesa concretamente cattolica – è un’altra importante caratteristica pastorale che il Documento prospetta e propone alle Chiese particolari.

Tale integrazione è condizione essenziale perché la pastorale, per e con i migranti, possa diventare espressione significativa della Chiesa universale e missio ad gentes, incontro fraterno e pacifico, casa di tutti, scuola di comunione accolta e partecipata, di riconciliazione chiesta e donata, di mutua e fraterna accoglienza e solidarietà, nonché di autentica promozione umana e cristiana.

Un aggiornato e puntuale “Ordinamento giuridico-pastorale” conclude l’Istruzione, richiamando, con appropriato linguaggio, compiti, incombenze e ruoli degli Operatori pastorali e dei vari Organismi ecclesiali preposti alla pastorale migratoria.

Stephen Fumio Cardinale Hamao Presidente

Agostino Marchetto Arcivescovo titolare di Astigi Segretario

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INTRODUZIONE

Il fenomeno migratorio oggi

La sfida della mobilità umana

1. La carità di Cristo verso i migranti ci stimola (cfr. 2 Cor 5,14) ad affrontare di nuovo i loro problemi che riguardano ormai il mondo intero. Infatti pressoché tutti i Paesi, per un verso o per l’altro, si confrontano oggi con l’irrompere del fenomeno delle migrazioni nella vita sociale, economica, politica e religiosa, un fenomeno che sempre più va assumendo una configurazione permanente e strutturale.

Determinato, molte volte, dalla libera decisione delle persone e motivato, abbastanza spesso, anche da scopi culturali, tecnici e scientifici, oltre che economici, esso è per lo più segno eloquente degli squilibri sociali, economici e demografici a livello sia regionale che mondiale che impulsano ad emigrare.

Tale fenomeno affonda le proprie radici pure nel nazionalismo esasperato, e in molti Paesi addirittura nell’odio o emarginazione sistematica o violenta delle popolazioni minoritarie o dei credenti di religioni non maggioritarie, nei conflitti civili, politici, etnici e perfino religiosi che insanguinano tutti i continenti. Essi alimentano flussi crescenti di rifugiati e di profughi, spesso in mescolanza con quelli migratori, coinvolgendo società nel cui interno etnie, popoli, lingue e culture diverse si incontrano, pure col rischio di contrapposizione e di scontro.

2. Le migrazioni però favoriscono anche la conoscenza reciproca e sono occasione di dialogo e comunione, se non di integrazione a vari livelli, come afferma emblematicamente Papa Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2001: “Sono molte le civiltà che si sono sviluppate e arricchite proprio per gli apporti dati dall’immigrazione. In altri casi, le diversità culturali di autoctoni e immigrati non si sono integrate, ma hanno mostrato la capacità di convivere, attraverso una prassi di rispetto reciproco delle persone e di accettazione o tolleranza dei differenti costumi” [1].

3. Le migrazioni contemporanee ci pongono di fronte a una sfida certo non facile per il loro legame con la sfera economica, sociale, politica, sanitaria, culturale e di sicurezza. Si tratta di una sfida che tutti i cristiani devono raccogliere oltre la loro buona volontà, o il carisma personale di alcuni. Non possiamo qui dimenticare, comunque, la risposta generosa di molti uomini e donne, di Associazioni ed Organizzazioni, che, davanti alla sofferenza di tante persone, causata dall’emigrazione, lottano per i diritti dei migranti, forzati o no, e per la loro difesa.

Tale impegno è frutto specialmente di quella compassione di Gesù, Buon Samaritano, che lo Spirito suscita ovunque nel cuore degli uomini di buona volontà, oltre che nella Chiesa stessa, che “rivive una volta di più il mistero del suo Divino Fondatore, mistero di vita e di morte” [2]. Il compito di annunciare la Parola di Dio affidata dal Signore alla Chiesa si è intrecciata, del resto, fin dall’inizio con la storia dell’emigrazione dei cristiani.

Abbiamo pensato dunque a questa Istruzione, che intende rispondere soprattutto ai nuovi bisogni spirituali e pastorali dei migranti e trasformare sempre più l’esperienza migratoria in veicolo di dialogo e di annuncio del messaggio cristiano. Questo Documento, inoltre, vuol rispondere ad alcune esigenze importanti e attuali.

Ci riferiamo alla necessità di tenere in debito conto la nuova normativa dei due Codici Canonici vigenti, quello latino e quello orientale, rispondendo anche alle esigenze particolari dei fedeli emigrati delle Chiese Orientali Cattoliche, sempre più numerosi. Vi è altresì la necessità di una visione ecumenica del fenomeno, per la presenza, nei flussi migratori, di cristiani non in piena comunione con la Chiesa cattolica, e di quella interreligiosa, per il numero sempre più consistente di migranti di altre religioni, in particolare musulmani.

Infine bisognerà promuovere una pastorale aperta a nuovi sviluppi nelle stesse nostre strutture pastorali, che garantisca però, al tempo stesso, la comunione tra Operatori pastorali specifici e Gerarchia locale.

Migrazioni internazionali

4. Il sempre più vasto fenomeno migratorio costituisce, oggi, una importante componente di quella interdipendenza crescente fra gli Stati‑Nazione che concorre a definire l’evento della globalizzazione [3], la quale tuttavia ha aperto i mercati ma non le frontiere, ha abbattuto i confini per la libera circolazione dell’informazione e dei capitali, ma non nella stessa misura quelli per la libera circolazione delle persone.

Nessuno Stato sfugge comunque alle conseguenze di una qualche forma di migrazione, che è spesso fortemente collegata a fattori negativi, quali il cambiamento demografico in atto nei Paesi di prima industrializzazione, l’aumento delle ineguaglianze tra Nord e Sud del mondo, l’esistenza negli scambi internazionali di barriere protezionistiche che non consentono ai Paesi emergenti di collocare i propri prodotti, a condizioni competitive, sui mercati dei Paesi occidentali, ed infine la proliferazione di conflitti e guerre civili.

Tutte queste realtà continueranno a costituire, anche per gli anni a venire, altrettanti fattori di spinta e di espansione dei flussi migratori (cfr. EEu 87, 115 e PaG 67), anche se l’irrompere sulla scena internazionale del terrorismo provocherà reazioni, per ragioni di sicurezza, le quali ostacoleranno il movimento dei migranti, protesi verso il sogno di trovare lavoro e sicurezza nei Paesi del cosiddetto benessere, e che d’altra parte richiedono mano d’opera.

5. Non sorprende dunque che i flussi migratori abbiano comportato e comportino innumerevoli disagi e sofferenze per i migranti anche se, specialmente nella storia più recente e in determinate circostanze, essi erano spesso incoraggiati e favoriti per incrementare lo sviluppo economico sia del Paese ospite che di quello di origine (grazie soprattutto alle rimesse finanziarie degli emigrati).

Molte Nazioni, infatti, non sarebbero tali quali sono oggi senza l’apporto ricevuto da milioni di immigrati. Particolarmente colpita, nella sofferenza, è l’emigrazione dei nuclei familiari e quella femminile, diventata, quest’ultima, sempre più consistente. Contrattate sovente come lavoratrici non qualificate (domestiche) e impiegate nel lavoro sommerso, le donne sono private, spesso, dei più elementari diritti umani e sindacali, quando non cadono vittime addirittura del triste fenomeno noto come “traffico umano”, che ormai non risparmia neppure i bambini.

E’ un nuovo capitolo della schiavitù.  Anche senza giungere a tali estremi, va ribadito che i lavoratori stranieri non sono da considerarsi una merce o una mera forza lavoro, e non devono quindi essere trattati come qualsiasi altro fattore di produzione. Ogni migrante gode, cioè, di diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati in ogni caso. Il contributo dei migranti all’economia del Paese che li ospita è legato poi alla possibilità di usare, nel loro operare, la propria intelligenza e abilità.

6. A questo proposito la Convenzione internazionale per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie ‑ entrata in vigore il primo luglio 2003 e la cui ratifica è stata vivamente raccomandata da Giovanni Paolo II[4] – offre un compendio di diritti[5] che permettono al migrante di apportare detto contributo, per cui quanto tale Convenzione prevede merita adesione specialmente da parte di quegli Stati che più traggono benefici dalla migrazione stessa.

A tal fine, la Chiesa incoraggia la ratifica degli strumenti internazionali legali che assicurano i diritti dei migranti, dei rifugiati e delle loro famiglie, offrendo anche nelle sue varie Istituzioni e Associazioni competenti quell’advocacy che oggi è sempre più necessaria (v. i Centri di attenzione ai Migranti, le Case per essi aperte, gli Uffici per i servizi umani, di documentazione e “assessoramento”, ecc.).

In effetti i migranti sono spesso vittime del reclutamento illegale e di contratti a breve termine con povere condizioni di lavoro e di vita, dovendo soffrire per abusi fisici, verbali e finanche sessuali, impegnati per lunghe ore nel lavoro e senza accesso, frequentemente, ai benefìci delle cure mediche e alle normali forme di assicurazione.

Tale precaria situazione di tanti stranieri, che dovrebbe sollecitare la solidarietà di tutti, causa invece timori e paure in molti, che sentono gli immigrati come un peso, li vedono con sospetto e li considerano addirittura come un pericolo e una minaccia. Ciò provoca spesso manifestazioni di intolleranza, xenofobia e razzismo [6].

7. La crescente presenza musulmana, come del resto quella di altre religioni, in Paesi con popolazione tradizionalmente in prevalenza cristiana, si inscrive infine nel capitolo, più ampio e complesso, dell’incontro tra culture diverse e del dialogo tra religioni. Vi è comunque anche una numerosa presenza cristiana in alcune Nazioni con popolazione a grandissima maggioranza musulmana.

Di fronte a un fenomeno migratorio così generalizzato, e dai risvolti profondamente diversi rispetto al passato, a poco servirebbero dunque politiche circoscritte al livello meramente nazionale. Nessun Paese da solo può pensare, infatti, di risolvere oggi i problemi migratori. Ancor più inefficaci risulterebbero politiche puramente restrittive, le quali genererebbero, a loro volta, effetti ancora più negativi, rischiando di accrescere gli ingressi illegali e addirittura di favorire l’attività di organizzazioni criminali.

8. Le migrazioni internazionali sono così, a ragion veduta, considerate una importante componente strutturale della realtà sociale, economica e politica del mondo contemporaneo e la loro consistenza numerica rende necessarie una sempre più stretta collaborazione tra Paesi generatori e ricettori oltre che adeguate normative in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi.

E ciò al fine di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate, e al tempo stesso quelli delle società di arrivo dei migranti stessi. Ma, contemporaneamente, il fenomeno migratorio solleva una vera e propria questione etica, quella della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale per una più equa distribuzione dei beni della terra, che contribuirebbe non poco, del resto, a ridurre e moderare ì flussi di una numerosa parte delle popolazioni in difficoltà.

Di qui la necessità anche di un impegno più incisivo per realizzare sistemi educativi e pastorali, in vista di una formazione alla “mondialità”, a una nuova visione, cioè, della comunità mondiale, considerata come famiglia di popoli, a cui finalmente sono destinati i beni della terra, in una prospettiva del bene comune universale.

9. Le migrazioni attuali, inoltre, pongono ai cristiani nuovi impegni di evangelizzazione e di solidarietà, chiamandoli ad approfondire quei valori, pure condivisi da altri gruppi religiosi o laici, assolutamente indispensabili per assicurare una armonica convivenza. Il passaggio da società monoculturali a società multiculturali può rivelarsi così segno di viva presenza di Dio nella storia e nella comunità degli uomini, poiché offre un’opportunità provvidenziale per realizzare il piano di Dio di una comunione universale.

Il nuovo contesto storico è caratterizzato di fatto dai mille volti dell’altro e la diversità, a differenza del passato, diviene cosa comune in moltissimi Paesi. I cristiani sono chiamati perciò a testimoniare e praticare, oltre allo spirito di tolleranza ‑ che pure è una grandissima acquisizione politica e culturale, e anche religiosa ‑, il rispetto dell’altrui identità, avviando, dove è possibile e conveniente, percorsi di condivisione con persone di origine e cultura differenti, in vista anche di un “rispettoso annuncio” della propria fede.

Siamo tutti convocati perciò alla cultura della solidarietà [7], tante volte auspicata dal Magistero, per giungere insieme ad una vera e propria comunione di persone. E’ il cammino, non facile, che la Chiesa invita a percorrere.

Migrazioni interne

10. In questi ultimi tempi sono altresì notevolmente aumentate le migrazioni interne, in vari Paesi, sia volontarie, come quelle dalla campagna alle grandi città, che forzate, è questo il caso degli sfollati, di coloro che fuggono dal terrorismo, dalla violenza e dal narcotraffico, soprattutto in Africa e America Latina.

Si stima infatti che la maggior parte dei migranti, nel mondo intero, si muova oggi all’interno della propria Nazione, anche con ritmi stagionali. Il fenomeno di questa mobilità, per lo più abbandonata a se stessa, ha favorito la crescita rapida e disordinata di centri urbani impreparati ad accogliere masse umane così rilevanti ed ha alimentato la formazione di periferie urbane dove le condizioni di vita, socialmente e moralmente, sono precarie.

Tale fenomeno costringe cioè i migranti ad insediarsi in ambienti con caratteristiche profondamente diverse da quelle d’origine, creando rilevanti disagi umani, pesanti pericoli di sradicamento sociale, con gravi conseguenze sulle tradizioni religiose e culturali delle popolazioni.

Eppure le migrazioni interne vanno sollevando grandi speranze, purtroppo spesso illusorie e infondate, in milioni di individui, separandoli però anche dagli affetti familiari e proiettandoli in regioni diverse per clima e costumi, ancorché spesso linguisticamente omogenee. Se essi poi ritornano al loro luogo di origine, lo fanno portando con sé un’altra mentalità e diversi stili di vita, non raramente anche con altra visione del mondo o religiosa e differenti comportamenti morali. Sono, anche queste, sfide all’azione pastorale della Chiesa Madre e Maestra.

11. L’attuale realtà richiede pertanto, pure in questo campo, da parte degli Operatori pastorali e delle comunità di accoglienza, della Chiesa in una parola, una attenzione premurosa alle persone in mobilità e alle loro esigenze di solidarietà e di fraternità. Anche attraverso le migrazioni interne lo Spirito rivolge, con chiarezza e urgenza, l’appello a un rinnovato e forte impegno di evangelizzazione e di carità, mediante articolate forme di accoglienza e di azione pastorale, costanti e capillari, il più possibile adeguate alla realtà e rispondenti alle concrete, specifiche necessità degli stessi migranti.

PARTE I

Le migrazioni, segno dei tempi e sollecitudine della Chiesa

Visione di fede del fenomeno migratorio

12. La Chiesa ha sempre contemplato nei migranti l’immagine di Cristo, che disse: “Ero straniero e mi avete ospitato” (Mt 25,35). La loro vicenda, per essa, è cioè una provocazione alla fede e all’amore dei credenti, sollecitati così a sanare i mali derivanti dalle migrazioni e a scoprire il disegno che Dio attua in esse, anche qualora fossero causate da evidenti ingiustizie.

Le migrazioni, avvicinando le molteplici componenti della famiglia umana, tendono in effetti alla costruzione di un corpo sociale sempre più vasto e vario, quasi a prolungamento di quell’incontro di popoli e razze che, per il dono dello Spirito, nella Pentecoste, divenne fraternità ecclesiale.

Se da una parte le sofferenze che accompagnano le migrazioni sono infatti espressione del travaglio del parto di una nuova umanità, dall’altra le disuguaglianze e gli squilibri, dei quali esse sono conseguenza e manifestazione, mostrano in verità la lacerazione introdotta nella famiglia umana dal peccato, e risultano pertanto una dolorosa invocazione alla vera fraternità.

13. Questa visione ci porta ad accostare le migrazioni a quegli eventi biblici che scandiscono le tappe del faticoso cammino dell’umanità verso la nascita di un popolo oltre le discriminazioni e le frontiere, depositario del dono di Dio per tutti i popoli e aperto alla vocazione eterna dell’uomo.

La fede vi intravede, cioè, il cammino dei Patriarchi che, sostenuti dalla Promessa, tendevano alla Patria futura e quello degli Ebrei che furono liberati dalla schiavitù, passando attraverso il Mar Rosso, con l’esodo che dà origine al Popolo dell’Alleanza. Sempre la fede vi trova, in un certo senso, l’esilio che pone l’uomo di fronte alla relatività di ogni meta raggiunta, e vi scopre di nuovo il messaggio universale dei Profeti.

Essi denunciano, come contrarie al disegno di Dio, le discriminazioni, le oppressioni, le deportazioni, le dispersioni e le persecuzioni, e ne prendono occasione per annunciare la salvezza per tutti gli uomini, testimoniando che, pure nel caotico succedersi e contraddirsi degli avvenimenti umani, Dio continua a tessere il suo disegno di salvezza fino alla completa ricapitolazione dell’universo in Cristo (cfr. Ef 1,10).

Migrazioni e storia della salvezza

14. Possiamo considerare dunque l’odierno fenomeno migratorio un “segno dei tempi” assai importante, una sfida da scoprire e da valorizzare nella costruzione di una umanità rinnovata e nell’annuncio del Vangelo della pace. La Sacra Scrittura di tutto ci propone il senso. In effetti Israele trasse la sua origine da Abramo che, obbediente alla voce di Dio, uscì dalla sua terra e andò in Paese straniero portando con sé la Promessa divina di diventare padre “di un grande popolo” (Gn 12,1‑2).

Giacobbe, da “Arameo errante, scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa” (Dt 26,5). Israele ricevette la solenne investitura di “Popolo di Dio” dopo lunga schiavitù in Egitto, durante i quarant’anni di “esodo” attraverso il deserto. La dura prova delle migrazioni e deportazioni è quindi fondamentale nella storia del Popolo eletto, in vista della salvezza di tutti i popoli: così è nel ritorno dall’esilio (cfr. Is 42, 6‑7; 49,5).

Con tale memoria esso si sente rinfrancato nella fiducia in Dio, anche nei momenti più oscuri della sua storia (Sal 105 [104], 12-15; Sal 106 [105], 45‑47). Nella Legge, poi, si giunge a dare, per i rapporti con lo straniero dimorante nel paese, lo stesso comando impartito per quelli con “i figli del tuo popolo” (Lv 19,18), cioè “tu l’amerai come te stesso” (Lv 19,34).

Cristo “straniero” e Maria icona vivente della donna migrante

15. Più ancora che prossimo, il cristiano contempla nello straniero il volto di Cristo stesso, il Quale nasce in una mangiatoia e, straniero, fugge in Egitto, assumendo e ricapitolando in sé questa fondamentale esperienza del suo popolo (cfr. Mt2,13ss).

Nato fuori casa e proveniente da fuori Patria (cfr. Lc 2,4‑7), abitò in mezzo a noi (cfr. Gv 1,11.14) e trascorse la sua vita pubblica, itinerante, percorrendo “città e villaggi” (cfr. Lc 13,22; Mt 9,35). Risorto, e tuttavia ancora straniero, sconosciuto, apparve, in cammino verso Emmaus, a due suoi discepoli che lo riconobbero solo allo spezzar del pane (cfr. Lc 24,35). I cristiani sono quindi alla sequela di un viandante “che non ha dove posare il capo (Mt 8,20; Lc 9,58)” [8].

Maria, poi, la Madre di Gesù, su questa linea di considerazioni, può essere contemplata altresì come icona vivente della donna migrante [9]. Ella dà alla luce suo Figlio lontano da casa (cfr. Lc 2,1‑7) ed è costretta a fuggire in Egitto (cfr. Mt 2,13‑14). La devozione popolare considera quindi giustamente Maria come Madonna del cammino.

La Chiesa della Pentecoste

16. Contemplando ora la Chiesa, vediamo che nasce dalla Pentecoste, compimento del mistero pasquale ed evento efficace, anche simbolico, d’incontro di popoli. Paolo può così esclamare: “Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero” (Col 3,11). Cristo, infatti, dei due popoli, ha costituito “una unità, abbattendo il muro di separazione” (Ef 2,14).

D’altra parte, seguire Cristo significa andare dietro a Lui ed essere di passaggio nel mondo, poiché “non abbiamo quaggiù una città stabile” (Eb 13,14). Il credente è sempre un pároikos, un residente temporaneo, un ospite, ovunque si trovi (cfr. 1Pt 1,1; 2,11 e Gv 17,14‑16). Per questo la propria collocazione geografica nel mondo non è poi così importante per i cristiani [10] e il senso dell’ospitalità è loro connaturale.

Gli Apostoli insistono su questo punto (cfr. Rm 12,13; Eb 13,2; 1Pt 4,9; 3Gv 5) e le Lettere pastorali lo raccomandano particolarmente all‘episkopos (cfr. 1Tim 3,2 e Tt 1,8). Nella Chiesa primitiva, l’ospitalità fu dunque la pratica con la quale i cristiani risposero anche alle esigenze dei missionari itineranti, capi religiosi esiliati, o di passaggio, e persone povere delle varie comunità. [11]

17. Gli stranieri sono altresì segno visibile e richiamo efficace di quell’universalismo che è elemento costitutivo della Chiesa cattolica. Una “visione” di Isaia l’annunciava: “Alla fine dei giorni il monte del tempio del Signore sarà elevato sulla cima dei monti … ad esso affluiranno tutte le genti” (Is 2,2).

Nel Vangelo Gesù stesso lo predice: “Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio” (Lc 13,29) e nell’Apocalisse si contempla “una moltitudine immensa … di ogni nazione, razza, popolo e lingua” (Ap 7,9). La Chiesa è ora in faticoso cammino verso tale meta finale [12], e di questa moltitudine le migrazioni possono essere come un richiamo e una prefigurazione dell’incontro ultimo di tutta l’umanità con Dio e in Dio.

18. Il cammino dei migranti può diventare così segno vivo di una vocazione eterna, impulso continuo a quella speranza che, additando un futuro oltre il mondo presente, ne sollecita la trasformazione nella carità e il superamento escatologico. Le loro peculiarità diventano richiamo alla fraternità pentecostale, dove le differenze sono armonizzate dallo Spirito e la carità si fa autentica nell’accettazione dell’altro. La vicenda migratoria può essere l’annuncio, quindi, del mistero pasquale, per il quale morte e resurrezione tendono alla creazione dell’umanità nuova nella quale non vi è più né schiavo né straniero (cfr. Gal 3,28).

La sollecitudine della Chiesa per il migrante e il rifugiato

19. Il fenomeno migratorio del secolo scorso costituì una sfida per la pastorale della Chiesa, articolata in parrocchie territoriali stabili. Se, in precedenza, il Clero era solito accompagnare i gruppi che colonizzavano nuove terre, per continuare tale cura pastorale, già oltre la metà dell’800, furono frequenti gli incarichi a Congregazioni religiose per l’assistenza ai migranti [13].

Nel 1914, poi, vi fu una prima definizione del Clero incaricato a tale riguardo, con il Decreto Ethnografica studia [14] che sottolineava la responsabilità della Chiesa autoctona di assistere gli immigrati e suggeriva una preparazione specifica ‑linguistica, culturale e pastorale‑ del Clero indigeno. Il Decreto Magni semper del 1918 [15], a seguito della promulgazione del Codice di Diritto Canonico, affidava quindi alla Congregazione Concistoriale le procedure di autorizzazione del Clero per l’assistenza ai migranti.

Nel secondo dopoguerra, nel secolo scorso, si fece ancora più drammatica la realtà migratoria non solo per le distruzioni causate dal conflitto, ma anche per l’acuirsi del fenomeno dei rifugiati (specie dai Paesi detti dell’Est), non pochi dei quali erano fedeli di varie Chiese Orientali Cattoliche.

L’Exsul Familia

20. Si sentiva dunque ormai l’esigenza di un documento che raccogliesse l’eredità dei precedenti ordinamenti e disposizioni e orientasse verso una pastorale organica. Ne è risposta provvida la Costituzione Apostolica Exsul Famiglia [16] pubblicata da Pio XII il 1 agosto 1952, che è considerata la magna charta del pensiero della Chiesa sulle migrazioni.

E’ il primo documento ufficiale della Santa Sede che delinea in modo globale e sistematico, dal punto di vista storico e canonico, la pastorale per i migranti. Ad un’ampia analisi storica, nella Costituzione, segue infatti una parte propriamente normativa molto articolata. Viene ivi affermata la responsabilità primaria del Vescovo diocesano locale nella cura pastorale dei migranti, anche se l’organizzazione in merito è ancora demandata alla Congregazione Concistoriale.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II

21. In seguito, il Concilio Vaticano II elaborò importanti linee direttive circa tale pastorale specifica, invitando anzitutto i cristiani a conoscere il fenomeno migratorio (cfr. GS 65 e 66) e a rendersi conto dell’influsso che l’emigrazione ha sulla vita. Sono ivi ribaditi il diritto all’emigrazione (cfr. GS 65) [17], la dignità del migrante (cfr. GS 66), la necessità di superare le sperequazioni nello sviluppo economico e sociale (cfr. GS 63) e di rispondere alle esigenze autentiche della persona (cfr. GS 84).

All’Autorità civile il Concilio riconobbe peraltro, in un contesto particolare, il diritto di regolare il flusso migratorio (cfr. GS 87). Il Popolo di Dio ‑ secondo il dettato conciliare ‑ deve assicurare il suo apporto generoso in fatto di emigrazione e i laici cristiani, soprattutto, sono sollecitati ad estendere la loro collaborazione nei settori più svariati della società (cfr. AA 10), facendosi altresì “prossimo” del migrante (cfr. GS 27).

Uno speciale interessamento i Padri conciliari riservano poi per quei fedeli che, “a motivo della loro condizione di vita, non possono godere a sufficienza della comune ordinaria cura pastorale dei parroci o ne sono privi del tutto, come sono moltissimi emigrati, gli esuli, i profughi, i marittimi, gli addetti ai trasporti aerei, i nomadi, e altre simili categorie di persone. Si promuovano ‑ essi chiedono ancora ‑ metodi pastorali adatti per sostenere la vita spirituale dei turisti.

Le Conferenze Episcopali e specialmente quelle nazionali dedichino ‑ invitano infine i Padri conciliari ‑ premurosa attenzione ai più urgenti problemi riguardanti le predette categorie umane e con opportuni mezzi e direttive, in concordia di intenti e di sforzi, provvedano adeguatamente alla loro assistenza religiosa, tenendo presenti in primo luogo le disposizioni date o da darsi dalla Sede Apostolica, adattate convenientemente alle situazioni dei tempi, dei luoghi e delle persone” [18].

22. Il Concilio Vaticano II segna quindi un momento decisivo per la cura pastorale dei migranti e degli itineranti, conferendo una particolare importanza al significato della mobilità e cattolicità e a quello delle Chiese particolari, al senso della Parrocchia e alla visione della Chiesa come mistero di comunione. Per questo essa appare e si presenta quale “popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (LG 4).

L’accoglienza dello straniero, che caratterizza la Chiesa nascente, rimane quindi sigillo perenne della Chiesa di Dio. Essa resta quasi contrassegnata da una vocazione all’esilio, alla diaspora, alla dispersione tra le culture e le etnie, senza mai identificarsi completamente con nessuna di esse, altrimenti cesserebbe di essere, appunto, primizia e segno, fermento e profezia del Regno universale e comunità che accoglie ogni essere umano, senza preferenza di persone e di popoli. L’accoglienza dello straniero è inerente dunque alla natura stessa della Chiesa e testimonia la sua fedeltà al Vangelo [19].

23. In continuità e attuazione dell’insegnamento conciliare, Papa Paolo VI emanò il Motu proprio Pastoralis Migratorum Cura [20] (1969), promulgando l’Istruzione De Pastorali Migratorum Cura. [21] Nel 1978, seguì ‑ da parte della Pontificia Commissione per la Pastorale delle Migrazioni e del Turismo, Organismo incaricato allora della cura dei migranti ‑ la Lettera circolare alle Conferenze episcopali Chiesa e mobilità umana [22], che offrì una lettura aggiornata, all’epoca, del fenomeno migratorio e una sua precisa interpretazione e applicazione pastorale.

Sviluppando il tema dell’accoglienza dei migranti da parte della Chiesa locale il documento sottolineò la necessità di una collaborazione intraecclesiale in vista di una pastorale senza frontiere e riconobbe infine e valorizzò lo specifico ruolo dei Laici, dei Religiosi e delle Religiose.

La normativa canonica

24. Il nuovo Codice di Diritto Canonico per la Chiesa Latina, ancora in attuazione conciliare, a conferma, raccomanda al Parroco una speciale diligenza verso chi è lontano dalla patria (can. 529, §1), pur sostenendo l’opportunità e l’obbligo, per quanto possibile, di una cura pastorale specifica (can. 568).

Esso contempla così, come fa il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, la costituzione di Parrocchie personali (CIC can. 518 e CCEO can. 280, §1), oltre che di Missioni con cura d’anime (can. 516), nonché la figura di specifici soggetti pastorali, come il Vicario episcopale (can. 476) e il Cappellano per i migranti (can. 568). Il nuovo Codice prevede altresì, in attuazione conciliare (cfr. PO 10 e AG 20, nota 4, e 27, nota 28), l’istituzione di altre specifiche strutture pastorali previste nella legislazione e nella prassi della Chiesa [23].

25. Poiché nella mobilità umana ora sono legioni pure i fedeli delle Chiese Cattoliche Orientali dall’Asia e dal Medio Oriente, dall’Europa centrale e orientale, che si dirigono verso i Paesi d’Occidente, si pone in modo evidente il problema anche della loro cura pastorale, sempre nell’ambito della responsabilità decisiva dell’Ordinario di luogo d’accoglienza.

Vanno quindi considerate con urgenza le conseguenze pastorali e giuridiche della loro presenza, sempre più consistente, fuori dai tradizionali territori e dei contatti che si vanno realizzando a vari livelli, ufficiali o privati, individuali o collettivi, tra comunità e tra singoli suoi membri. E la relativa normativa specifica, che consente alla Chiesa cattolica di respirare già, in un certo senso, con due polmoni [24], è contenuta nel CCEO [25].

26. Tale Codice contempla così la costituzione di Chiese sui iuris (CCEO cann. 27, 28 e 147), raccomanda la promozione e l’osservanza dei “riti delle Chiese orientali, quali patrimonio della Chiesa universale di Cristo” (can. 39; cfr. anche i cann. 40 e 41) e stabilisce una precisa normativa riguardante le leggi liturgiche e disciplinari (can.150).

Esso fa obbligo al Vescovo eparchiale di assistere anche i fedeli cristiani “di qualsiasi età, condizione, nazione o Chiesa sui iuris, sia che abitino nel territorio della Eparchia sia che vi restino temporaneamente” (can. 192, §1) e di curare che i fedeli cristiani di un’altra Chiesa sui iuris, a lui affidati, “conservino il rito della propria Chiesa” (can. 193, §1), possibilmente grazie a “presbiteri e parroci della stessa Chiesa sui iuris” (can. 193, §2).

Il Codice raccomanda infine che la parrocchia sia territoriale, senza escludere quelle personali, se richieste da particolari condizioni (cfr. can. 280, §1). Nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali si prevede anche l’esistenza dell’Esarcato, definito come “una porzione del popolo di Dio che, per speciali circostanze, non viene eretta in eparchia e che, circoscritta in un territorio, o qualificata con altri criteri, è affidata alla cura pastorale dell’Esarca” (CCEO can. 311, §1).

Le linee pastorali del Magistero

27. Accanto alla normativa canonica, una lettura attenta dei Documenti e delle disposizioni che la Chiesa ha finora emanati circa il fenomeno migratorio porta a sottolinearvi alcune importanti acquisizioni teologiche e pastorali, vale a dire: la centralità della persona e la difesa dei diritti dell’uomo e della donna migrante e quelli dei loro figli; la dimensione ecclesiale e missionaria delle migrazioni; la rivalutazione dell’apostolato dei Laici, il valore delle culture nell’opera di evangelizzazione; la tutela e la valorizzazione delle minoranze, anche all’interno della Chiesa; l’importanza del dialogo intra ed extra ecclesiale; il contributo specifico dell’emigrazione per la pace universale.

Tali documenti connotano inoltre la dimensione pastorale dell’impegno per i migranti. Nella Chiesa tutti devono infatti trovare la “loro Patria” [26]: essa è il mistero di Dio tra gli uomini, mistero dell’Amore mostrato dal Figlio Unigenito, specialmente nella sua morte e resurrezione, affinché tutti “abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10), tutti trovino la forza per superare ogni divisione e facciano sì che le differenze non portino a rotture ma a comunione, mediante l’accoglienza dell’altro nella sua diversità legittima.

28. Nella Chiesa è rivalutato, poi, il ruolo degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, nel loro contributo specifico alla cura pastorale dei migranti[27]. La responsabilità, al riguardo, dei Vescovi diocesani/eparchiali, è riaffermata in modo inequivocabile, e ciò vale sia per la Chiesa di partenza che per la Chiesa di arrivo.

In tale responsabilità sono coinvolte poi le Conferenze Episcopali dei vari Paesi e le rispettive Strutture delle Chiese Orientali. La cura pastorale dei migranti, infatti, comporta accoglienza, rispetto, tutela, promozione, amore autentico di ogni persona nelle sue espressioni religiose e culturali.

29. I più recenti interventi pontifici hanno anche ribadito e ampliato gli orizzonti e le prospettive pastorali in relazione al fenomeno migratorio, nella linea dell’uomo via per la Chiesa [28]. Fin dal pontificato di Papa Paolo VI, e successivamente in quello di Giovanni Paolo II, soprattutto nei suoi

30. Il Magistero ha ribadito pure la necessità di una politica che assicuri a tutti i migranti la certezza del diritto, “evitando accuratamente ogni possibile discriminazione”  [33], sottolineando una vasta gamma di valori e comportamenti (l’ospitalità, la solidarietà, la condivisione) e la necessità di rigettare ogni sentimento e manifestazione di xenofobia e razzismo da parte di chi li riceve [34].

Grande attenzione è data, nel contesto della legislazione come nella prassi amministrativa dei vari Paesi, all’unità familiare e alla tutela dei minori, spesso compromessa dalle migrazioni [35], come pure alla formazione, mediante le migrazioni, di società multiculturali. La pluralità culturale sollecita così l’uomo contemporaneo al dialogo e al confronto anche sulle grandi questioni esistenziali quali il senso della vita e della storia, della sofferenza e della povertà, della fame e delle malattie, della morte.

L’apertura alle diverse identità culturali però non significa accettarle tutte indiscriminatamente, ma rispettarle ‑ perché inerenti alle persone ‑ ed eventualmente apprezzarle nella loro diversità. La “relatività” delle culture è del resto sottolineata anche dal Concilio Vaticano II (cfr. GS 54, 55, 56, 58). La pluralità è ricchezza e il dialogo è già realizzazione, anche se imperfetta e in continua evoluzione, di quell’unità definitiva a cui l’umanità aspira ed è chiamata.

Gli Organismi della Santa Sede

31. La costante sollecitudine della Chiesa per l’assistenza religiosa, sociale e culturale ai migranti, testimoniata dal Magistero, è comprovata altresì dagli speciali Organismi che la Santa Sede ha istituito a tale scopo. La loro ispirazione originaria si trova nel memoriale Pro emigratis catholicis, del Beato Giovanni Battista Scalabrini, il quale, consapevole delle difficoltà che innescavano all’estero i vari nazionalismi europei, propose alla Santa Sede l’istituzione di una Congregazione (o Commissione) pontificia per tutti gli emigrati cattolici.

Scopo di tale Congregazione, composta da rappresentanti di varie Nazioni, doveva essere “l’assistenza spirituale degli emigrati nelle svariate contingenze e nei periodi vari del fenomeno, specialmente nelle Americhe, e di tener viva così nel loro cuore la fede cattolica” [36].  Quella intuizione si concretò in modo graduale.

Nel 1912, dopo la riforma della Curia Romana da parte di San Pio X, si creò il primo Ufficio per i problemi delle migrazioni, all’interno della Congregazione Concistoriale, mentre nel 1970 fu istituita, da Papa Paolo VI, la Pontificia Commissione per la Pastorale delle Migrazioni e del Turismo che, nel 1988, con la Costituzione Apostolica Pastor Bonus, è diventata Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.

Ad esso fu demandata la cura di quanti “sono stati costretti ad abbandonare la propria patria o non ne hanno affatto”: profughi ed esuli, migranti, nomadi e gente del circo, marittimi sia in navigazione che nei porti, tutti coloro che si trovano fuori del proprio domicilio e quanti prestano il loro lavoro negli aeroporti o sugli aerei [37].

32. Il Pontificio Consiglio ha dunque il compito di suscitare, promuovere e animare le opportune iniziative pastorali a favore di coloro che, per propria scelta o per necessità, lasciano il loro luogo di residenza abituale, nonché di seguire con attenzione le questioni sociali, economiche e culturali che di solito sono all’origine di tali spostamenti.

Direttamente, il Pontificio Consiglio si rivolge alle Conferenze Episcopali e ai loro relativi Consigli regionali, alle rispettive Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche interessate, e ai singoli Vescovi/Gerarchi, sollecitandoli, nel rispetto delle responsabilità di ciascuno, ad attuare una pastorale specifica per coloro che sono coinvolti nel fenomeno sempre più vasto della mobilità umana, adottando i provvedimenti richiesti dalle mutevoli situazioni.

Negli ultimi tempi, poi, anche nelle relazioni ecumeniche si è inserita la dimensione migratoria, per cui si moltiplicano i primi contatti al riguardo con altre Chiese e Comunità ecclesiali. La prospettiva si fa attenta anche al dialogo inter-religioso. Il Pontificio Consiglio stesso, con i suoi Superiori e Officiali, è presente infine, a volte, nell’arena internazionale in rappresentanza della Santa Sede in occasione di riunioni di Organismi multilaterali.

33. Tra le principali Organizzazioni cattoliche dedite all’assistenza ai migranti e rifugiati non possiamo dimenticare, in questo contesto, la costituzione, nel 1951, della Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni. Il sostegno che, in questi primi cinquant’anni, la Commissione ha offerto a Governi e Organismi internazionali, con spirito cristiano, e il suo contributo originale, nel ricercare soluzioni durature per i migranti e i rifugiati in tutto il mondo, costituiscono un grande suo merito.

Il servizio che la Commissione ha prestato, e presta tuttora, “è vincolato da una duplice fedeltà: a Cristo … e alla Chiesa” – come ha affermato Giovanni Paolo II[38] -. La sua opera “è stata un elemento tanto fecondo di cooperazione ecumenica e interreligiosa” [39]. Non possiamo infine dimenticare il grande impegno delle varie Caritas e di altri Organismi di carità e solidarietà, nel servizio anche dei migranti e dei rifugiati.

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