La nozione romantica o pseudo mistica della natura non riflette la realtà. Noi siamo molto diversi dal resto della natura, perché siamo nello stesso tempo dentro e fuori della trama delle sue forze fisiche. Senza una corretta comprensione della “unicità” del nostro posto nel creato, l’ecologismo religioso rischia di cadere in un panteismo insoddisfacente perché basato su una percezione sbagliata della verità e del valore sia dell’uomo sia della natura.
Vicepresidente del “Centro etica e politica” di Washington, Royal ha insegnato alla Brown University, al Rhode Island College e alla Università cattolica d’America. Nel ’77 è stato borsista in Italia della Renaissance Society of Americans e, l’anno successivo, Fulbright Scholar. Ha scritto tra gli altri i volumi Jaques Maritain e gli ebrei, Costruire una società libera e Reinventare il popolo americano: unità e diversità oggi.
Il grande storico americano Henry Adams, nel suo libro Mont Saint Michel e Chartres vedeva nella “Vergine” medioevale l’immagine del mondo perduto –spiritualità, bellezza, sensualità e amore per la natura- e nella “Dinamo” –scienza, tecnologia, razionalità- qualcosa assai utile alla razza umana ma alquanto priva dei valori del passato. Combinare questi due elementi nella riflessione religiosa sull’ambiente – sostiene Royal – ci aiuterebbe molto nella soluzione delle difficili questioni intellettuali connesse con una trattazione piena e non parziale dei problemi ecologici del nostro tempo.
Quale sarebbe la colpa principale degli ambientalisti che cercano motivazioni religiose al loro impegno?
«Quella di perdere di vista la pienezza della rivelazione biblica – risponde Royal -. Nella Genesi la natura è vista come un bene. Non è questa invece la visione dello gnosticismo, come ha osservato il cardinale Ratzinger in alcune sue lezioni. Alcuni ambientalisti trascurano che gli esseri umani sono stati voluti da Dio nello stesso tempo come facenti parte e padroni della natura. La scienza ci aiuta ora a comprendere meglio il mondo creato da Dio. Newton pensava di svolgere un servizio religioso quando scopriva le leggi della natura. Le nostre preoccupazioni per la preservazione ambientale non devono farci dimenticare quelle che dobbiamo avere per gli esseri umani. La Bibbia ci ammonisce contro due peccati: l’idolatria della natura e la negligenza verso i bisogni del prossimo»
Ad un certo punto lei scrive: “Niente teologia per favore, siamo americani”…
«Gli americani sono relativamente deboli nel pensiero teorico, soprattutto quello teologico. Sono molto religiosi, ma non dedicano molto tempo ad una analisi attenta, sistematica della loro fede. Questo li spinge ad avere, per quanto riguarda l’ambiente, vaghe o errate nozioni sia sulla utilità di una reale teologia sia sul quadro scientifico relativo alla Terra. Due insufficienze che conducono entrambe al settarismo»
Nel corrente dibattito sull’ambiente, dove finisce l’uso e dove comincia l’abuso della religione da parte degli eco-teologi?
«La preoccupazione religiosa è utile quando stimola le azioni necessarie alla preservazione del “creato nella sua totalità”. Costituisce un abuso quando tende a coincidere con la visione di alcuni ambientalisti religiosi, secondo cui se recuperiamo la giusta visione cosmologica tutti i problemi ambientali troveranno una automatica soluzione. Dobbiamo mostrare più umiltà e riconoscere che i problemi ambientali sono complessi e che la povera gente ha bisogno di sviluppo per sopravvivere. Dobbiamo conciliare la soddisfazione dei loro bisogni umani nel quadro più ampio della preservazione dell’ambiente globale».
Come mai la preoccupazione ecologica non ha dato vita anche negli Stati Uniti ad un partito politico dichiaratamente “verde” come in alcuni Paesi europei?
«Perché gli americani tendono ad essere più pratici che teorici. Un ambientalismo che diventasse la sola bandiera di un partito politico verrebbe visto come troppo ideologico. Ciò detto, un piccolo movimento ambientalista esiste anche qui e Al Gore ne è stato il capofila. Egli è portatore di una visione ultra-romantica della natura»
Lei ammette che gli argomenti – religiosi e non – degli ecologisti trovano una approvazione popolare più ampia di quanta non ne raccolgano gli argomenti dei promotori dello sviluppo ad ogni costo?
«C’è stato un tentativo di “demonizzare” quelli che promuovono lo sviluppo. Ma almeno in America una larga parte dello sviluppo industriale e tecnologico non ha prodotto danni ambientali significativi o irreparabili. Basandomi su alcune idee di Giovanni Paolo II, sostengo che sviluppo umano e preservazione dell’ambiente possono essere riconciliati. Ma sono anche convinto che non basteranno poche encicliche, per quanto autorevoli e potenti esse siano (e ancor meno naturalmente il mio libro) per rendere il dibattito più sofisticato e meno partigiano
Le sue tesi contro gli “abusi” della religione nella protezione dell’ambiente non rischiano di essere percepite come un soccorso mascherato agli interessi dei promotori dello sviluppo?
«Nel dibattito ecologico tutti possono essere accusati di avere un interesse ideologico. Spesso però sono le élites dei Paesi ricchi le più appassionate ai problemi ambientali. Alcuni scherzando hanno osservato che all’esterno delle conferenze internazionali sull’ambiente sono parcheggiate più Volvo che in occasione di altre conferenze, mentre all’interno i delegati lamentano l’effetto serra. E’ un errore opporre gli imprenditori agli ambientalisti. Solo il dinamismo e la capacità innovativa della persona umana, guidata dalla pienezza della nostra religione e dalle nostre tradizioni etiche, risolveranno il problema»