L’ateismo (seconda parte)

ateismo_UrssBreve corso di apologetica

Conversazione di Giampaolo Barra ,
direttore del periodico
Il Timone

a Radio Maria,Trasmissione n.32 del 13 marzo 2004

La conversazione di questa sera può essere considerata, in qualche modo, una prosecuzione, diciamo meglio: un approfondimento dell’argomento che abbiamo affrontato l’ultima volta.

Come ricorderete, abbiamo parlato di alcune forme di ateismo e abbiamo anche esaminato alcune delle cause che possono condurre un essere umano ad optare per l’ateismo, cioè a scegliere per la negazione dell’esistenza di Dio.

Se ricordate bene, abbiamo anche presentato alcune risposte all’ateismo, cercando di esaminare come si possa fare fronte alle varie obiezioni – alcune molto serie – che vengono avanzate nei confronti dell’esistenza di Dio. Il titolo della conversazione di questa sera può essere risolto in un termine: ”il caso”.

Il “caso” è la risposta che danno alcuni quando, non volendo ammettere – talvolta per principio, per partito preso, per pregiudizio – che possa esistere un Essere intelligente, creatore e Signore dell’universo, debbono rifugiarsi appunto in questo fantomatico “caso”.

Ponendosi qualche interrogativo sulla causa della bellezza, della complessità, dell’ordine presente nell’universo intero, alcuni, piuttosto che dedurre l’esistenza di un Essere intelligente che chiamiamo Dio, preferiscono rifugiarsi nel caso.

Questa sera vogliamo da un lato vedere in sintesi come si giunge a parlare del “caso” e poi anche come si potrebbe rispondere a questa forma di ateismo.

IL FATTO

Cominciamo dai fatti. Noi sappiamo che la constatazione di un certo ordine nelle cose che ci circondano può condurre la ragione dell’uomo ad affermare l’esistenza di Dio.

Come si arriva a questa conclusione?

Il percorso compiuto dalla nostra ragione parte da una evidenza, cioè da una realtà che chiunque, anche chi non crede in Dio, può fare propria. Eccola: intorno a noi ci sono delle cose che non sono intelligenti.

Vogliamo fare qualche esempio, chiedendo quali sono queste cose prive di intelligenza? La risposta è facile: sono i corpi della natura: un fiore, un albero, una cellula, ma anche le stelle del cielo, i pianeti, non sono intelligenti. E anche dentro di noi esseri umani ci sono delle cose non intelligenti: il fegato, lo stomaco, l’intestino non sono intelligenti. Ma si potrebbero fare tanti altri esempi.

Spieghiamo subito la differenza tra “intelligente” e “non intelligente”.

Intelligente è colui che “sa”, che “conosce”, e che “sa anche di sapere”. I minerali e i vegetali non sanno. Gli animali, almeno alcuni, sanno ma non sanno di sapere.

L’uomo è l’unico animale che sa e che sa di sapere. Ecco perché è l’unico essere intelligente.

Facciamo subito un secondo passo: dopo questa prima constatazione, si può condividere con chi non crede in Dio un secondo dato di fatto, innegabile: queste cose non intelligenti si comportano intelligentemente per raggiungere uno scopo, per raggiungere un fine.

Sono cose prive di intelligenza, sono prive di conoscenza intellettiva, ma si comportano come se fossero intelligenti per raggiungere uno scopo, un traguardo.

Facciamo un esempio, prendendo un organo del corpo umano che non è intelligente: l’occhio. Noi sappiamo che l’occhio umano è un organo straordinariamente complicato, dinanzi al quale anche il più sofisticato dei computer inventato dall’uomo sembra un giocattolo.

Il fisiologo statunitense George Wald, premio Nobel nel 1967 per la medicina, scrive: “Che sul fondo di ciascun nostro occhio vi siano oltre 100 milioni di antennine riceventi, lascia tutti noi sorpresi e sgomenti. E’ un prodigio della Natura che supera ogni più ardita fantasia” (tratto da DOMENICO E. RAVALICO, La Creazione non è una favola, Paoline, VI ed., Milano 1987, p. 133).

L’occhio dell’uomo è così complesso che persino la scienza moderna, che può servirsi di una tecnologia avanzatissima, non è ancora capace di riprodurlo, di ricostruirlo, non è ancora in grado di risolvere definitivamente il problema della cecità, costruendo occhi nuovi ed efficienti per sostituirli a quelli che non funzionano.

Proviamo a riflettere un istante: tutte le parti che compongono un occhio (il cristallino, la retina, la pupilla, il bulbo oculare, etc) non sono intelligenti, non sanno nemmeno di esistere e dunque non sanno certamente che cosa stanno facendo. Eppure, queste parti si coordinano tra di loro, si organizzano tra di loro, direi quasi “si mettono d’accordo tra di loro” per raggiungere uno scopo: vedere.

Tutti sanno che queste parti non sono intelligenti, ma adempiono un compito – il vedere, appunto – complicatissimo, direi intelligentissimo. E non solo: il nostro stupore aumenta quando constatiamo (un’altra constatazione, un altro dato di fatto) che anche fuori dall’occhio ci sono delle cose non intelligenti che esistono con lo scopo di collaborare con l’occhio, di permettergli di vedere (la luce) o di essere visti (gli oggetti colorati).

Queste cose non intelligenti, la luce e gli oggetti colorati, permettono all’occhio di svolgere la sua funzione, di raggiungere il suo obiettivo. Qui si ferma il dato di fatto, qui si ferma il dato che la scienza, questa branca della scienza che è l’oculistica, ci offre.

E a questo punto, sorge una domanda che non è di competenza dell’oculistica, ma è competenza di ogni uomo, che sia o non sia scienziato: “Come è possibile che cose non intelligenti (l’occhio, la luce e gli oggetti colorati) collaborino tra di loro in modo estremamente intelligente per consentire il raggiungimento di uno scopo, di un fine, il vedere appunto?”.

E’ una domanda che possono avanzare tanto credenti quanto non credenti.

E sappiamo che le risposte alla fine si riducono a due: o c’è Dio che ha intelligentemente progettato l’occhio umano, la luce e i colori, oppure tutto avviene per “caso”. E su quest’ultima risposta rifletteremo stasera, più avanti nella nostra conversazione.

Facciamo un secondo esempio. Pensiamo ad un’altra realtà non intelligente: una cellula, una semplice (si fa per dire) cellula. La cellula è l’elemento base della vita, ci dice la scienza. Tutti sanno che una cellula non è intelligente tanto nel suo insieme quanto negli elementi che la compongono: la membrana plasmatica o cellulare, il citoplasma, il nucleo con il suo nucleolo, la membrana nucleare, il reticolo endoplasmatico, il mitocondrio, l’apparato di Golgi, i centrioli, il lisosoma, il vacuolo e i ribosomi.

Sappiamo, cari amici, che una cellula è piccolissima, così piccola che non è possibile vederla ad occhio umano. Eppure, se contiamo e misuriamo quello che si trova dentro una cellula, rimaniamo semplicemente allibiti: si calcola, con grandissima approssimazione, che in ogni nostra cellula siano contenuti 53 miliardi di molecole proteiche, 166 miliardi di molecole lipoidiche, 2.900 miliardi di “piccole molecole” e 250.000 miliardi di molecole di acqua e in più gli acidi nucleici.

Il Prof. Bucci, del Campus Biomedico di Roma, parlando ad un congresso internazionale, svelava un fatto: in una sola cellula del corpo umano esiste un contenuto di informazioni equivalente a 5000 volte l’intera Divina Commedia del sommo poeta Dante Alighieri.

Attenti bene, amici radioascoltatori: in una sola cellula. E qualcuno ha contato le cellule presenti nel corpo umano. Si arriva a dire che abbiamo circa 66.000 miliardi di cellule. E’ un calcolo approssimativo, ovviamente, ma ci offre almeno una pallida idea di quanto sia complessa una cellula e quanto sia complesso il sistema di cellule di un organismo umano.

Ora, che cosa possiamo constatare con immenso stupore?

Tutti questi elementi non intelligenti, posti uno accanto all’altro, invece di fare confusione come logica vorrebbe, interagiscono con mirabile organizzazione e distribuzione di compiti. In un certo senso possiamo dire che si accordano tra loro, quindi compiono una operazione intelligentissima, per raggiungere un fine, uno scopo: dare vita ad una struttura complessa, la cellula, capace di conservarsi, di moltiplicarsi, di riprodursi e di ripararsi quando si registrano danni.

E non solo. Le cellule, che singolarmente considerate sono tutte realtà non intelligenti, invece di fare confusione, si accordano mirabilmente all’interno del corpo di un essere vivente per raggiungere uno scopo: dare vita ad organi complessi, così complessi da svolgere funzioni che nemmeno i più sofisticati computer inventati dall’uomo sono in grado di imitare.

Qui, si ferma la scienza, che ci descrive come stanno le cose.

Ma noi possiamo aggiungere una domanda: perché miliardi di cellule si organizzano per raggiungere lo scopo di dare vita ad organismi complessi?

E come abbiamo fatto prima, anche ricordiamo che le risposte, alla fine, si riduco a due: o c’è Dio, Essere  infinitamente intelligente che ha progettato quanto abbiamo sopra descritto, oppure tutto avviene per caso.

Facciamo un terzo, ed ultimo esempio. In ciascun uomo esistono organi non intelligenti, che tuttavia si comportano in modo straordinariamente intelligente: l’occhio opera per vedere, lo stomaco agisce per digerire, il cuore si contrae per pulsare il sangue, le vene e le arterie canalizzano il sangue e lo trasportano, etc. Che cosa ci offre una semplice osservazione degli organi che compongono il nostro corpo?

Ci fa vedere che tutti questi organi messi insieme in un corpo umano, invece di fare confusione, si coordinano (dunque fanno una cosa intelligente) per raggiungere uno scopo generale. Scopo generale che in noi uomini, e in tutti gli esseri viventi, è la conservazione in salute della loro vita.

Dunque, una via che conduce la ragione dell’uomo a dire che Dio esiste parte da un dato fornito dalla scienza: in natura vi sono cose non intelligenti, che operano intelligentemente per raggiungere un fine.

Tutto questo viene chiamato da un certo pensiero filosofico “finalismo della natura non intelligente“.

Prima di domandarci chi sta all’origine di questo finalismo, è bene interpellare anche la scienza, che studia i fenomeni della natura. essa conferma che la natura non intelligente è finalizzata. Jacques Monod (1910-1976), biologo francese, pioniere della genetica molecolare, Premio Nobel per la fisiologia e la medicina, dichiaratamente ateo, scrive in un’opera divenuta celebre: “Una delle proprietà fondamentali di tutti i viventi, nessuno escluso, [è] quella di essere oggetti dotati di un progetto, rappresentato nelle loro strutture e, al tempo stesso, realizzato mediante le loro prestazioni […]. E’ indispensabile riconoscere questa nozione come essenziale alla definizione stessa degli esseri viventi […]. A questa nozione daremo il nome di teleonomia (JACQUES MONOD, Il caso e la necessità, Mondadori, Milano 1970, p. 21).

Teleonomia, dal greco “telos” = fine. Teleonomia è la legge finalistica. Sentiamo ancora Monod, a pag. 38 del suo libro più famoso: “L’oggettività ci obbliga a riconoscere il carattere teleonomico degli esseri viventi, ad ammettere che nelle loro strutture e nelle loro operazioni realizzano e perseguono un progetto“.

Monod ritiene che tutti gli esseri viventi, e non solo le cose non intelligenti, sono dotate di un progetto, sono progettate, ed operano per raggiungere uno scopo. In ogni caso, ciò che per ora conta è che il dato della nostra esperienza è confermato dalla scienza.

La natura non intelligente opera per raggiungere un fine, uno scopo: è finalizzata. Da questo dato, accessibile a tutti gli uomini, credenti in Dio o meno, parte la nostra riflessione. Proprio a partire da questo dato di esperienza, che nessuno, credente o non credente, può negare senza cadere nel ridicolo e nell’assurdo, noi impostiamo un ragionamento.

Ci aiuta san Tommaso d’Aquino. Egli afferma che le cose non intelligenti, i corpi della natura non intelligente che tuttavia si comportano intelligentemente per raggiungere un fine, non possono essersi dato questo fine da soli.

San Tommaso aveva perfettamente ragione. Perché non possono essersi dato un fine da soli? Per un semplice motivo, che anche chi non crede in Dio può facilmente condividere: perché per raggiungere un fine sono necessarie tre operazioni che possono essere compiute solo da realtà intelligenti:

1  -la prima: conoscere il fine che si vuole raggiungere, ma che ancora non c’é. E’ dunque necessario, in un certo senso, “anticipare” il fine, “pre-vedere” il fine;
2  la seconda: predisporre i mezzi per raggiungere il fine. In altri termini: ordinare i mezzi, metterli in ordine, metterli in quell’ordine che consente di raggiungere lo scopo.
3  la terza: operare concretamente mettendo in atto i mezzi conosciuti idonei al conseguimento del fine.

Queste tre operazioni richiedono intelligenza. Facciamo un esempio che prendo da un bel “Quaderno del Timone” intitolato “L’esistenza di Dio”, scritto da Giacomo Samek Lodovici: se io voglio raggiungere lo scopo di andare a Roma, devo (1) conoscere il fine e proporlo, cioè sapere che esiste Roma e volerci arrivare; (2) devo conoscere i mezzi che mi permetteranno di arrivare a Roma e conoscere la strada da fare; (3) devo mettere in pratica le mie conoscenza: prendere il treno, l’aereo, etc che hanno per destinazione proprio Roma e non un’altra città.

Ora, solo un essere intelligente può conoscere e pre-vedere (vedere prima) il suo fine. Solo un essere intelligente può conoscere uno scopo da raggiungere prima che sia stato raggiunto, dunque uno scopo che esiste solo nella mente. E solo un essere intelligente è dotato di una mente, di una intelligenza e grazie ad essa può predisporre (ordinare, disporre prima di utilizzarli) i mezzi necessari per  raggiungere un obiettivo.

Un occhio, una cellula, ma anche un fiore e tutti i vegetali, gli animali, gli organi di un corpo vivente, proprio perché non sono intelligenti, non conoscono il loro fine, nulla sanno dei loro compiti, non sono in grado di decidere da soli e di predisporsi alla collaborazione con altre realtà non intelligenti con le quali operare per raggiungere uno scopo. Ma, ciononostante, questo è quello che accade costantemente in natura.

Come è possibile?

Se le cose della natura non intelligente si comportano intelligentemente, e si comportano intelligentemente – lo abbiamo visto – perché raggiungono un fine, e se non possono essersi date da sole questo fine proprio perché non sono intelligenti, domandiamoci: “Da dove viene questo finalismo? da dove viene questo progetto della natura non intelligente?” In altre parole: “Chi ha finalizzato la natura non intelligente? Chi l’ha dotata di un progetto?“.

Questa è la domanda che può condurre la ragione dell’uomo alla certezza intellettuale che Dio esiste.

UNA OBIEZIONE

Stasera affrontiamo una obiezione che normalmente viene fatta quando – costi quel che costi – non si vuole riconoscere l’opera di un Essere intelligente (di Dio) che ha ordinato l’universo e finalizzato la natura non intelligente.

Questa obiezione sta racchiusa in una sola parola, una specie di parola magica. Il caso.

Voi domandate a chi si rifiuta ostinatamente di ammettere l’esistenza di Dio quale sia la causa dell’ordine meraviglioso che noi vediamo nel creato, che la scienza ci fa conoscere in modo mirabile e con ricchezza di particolari, e spesso sentirete rispondere tirando in ballo questa magica parolina: tutto potrebbe essere stato ordinato dal caso, per caso.

Questa risposta – va detto subito e a scanso di equivoci – è di una miseria culturale assoluta. E tuttavia, soprattutto per ragioni ideologiche e per pregiudizi quasi invincibili, spesso, soprattutto a scuola, qualche professore ricorre al caso se un suo alunno gli domanda qualcosa sulla causa dell’ordine della natura non intelligente.

Quanto sia irragionevole rifugiarsi nel “caso” per spiegare l’universo noi lo lasciamo dire proprio ad illustri uomini di scienza, a scienziati, i quali, esperti di varie discipline, tutti studiano il microcosmo e macro cosmo. Nel fare questo, non mi preoccuperò di selezionare, di citare scienziati in base alla loro fede religiosa. Vedremo che tanto coloro che credono in Dio quanto quelli che si dichiarano non credenti, o agnostici, hanno opinioni interessanti sul tema che ci riguarda e che stiamo affrontando. Noi vedremo che sono proprio questi uomini di scienza i primi ad escludere che il caso possa essere all’origine della bellezza, della complessità, dell’armonia del microcosmo e del macrocosmo.

Le affermazioni che ora sentiremo, gli esempi di cui verremo a conoscenza,  andrebbero imparati a memoria e utilizzati quando è necessario per estirpare questa convinzione che il caso possa aver dato vita all’ordine dell’universo.

Cominciamo ad ascoltare uno scienziato che noi italiano conosciamo bene, perché è un nostro connazionale, è un fisico molto famoso, vincitore di un Premio Nobel e che si chiama Carlo Rubbia. Ecco le sue parole: “Parlare di origine del mondo porta inevitabilmente a pensare alla creazione e, guardando la natura, si scopre che esiste un ordine troppo preciso che non può essere il risultato di un ‘caso’, di scontri tra ‘forze’ come noi fisici continuiamo a sostenere. Ma credo che sia più evidente in noi che in altri l’esistenza di un ordine prestabilito nelle cose. Noi arriviamo a Dio percorrendo al strada della ragione, altri seguono la strada dell’irrazionale”.

Vorrei soffermarmi un momento e invitarVi a porre attenzione a ciò che abbiamo appena ascoltato. Carlo Rubbia sta parlando da osservatore, da scienziato che sta “guardando la natura”. Non sta facendo un discorso di Fede, non sta enunciando verità filosofiche. Sta semplicemente osservando l’ordine esistente nella natura e dice che questo ordine è così complesso che non può essere il frutto di un caso

Se questo ordine non può essere frutto di un caso, deve necessariamente essere frutto di una intelligenza: qualcuno l’ha voluto, l’ha progettato, l’ha realizzato. Questo qualcuno può essere soltanto Dio.

Ascoltiamo un altri scienziato, di fama mondiale, un inglese, un astrofisico che si chiama Stephen Hawking. Ecco le sue parole: “Le leggi della scienza, quali le conosciamo oggi, contengono molti numeri fondamentali….. Il fatto degno di nota è che i valori di questi numeri sembrano essere stati esattamente coordinati per rendere possibile lo sviluppo della vita”. Attenti bene. Hawking constata, da scienziato, che le leggi della scienza sembrano essere state esattamente coordinate.

Da chi, domandiamo noi?
Non certamente dal caso, perché il caso non coordina alcunché. Il caso non mette in ordine elementi disparati come quelli che troviamo nel creato. Evidentemente esiste un coordinatore e questo Coordinatore è Dio.

Sentiamo un altro scienziato, Grichka Bogdanov. E’ un esperto di fisica teorica. Con sui fratello, Igor, che è un astrofisico, e il filosofo francese Jean Guitton, è autore di un volume intitolato: “Dio e la scienza”. Parlando proprio del caso, Bogdanov dice: “Affinché la formazione dei nucleotidi porti “per caso” alla elaborazione di una molecola di RNA (acido ribonucleico) utilizzabile, sarebbe stato necessario che la natura moltiplicasse i tentativi a casaccio nello spazio di almeno 1015 anni  (vale a dire 1 seguito da 15 zeri, cioè un milione di miliardi di anni), il che è un tempo centomila volte più esteso dell’età di tutto il nostro universo)”.

Ma, proviamo a prestare un poco di attenzione. Gli scienziati calcolano, servendosi di sofisticatissimi programmi di computer, che per elaborare a caso una sola molecola di RNA di vuole un arco di tempo superiore di centomila volte l’intera età dell’universo.

Viene da chiedersi come sia possibile ritenere ragionevole il caso. Se per una sola molecola ci sarebbe voluto tutto questo tempo, quanto altro tempo, quale quantità infinita, indeterminabile, non quantificabile di tempo ci sarebbe voluta per dare vita al nostro universo?

Ascoltiamo un altro esempio, facile da ricordare. Ce lo fornisce un italiano, il prof. Bucci, del Campus Biomedico di Roma. A un convegno internazionale che aveva come tema “La probabilità nelle scienze”, Bucci diceva: “Supponiamo che io vada in una grotta preistorica e vi trovi incisa, su una parete, una scritta, per esempio: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura che la dritta via era smarrita”, e che io dica ai miei colleghi: in questa grotta, a causa dell’erosione dell’acqua, della solidificazione dei carbonati e dell’azione del vento, si è prodotta, per caso, la prima frase della Divina Commedia. Non mi prenderebbero per matto? Eppure non avrebbero nulla da ridire se dicessi loro che si è formata per caso la prima cellula vivente, che ha un contenuto di informazioni equivalente a 5.000 volte l’intera Divina Commedia”.

Bisogna riflettere – è un invito che faccio a tutti – quando attribuiamo, o sentiamo attribuire, al caso l’origine e l’ordine dell’universo. Dobbiamo riflettere per non cadere nel ridicolo. Se è irragionevole attribuire al semplice caso la prima frase della Divina Commedia, come possiamo attribuire al caso – dice il professor Bucci – l’origine della prima cellula vivente. Che ha – ce lo ha detto lui – un contenuto di informazioni equivalente a 5.000 volte l’intera Divina Commedia.

Abbiamo già detto che cosa trovano gli scienziati dentro una sola cellula vivente 53 miliardi di molecole proteiche, 166 miliardi di molecole lipoidiche, 2.900 miliardi di “piccole molecole” e 250.000 miliardi di molecole di acqua e in più gli acidi nucleici. Tutto questo in una sola cellula. E tutta questa immensa, complessa, inimmaginabile struttura cellulare sarebbe sorta per caso?

Ma chi può credere come seria, come scientifica, come ragionevole una ipotesi del genere?

Voglio fare un altro esempio che riguarda l’irragionevolezza del caso. Lo traggo da uno scienziato di fama mondiale, recentemente scomparso: John Eccles, premio Nobel per la fisiologia e la medicina. Sentiamo le sue parole: “Supponiamo l’esistenza di un magazzino immenso di pezzi aeronautici, tutti nelle loro casse o sugli scaffali. Un edificio enorme, mettiamo di mille chilometri per lato (Milano-Reggio-Milano-Reggio). Arriva un ciclone che, per centomila anni, fa roteare e scontrare tra loro quei pezzi. Quando finalmente si placa, dove c’era il magazzino c’è una serie di quadrimotori, già con le eliche che girano….Ecco: stando proprio alla scienza, le probabilità che il caso abbia creato la vita sono più o meno quelle di questo esempio. Con, per giunta, un’aggravante: da dove vengono i materiali del magazzino?

Ho tratto questo esempio da un bellissimo libro di Vittorio Messori, intitolato Inchiesta sul Cristianesimo. Messori ricorda queste parole nel capitolo dedicato all’intervista di Margherita Hack, una scienziata italiana, una delle ultime, che sostiene ancora il caso e che appare in televisione ogni volta che qualche scienziato parla di Dio per ricordare ai telespettatori che esistono anche scienziati non credenti.

Sempre in quel libro trovo questo esempio. Lo fornisce un astronomo e matematico, Fred Hoyle, nato nel 1915. Dice Hoyle: “Ma è possibile che il caso abbia  prodotto anche soltanto gli oltre duemila enzimi necessari al funzionamento del corpo umano? Basta una piccola serie di calcoli al computer per rendersi conto che la probabilità che questo sia avvenuto casualmente è pari alla probabilità di ottenere sempre 12, per 50.000 volte di fila, gettando due dadi sul tavolo (due dadi non truccati, ovviamente). Più o meno la stessa probabilità del vecchio esempio della scimmia che, battendo su una macchina da scrivere, finirebbe con lo sfornare tutta intera la Divina Commedia, con capoversi e punteggiatura al punto giusto. E questo, ripeto, solo per gli enzimi, perché l’improbabilità raggiunge livelli ben più pazzeschi se ci si allarga a tutte le innumerevoli condizioni necessarie alla vita: tutti ‘numeri’ usciti da cilindro del caso? Se si risponde sì, si esce dalla ragione”.

Quanto è significativo sentire dire da uno scienziato, che di ragione se ne intende, che fare ricorso al caso per spiegare la complessità dell’universo vuol dire uscire dalla ragione.

Ma allora, non è più chi scopre l’esistenza di Dio ad essere irragionevole, superstizioso, dogmatico, senza cultura; al contrario, stando a molti scienziati, è chi si rifà al caso ad essere dogmatico e non scientifico.

Andiamo avanti. Nel 1966, il premio Nobel per la fisica veniva consegnato ad uno scienziato austriaco, Alfred Kastler, dichiaratamente ateo, non credente. Una volta, un giornalista francese lo interrogò a proposito del caso e Kastler rispose con un esempio molto bello e facile da ricordare: “Supponiamo che nel corso di uno dei prossimi voli lunari venga esplorata la faccia sconosciuta della luna, cioè quella che ci è opposta e che non vediamo mai, ma che gli astronauti possono raggiungere. Fino ad oggi, essi sono sempre atterrati sulla parte visibile dalla terra perché le comunicazioni via radio rimangono possibili mentre non lo sono più quando ci si trova sull’altra faccia. Supponiamo che essi abbiano la sorpresa di scoprire una fabbrica automatica che produce alluminio: esistono attualmente sulla terra fabbriche completamente automatiche. Essi vedrebbero da un lato delle pale che scavano il suolo e raccolgono l’allumina; dall’altro le barre di alluminio che ne escono. Essi vi troverebbero apparecchiature tipiche della fisica, processi di elettrolisi, poiché l’alluminio viene prodotto mediante elettrolisi di una soluzione di allumina nella criolite. In altre parole, dopo aver esaminato questa fabbrica, essi constaterebbero solo il verificarsi di normali fenomeni fisici perfettamente spiegabili…. con le leggi della causalità.

Si domanda Kastler: Essi ne dovrebbero forse concludere che il caso ha creato tale fabbrica, oppure che degli esseri intelligenti sono discesi sulla luna prima di loro e l’hanno costruita? Ambedue queste possibilità di spiegazione sono reali.

Ma pongo la domanda: sarebbe logico ritenete che il caso ha unito le molecole in modo tale da creare siffatta fabbrica automatica? Nessuno accetterebbe questa interpretazione.

Ebbene, in un essere vivente troviamo un sistema infinitamente più complesso di una fabbrica automatica. Voler ammettere che il caso ha creato tale essere mi sembra assurdo. Se esiste un programma, non posso ammettere programma senza programmatore”.

CONCLUSIONI

Credo sia giunto il momento di approssimarci alla conclusione di questa nostra conversazione.

Gli scienziati studiano, con sempre maggiore stupore, la grandezza, la bellezza, la complessità e le leggi che regolano l’universo e la natura, il macro e il microcosmo. Questi stessi scienziati, anche se non credenti in Dio, sono portati ad escludere che il caso sia all’origine di quello che loro stessi studiano.

Noi, sulla scorta delle loro affermazioni, sulla base dei dati e delle conoscenze che ci trasmettono, noi crediamo – come diceva l’ateo Alfred Kastler – che sia del tutto ragionevole ipotizzare, di fronte ad un programma, l’esistenza di un programmatore. Questo programmatore dell’universo, questo architetto dell’universo creato è Dio. Non è il caso!

La nostra ragione si ferma qui. E’ molto poco – lo dobbiamo dire – rispetto a quello che Dio stesso ci ha fatto conoscere di Lui attraverso Gesù, il Vangelo e la Chiesa.

Ma anche se è molto poco è comunque qualcosa. E’ un inizio: l’inizio di un cammino che la ragione dell’uomo può fare e che dovrebbe spingere lo stesso uomo ad aprirsi a quella Verità che lui – uomo – non può trovare da solo, con le sue forzze, con la sua intelligenza, ma che Dio ci ha fatto conoscere in Gesù Cristo.

E la Verità è questa: Dio ci ama, ci salva, in Lui ogni uomo realizza se stesso pienamente. In Dio trova riposo la nostra ragione, in Dio troviamo il senso della nostra vita, la risposta alle nostre domande e, soprattutto, in Dio noi vinciamo la morte che tutti ci attende per iniziare quella vita eterna del Paradiso che è la gioia e la felicità piena senza mai fine.

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