Protestantesimo: valutazioni critiche

protestantesimoArticolo pubblicato su Il Timone n. 22 Novembre/Dicembre 2002

Scompare il livello oggettivo o ontologico del cristianesimo. Eliminata la mediazione della Chiesa. La fede ridotta a sentimento e la religione consegnata ai sovrani e ai principi. È l’essenza del Protestantesimo.

di don Luigi Negri

Alla fin troppo ottimistica concezione rinascimentale dell’uomo si aggiunge, si intreccia e s’oppone una fin troppo negativa concezione dell’uomo. È quella protestante, secondo la quale l’uomo è irrimediabilmente intriso di male, incapace di meritare alcunché, di per sé destinato alla dannazione eterna.

Nell’idea di Dio comune alle varie denominazioni dei riformatori protestanti, non c’è più quasi traccia del Padre ricco di misericordia che Cristo ha rivelato. Prevalgono i tratti più duri di Dio nel Vecchio Testamento: geloso, giudice, vendicatore. Un Dio siffatto non può che incutere paura ed è impossibile amarlo. lì Calvinismo accentuerà l’idea che il Signore ha scelto, con insindacabile volere e senza venir meno alla giustizia, i predestinati alla gloria o alla dannazione eterna.

All’uomo che si vuole salvare non resta che accogliere la grazia della fede. Ma anche questa è una esperienza della salvezza del tutto individuale, di natura eminentemente psicologica, che tende a ridursi ad un sentimento. Tale concezione prevalentemente negativa dell’uomo è già in qualche modo riscontrabile nella redazione scritta che Lutero ci ha lasciata della sua Turmerlebnis, “l’esperienza della torre” nel monastero di Wittemberg (1513-1514): “Nonostante che vivessi la mia vita di monaco in modo irreprensibile, mi sentivo peccatore di fronte a Dio.

La mia coscienza era estremamente inquieta ed io non avevo alcuna certezza che Dio fosse placato dalle mie riparazioni. Non amavo quel Dio giusto che punisce il peccatore, anzi lo odiavo…. Dio infine ebbe pietà di me e, meditando giorno e notte un certo versetto, cominciai a comprendere che la giustizia di Dio è quella per mezzo della quale il giusto vive del dono di Dio, se ha la fede. Mi sentii allora letteralmente rinascere e mi sembrò di essere entrato nel paradiso”.

La fede è ridotta al sentimento di essere perdonati da un Dio che ritiene giusto l’individuo quando legge la Parola scritta e viene illuminato dallo Spirito. È scomparso il livello oggettivo e ontologico; è eliminata la mediazione della Chiesa, sacramento della presenza di Cristo Salvatore; tutto si svolge a livello morale, affettivo e sentimentale (mi sentivo peccatore, ora mi sento salvato); la ragione e la volontà restano fuori dal convertito, che resta in balia della cultura e del potere del mondò.

Quello di Lutero, di Calvino, di Zwiglio finì per essere – a volte al di là delle loro intenzioni – un rifiuto dell’avvenimento ecclesiale e una riduzione di esso ad esperienza sostanzialmente individuale ed emozionale.

Il Protestantesimo ha ripensato, nel senso moderno, tutta la tradizione. Per i così detti Riformatori, l’evento dell’unico Salvatore – che è Cristo morto e risorto – non permane più storicamente nel suo Sacramento, cioè la Chiesa come Corpo/Sposa, segno e strumento, che vela ma che contiene l’azione salvante di Cristo risorto, di nuovo incontrabile nel Mistero del Popolo radunato nel Padre, Figlio e Spirito Santo. La salvezza è attinta direttamente e verticalmente dal singolo, illuminato dallo Spirito allorquando ascolta le Scritture e crede.

La Chiesa, quindi, non solo non e necessaria per a salvezza, ma diviene ostacolo dal quale prendere le distanze. A motivare la separazione dalla Chiesa di Roma sarà proprio tale concezione individualistica e spiritualista dell’evento cristiano. E non tanto lo scandalo subito dà parto di una Chiesa, alla quale i santi o il Concilio di Trento chiederanno di riformarsi in capite et in membris.

Le cause che fecero divampare il Protestantesimo sono anche di natura economica e politica, spesso interferenti con quelle religiose Ma le vicende personali dei suoi iniziatori ebbero un ruolo determinante. Fu così che nel 1483 (anno di nascita di Lutero) tutta l’Europa cattolica è in comunione con Roma: in pochi decenni e senza nemici esterni, si verifica l’apostasia di 15-20 milioni di fedeli, quasi un terzo della cristianità d’allora.

In Lutero riformatore si catalizzarono istanze di maturazione di tutta la stirpe tedesca (ricordiamo che, della storia che lo precedette, il Reich salverà soltanto Lutero e Federico II di Prussia).

Tuttavia, la separazione totale della fede dalla ragione da lui operata non ha solo difeso la fede dalla ragione (come lui intendeva), ma ha eretto quest’ultima a signora di tutta la storia. La fede, nella versione luterana, non ha più nulla da dire ad uno Stato, che in forza della sola ragione si considererà assoluto padrone di ogni espressione umana, religione compresa; o ad una economia che si organizza in termini di pura efficienza.

I migliori storici dell’età moderna convengono che, senza l’avvallo del Protestantesimo, il capitalismo e l’assolutismo moderni non sarebbero mai sorti. Mentre la Chiesa farà la sua battaglia ad un economicismo che ignora la destinazione universale dei beni, e tratta l’uomo alla stregua di una rotella di un ingranaggio anonimo, spietato e finalizzato solo al profitto (e mantiene sulle banche il sospetto di usura), il Protestantesimo abbandonerà l’economia e l’organizzazione del lavoro all’autonomia della ragione, cioè alla cupidigia della borghesia mercantilistica.

La polemica dei marxisti, contro la società e là religione al servizio degli interessi della classe padronale, è diretta al Protestantesimo (soprattutto a quello calvinista) più che al Cattolicesimo.

Nell’agosto del 1526, Lutero redige Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, con il quale documento consegna di fatto la sua Chiesa a; principi locali, dai quali sarà “protetta”. Nel giugno 1530 la Confessio Augustana consegnerà la confessione religiosa al sovrano, capo e protettore della Chiesa.

Così il fatto religioso cristiano è privato della sua capacità di giudizio, conservando soltanto la possibilità di “sentire” la consolazione di una fede, ormai confinata nel privato della coscienza del singolo. Dopo la Riforma Protestante, e anche per causa sua, lo scenario politico dell’Europa subisce una profonda trasformazione: dall’ “Europa dei popoli e delle Nazioni” all’Europa degli Stati moderni, che spesso altro non è che l’assolutismo di Stato, almeno come immagine del potere che vi viene esercitato. Impropriamente definito “nazionale”, lo Stato si va concependo con una autorevolezza totale, esercitata anche sulla religiosità.

La “chiesa” luterana si autoriduce a istituzione naturale di tipo pedagogico-morale, culturale e solidaristico; e come tale si sottomette allo Stato, del quale si ritiene una parte. Esempio eloquente è l’Atto di supremazia che nel 1534 dà origine alla Chiesa d’Inghilterra: Enrico VIII, capo dello Stato anglicano, diviene anche capo della Chiesa e nomina l’Arcivescovo di Canterbury, cui segue la ratifica del Parlamento.

Si ripete quanto era avvenuto con Lutero (con il manifesto Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca e nella Confessio Augostana), il quale già nel 1525 non aveva esitato ad esortare i principi della regione a reprimere sanguinosamente la rivolta di quei “cani” guidati da Munzer, che si erano ribellati in nome del Vangulo di nuovi proprietari ed ai nuovi poteri dello Stato (cfr. Contro le empie e scellerate bande dei contadini).

All’interno di questa logica, avviene anche la spartizione tra Stati cattolici e Stati protestanti. Questa rigida frantumazione è fissata con la Pace di Augusta nel 1555 da re Ferdinando e dai principi. La formula cuius regis, eius religio autorizza i principi a stabilire a quale religione devono appartenere i residenti nei grandi come nei piccoli territori: ciascuno seguirà la religione del suo principe. Ciò che ne deriva sono grandi emigrazioni e defezioni in massa (come quelle di Alberto di Hoenzoller capo dell’Ordine Teutonico, che passa al Protestantesimo e dà origine a quello che sarà lo Stato di Prussia, durato fino agli anni ’20 del secolo scorso).

Lo Stato che unifica culturalmente non può però impedire la lotta fra egemonie: Francia contro Spagna, per l’egemonia nel Mediterraneo; Spagna contro Inghilterra, per l’egemonia sull’Atlantico; Europa contro America, per l’egemonia sul mondo.

La politica di Stato, inteso come dimensione definitiva della realtà, è anche la causa delle cosiddette “guerre di religione”: pur prendendo spunto da questioni religiose, esse sono in realtà guerre fra Stati o fazioni interne al medesimo Stato (ad es.: la Notte di s. Bartolomeo). Al termine della Guerra dei Trent’anni – la più devastante delle guerre di religione – la carta geopolitica dell’Europa verrà disegnata dai Trattati di Westfalia (1648) con il criterio del cuius regis, eius religio.