L’Uomo nero e la flotta Rossa

Savietzskj Sajus

la Savietzskj Sajus in navigazione nel Baltico

Pubblicato su Il Sabato

del 15 dicembre 1990

Il fascista Mussolini che costruisce la potenza navale sovietica. Sembra un paradosso. E invece è storia. Sino a oggi quasi inedita

di Franco Bandini

Il 28 agosto 1938 le grandi gru del cantiere Orgionikidze di Leningrado deposero sullo scalo la prima lamiera della «Savietzskj Sajus», nave da battaglia capostipite di una classe di quattro che sarebbero state le maggiori e le più potenti in acque occidentali, dato il loro dislocamento di quasi 60mila tonnellate, e l’armamento di nove pezzi da 406 millimetri in tre torri trinate.

Il 17 luglio dell’anno dopo, nei cantieri Marti di Nikolajev, sul Mar Nero, fu la volta della gemella «Savietzkaja Ukraina», e tre mesi dopo, ma nei cantieri di Severodvink, nei pressi di Arcangelo e quindi in un fiordo interno del Mar di Barents, fu messa sullo scalo la «Savietzkaja Rassja»: accanto a lei avrebbe dovuto esser costruita la quarta unità, ma il progetto venne cancellato, forse per difficoltà nell’approvvigionamento delle grosse artiglierie.

Tutte e quattro le gigantesche navi da battaglia non erano altro che le repliche maggiorate, ma sostanzialmente identiche, delle nostre «Littorio». Il che non stupisce, dal momento che i relativi piani di costruzione completi erano stati ceduti nel corso del 1936 e 1937 dalla Regia Marina italiana.

Per quanto già sorprendente al massimo grado, non si trattava di un fatto isolato, ma del segmento terminale di una lunga collaborazione tra le due Marine, iniziata anche prima di quel 2 settembre 1933 in cui Mussolini e l’ambasciatore sovietico Potemkin avevano firmato, in Roma, quel Trattato di amicizia, non aggressione e mutua assistenza che doveva durare intatto, nonostante la guerra di Spagna e il Patto Antiocomintern, sino al 22 giugno 1941.

Infatti, già prima di questa firma, la genovese Ansaldo aveva costruito per la Marina sovietica due grandi vedette rapide, che avevano raggiunto Vladivostok l’11 dicembre 1934. Assieme a queste due prime unità vennero ceduti un gran numero di Mas, siluri ed artiglierie leggere.

Grande accordo

Nel corso del 1934, 1935, 1936 e 1937, il fascismo ricostruì dal nulla ed in pratica una intera e temibile potenza navale sovietica, per un complesso finale di oltre 400mila tonnellate di navi da guerra. Furono ceduti i piani dei cacciatorpediniere classe «Oriani», ed i russi ne costruirono 54, trenta dei quali prima dello scoppio del secondo conflitto.

Cedemmo quelli degli incrociatori leggeri «Montecuccoli», di quasi 8mila tonnellate, e la Marina sovietica ne trasse la classe «Kirov», i primi quattro dei quali furono impostati tutti prima della fine del 1936. cedemmo anche i paini degli incrociatori pesanti «Zara», che dettero origine alla classe «Ciapaiev» di 15mila tonnellate.

In più costruimmo a Livorno, presso la Odero Terni, il più veloce supercaccia del mondo, quel «Taskent» che mise in allarme vivissimo i giapponesi, i quali temevano di vederselo comparire nelle acque dell’Estremo Oriente, con la sua velocità di quasi 45 nodi. Ma l’impegno per il «Taskent» era in realtà doppio e forse quadruplo, poiché l’accordo prevedeva che altre tre unità dello stesso tipo, però più ridotte, sarebbero state costruite sotto nostra sorveglianza nei cantieri di Leningrado e di Nikolajev: e difatti presero puntualmente servizio da questi scali il «Leningrad», il «Moskvà» ed il «Minsk».

Per quanto sia difficile stabilire oggi cosa realmente recitasse l’accordo indiscutibilmente esistito tra il governo italiano e quello sovietico, pure una miriade di notizie accessorie permette di stabilire che esso fu amplissimo. Non soltanto fornimmo anche i piani per un’intera e moderna classe di sommergibili, ma inviammo in Russia due missioni di ingegneri navali che presiedettero alla costruzione, varo e collaudo delle unità navali capofila di ogni serie.

Fornimmo le turbine e le piccole artiglierie per un imprecisato numero di scafi, nonché gli apparati di guida e puntamento di quasi tutte. La Siai Marchetti di Sesto Calende costruì nella fabbrica numero 23 di Leningrado alcune squadriglie del suo idrovolante S62 monomotore per ilo servizio di esplorazione della Flotta Rossa, e vi furono trattative, alle soglie della guerra, per la cessione del Re 2000, l’eccellente caccia della Reggiane, all’Aeronautica sovietica.

Cortina di silenzio

Questo panorama, che ho schizzato in modo molto sintetico, pone svariate e inquietanti domande, la prima delle quali è che di esso non si è mai saputo nulla, né allora né oggi, in sede storica. Nessun commentatore navale, indagando sui precedenti del secondo conflitto, ha mai minimamente alluso alle alterazioni nella bilancia marittima che l’entrata in servizio delle nuovissime e potenti unità sovietiche avrebbe comportato.

E nessuno sembra abbia mai avuto la curiosità di chiedersi, e di spiegare, come mai Mussolini, il fiero anticomunista di sempre, sia stato di fatto il ricostruttore della potenza navale sovietica, con uno sforzo unitario e prolungato che non trova alcun riscontro negli annali dei rapporti tra potenze moderne.

Questo silenzio è comunque totale nelle pubblicazioni tecniche ed ufficiali della Marina italiana, benché larghe frazioni dello Stato maggiore e del Comitato progetto navi siano state assorbite per anni in rapporti bilaterali dei quali però non è rimasta alcuna traccia. Egualmente dicasi per il «Diario» di Galeazzo Ciano, che per essere a quel tempo il ministro degli esteri, nonché personalmente interessato alle vicende del cantiere Oto della sua Livorno, dovette ben sapere quanto si stava facendo per la Russia, pur nel pieno della Guerra di Spagna. Invece, non una parola.

Sul piano tecnico-politico, l’opera di ricostruzione della Marina Rossa intrapresa da Mussolini pone un problema storicamente assai grave, al quale in qualche modo si dovrà dare soluzione. Un’analisi minuta delle nuove costruzioni sovietiche dimostra molto bene quali fossero gli intendimenti perseguiti dall’Ammiragliato Rosso dal 1935 in poi.

Due delle supercorazzate erano evidentemente destinate, col naviglio di appoggio, alla Flotta Artica, con la possibilità di penetrare in Atlantico girando attorno a Capo Nord. Una avrebbe operato nel Baltico, anche qui con un potente appoggio di incrociatori, sommergibili, un incrociatore da battaglia ed una portaerei.

L’ultima «super» avrebbe operato in Mar nero, e difatti venne trovata in avanzato stato di costruzione a Nikolajev dai tedeschi, quando si impadronirono della città nell’agosto 1941. Accanto ad essa vi sarebbe stato il secondo incrociatore da battaglia, una portaerei, ed uno stuolo di incrociatori leggeri e pesanti: tutti di disegno italiano.

E’ immediatamente possibile concludere che questo schieramento navale non era diretto contro il Giappone, ma contro le potenze occidentali.

Le due grandi unità dell’Artico avrebbero causato seri imbarazzi alla Gran Bretagna. Oltrechè a Svezia e Norvegia. In aggiunta alla terza unità del Baltico, gli imbarazzi tedeschi sarebbero stati ancora più gravi. Non esiste alcuna documentazione sull’allarme che le nuove costruzioni, ed anzi la nuova politica navale sovietica, sicuramente generarono in tutta l’area nord europea, segnatamente a Londra e Berlino.

Ma, mentre può essere avanzata l’ipotesi che l’inquietudine tedesca abbia potuto essere moderata sia per una corretta valutazione delle capacità sovietiche a servirsi bene di questi formidabili strumenti, sia per la certezza che Hitler nutriva di arrivare comunque ad un accordo con Stalin, l’allarme britannico dovette essere invece notevole, poiché una possibile collusione tra le tre dittature sarebbe stata disastrosa a partire dal 1942. In quell’anno, i programmi navali italiani, tedeschi e sovietici sarebbero stati completati, e la già angusta superiorità navale britannica sarebbe divenuta soltanto un malinconico ricordo.

Non c’è alcun dubbio che queste considerazioni, indubbiamente fatte, accelerarono di molto la «fatalità» del secondo conflitto. E forse è per questo che se ne tace.

Per ciò che riguarda il Mar Nero e l’Italia l’aiuto prestato da Mussolini alla allora inesistente Marina Rossa in quel mare sembra, di primo acchito, il prodotto di un cervello malato. Difatti, una potente flotta istallata a Sebastopoli avrebbe portato al calor bianco le apprensioni turche, come difatti avvenne: ed avrebbe accentuato la pressione sovietica su tutti gli stati rivieraschi, Romania, Bulgaria, ed indirettamente anche sulla Grecia.

Alla lunga sarebbe stato impossibile mantenere in vigore il regime degli Stretti sancito a Montreux, col risultato di veder comparire la Flotta Rossa in Egeo. Non si trattava dunque, per Mussolini, di una politica specialmente illuminata, ammenoché…

Ammenoché egli non fosse persuaso che gli sarebbe stato più facile intendersi con i sovietici, piuttosto che con le potenze occidentali, dalle quali, nonostante tutto il primo decennio del 1922, non era riuscito ad ottenere nulla di consistente, e per le quali, da buon socialista, nutriva un rancoroso livore di classe.

L’annuncio mancato

Dopo questo passo, per un istante, Mussolini pensò di spedire a Mosca Galeazzo Ciano, per un «clamoroso annunzio», evidentemente sulla falsa riga degli accordi Hitler-Stalin dell’anno precedente: poi ci ripensò, o forse fu indotto a ripensarci. Ma pare indubbio che i precedenti della guerra di Grecia nascano qui: su questa storia «non detta», e che un giorno sarà bene chiarire.

Non a difesa di Mussolini, il cui gioco fu obiettivamente pericoloso in ragione direttamente proporzionale alla debolezza italiana, che egli ben conosceva: se avesse scelto di vincere con le democrazie, non avrebbe potuto attendersi da tali «alleati» più di quanto l’Italia aveva ottenuto dopo il 1918, e cioè poco o niente del tutto. Se avesse abbracciato l’altra opzione, in un ipotetico schieramento a tre, avrebbe dovuto comunque fare i conti con una Russia padrona del Medio Oriente, dei Balcani e del Mediterraneo di Levante.

L’aver riarmato sul mare la Russia sovietica fu forse l’errore decisivo. Fa parte dell’ironia della Storia che l’unica porta ad aprirsi sia stata quella dell’Italia fascista di Mussolini: e questa potrebbe essere la non ultima ragione per la quale gli inglesi – sempre attentissimi alle questioni navali – cominciarono a concepire per Mussolini, ma anche per l’Italia industriale e borghese, quell’astio permanente che ci costò così caro durante e dopo la guerra.

Ai conservatori inglesi, a Churchill, Hitler non andava giù: ma odiavano silenziosamente Stalin, da buoni inventori del «cordone sanitario». Che qualcuno coltivasse clandestinamente quello che essi ritenevano un virus mortale, di certo non li rallegrò. E con ragione.