Medioevo. Accendiamo le luci sui «secoli bui» dell’Europa

Pubblicato su Il Giornale del 17 agosto 2005
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di Marco Meschini

Quando il professor Cristoforo Keller, in una tarda serata del 1688, vergò l’ultima pagina del suo lungo lavoro, non sapeva d’aver scritto un’opera storica. O meglio, sapeva d’aver composto una storia – Historia, infatti, l’aveva intitolata – ma non immaginava che il resto del suo titolo sarebbe stato un colpo di genio epocale: Historia Medii Aevi, Storia del Medio Evo. Keller – anzi, Cellarius, perché il latino era ancora la lingua nobile, e si usava latinizzare il proprio nome -, docente di storia ed eloquenza in un’università tedesca, aveva d’un tratto inventato un mondo: fra l’Età Antica e l’Era Moderna – o Recente, come la chiamava lui – fra Roma e i moderni c’era stato un lungo intermezzo, una monolitica Età di passaggio. Era “nato” il Medio Evo.

Certo, già Giorgio Vasari, nel 1550, aveva distinto tre epoche per la storia dell’arte; e a ben vedere pure l’umanista Flavio Biondo aveva scritto, intorno al 1450, una storia di quei circa mille anni che Keller avrebbe raggruppato con due parole, presto fuse in un unico vocabolo. Ma fu a partire dall’opera del professor Cellarius che iniziò uno dei più duraturi dibattiti culturali che il mondo occidentale abbia mai conosciuto. Da allora a oggi infatti – e son più di trecento anni – storici e filosofi, politici e preti, lettori e appassionati si son dati battaglia sul senso del Medioevo.

Così, in pieno Settecento, Voltaire e i suoi epigoni illuministici hanno scaricato sul Medioevo tutto il marcio che passava nelle loro penne: oscurantismo, irrazionalità, intolleranza. Per far risplendere maggiormente i loro Lumi era necessario far calare il buio sopra il passato prossimo; ed ecco che il Medioevo finiva ripudiato perché troppo segnato dalla fede e dalla Chiesa cattolica, l’«Infame», il nemico che si doveva schiacciare per sempre.

Contro questa visione si erse l’Ottocento dei romantici: nel Medioevo non c’era forse stato l’afflato unitario della fede, l’impresa immensa delle crociate? Non era forse nato l’amore cortese, non erano sorte le cattedrali? Medioevo diveniva sinonimo di Cristianità, di unione nel nome d’un ideale superiore.

Eppure l’Ottocento era anche il tempo delle nazioni europee in lotta le une contro le altre. Ed ecco quindi i francesi a cercare la propria superiorità nazionale nel millennio medievale: le crociate, in fin dei conti, non le avevano fatte loro? E i tedeschi a trovare ovunque, scorrazzando per i famosi mille anni, segni della loro «germanicità» (protestante), da ripulire dal contatto con la cultura latina (cattolica). E l’Italia non derivava forse dal Medioevo i suoi Comuni, capaci di rovesciare a Legnano la tirannia tedesca del Barbarossa? E non era forse l’Austria di metà XIX secolo l’immagine dell’Impero tedesco medievale?

Così bistrattato, il Medioevo finì nei manuali di storia come un lungo elenco di papi e imperatori, re e battaglie, finendo con l’annoiare anche lo studente più diligente. E finì obliato, a parte un manipolo di storici che, da un capo all’altro dell’Europa, andavano chiedendosi: «Ma cos’è davvero il Medioevo?». Iniziò una lunga stagione di studi, svoltasi per oltre metà del XX secolo nel silenzio degli archivi a togliere polvere, riportare alla luce le tracce di un mondo sommerso ma non scomparso del tutto.

Poi la ruota della Fortuna fece un altro giro. Qualcuno rivelò Il nome della rosa, e fu un bestseller mondiale: i segreti all’ombra dei chiostri medievali ridivennero all’improvviso alla moda, come non erano più almeno dall’inizio del XIX secolo, da sir Walter Scott con il suo Ivanhoe, pieno di cavalieri splendenti, nobili vergini e luridi templari. Già, i templari e i loro inconfessabili segreti. E i tesori dei catari. E i misteri del Graal. Una caccia senza freni s’è scatenata da allora alla ricerca degli enigmi «medioevali».

Ma cos’è dunque questo Medioevo? «Il mondo europeo, in quanto europeo, è una creazione del Medioevo»: queste parole di Marc Bloch, lo storico belga che versò il suo sangue contro il nazismo nel 1944, sono il viatico che vogliamo prendere prima di cominciare il nostro viaggio.

Perché la storia d’Europa è nata nel Medioevo, dal crogiolo di popoli che si sono scontrati e incontrati su questa propaggine d’Asia, su questa terra che non è Asia e che anzi è Europa, come capivano bene gli uomini che, nel 732 dopo Cristo, combatterono a Poitiers contro un’incursione musulmana: «Allora gli europenses, gli europei, serrarono gli scudi. E vinsero». I mille anni del Medioevo sono il lungo formarsi della civiltà europea, anche se l’Europa non si è fermata con la fine dell’Età di Mezzo.

Il Medioevo non si può liquidare con un’alzata di spalle, come se «mille anni fossero un giorno che passa»: sarebbe la protervia di chi si crede Dio, o almeno un dio, e scorda la storia da cui proviene, il maestoso albero sul quale svettano le nostre conquiste. Sarebbe dimenticare che «siamo come nani sulle spalle di giganti», secondo le parole di Bernardo di Chartres, maestro del XII secolo.

Rileggere la storia del Medioevo ci porta lontano da noi, nel senso che ci porta in un tempo che certamente è finito: ed è il bello della scoperta di terre nuove, di imprese spesso dimenticate e invece degne di ricordo. Ma soprattutto la storia medievale ci conduce alla riscoperta di noi stessi, delle nostre radici: di ciò in cui abbiamo sbagliato, certo, ma principalmente di ciò che è nobile e grande.

È questa la stella che vogliamo seguire nel nostro viaggio, nella vasta selva del Medioevo.