«Caro camerata Dossetti…»

DossettiRadici Cristiane n. 98 ottobre 2014

Ha scatenato il finimondo la pubblicazione di una lettera, scritta nel 1937 dal segretario del Fascio di Reggio, Sante Simonini «al Fascista Dossetti Giuseppe». Lettera in cui lo si definisce un «ottimo elemento, attivo», di sicura fede littoria. Eppure, dopo, riparlando di quei tempi, Dossetti preferì definirsi un antifascista convinto. Già il card. Biffi ha evidenziato la sua «faziosità, le sue reticenze sui crimini dei comunisti, il suo silenzio sul clero ucciso dai rossi» le sue «allergie alle ricerche storiche obiettive, quando non servano ad aiutare le sue premesse ideologiche». La storia si ripete. Aggredendo ancora chiunque osi proporre un dibattito serio ed oggettivo su Dossetti e su quegli anni

di Mauro Faverzani

Tutto ha avuto inizio col documento pubblicato da Rossana Maseroli Bertolotti nel suo libro dal titolo La guerra dentro la guerra. Si tratta di una lettera scritta dal segretario del Fascio di Combattimento di Reggio Emilia, Sante Simonini, «al Fascista Dossetti Giuseppe». E datata 18 ottobre 1937, XV anno dell’Era Fascista. Si tratta di un semplice invito a presentarsi due giorni dopo «presso la Casa del Fascio, per conferire col sottoscritto».

Banali comunicazioni. Ma la missiva, circa il destinatario Dossetti, contiene anche un giudizio alquanto netto: «Ottimo elemento, disciplinato, attivo, di fede fascista, di intelligenza sveglia, è forte. Ha dato indubbie prove di ottime qualità oratorie ed ha dato attività sia alla sezione culturale del Guf [il Gruppo Universitario Fascista—NdR] che all’Istituto Fascista di Cultura». Non un semplice iscritto, dunque, costretto come tanti altri a prender la tessera. Ma un membro convinto e consapevole dell’ideologia al potere.

Questo è l’ incipit dello scritto, «Caro camerata», stride con chi, come lui, non solo viene considerato, ma a sua volta ha fatto di tutto per esser reputato un’icona della Liberazione prima, della Costituente poi, sicuramente un riferimento certo per il cattolicesimo progressista o di sinistra, che dir si voglia. All’epoca Dossetti era ancora studente presso l’Università di Milano. Vinse pochi anni dopo la cattedra ed iniziò così la sua carriera accademica.

La notizia è arrivata alla stampa. Il primo a darla è stato il quotidiano Prima Pagina di Modena e Reggio nell’edizione dello scorso 27 marzo con un articolo di Andrea Zambrano, che scrive: «Dossetti fece in tempo a smarcarsi da quell’ideologia per abbracciarne un’altra, coniata a sua immagine e somiglianza: quella che abbracciava dottrina cattolica e necessità di alleanza col nemico comunista».

Poi del caso si è occupato anche il Giornale. Quindi Avvenire, che ha scomodato le firme del nipote don Giuseppe Dossetti junior e dello storico Sandro Spreafìco, per concludere che «tutte le migliori menti erano parte del Guf», che quella lettera sarebbe da intendersi come «un fatto isolato» e che la partecipazione di Dossetti alla vita fascista avrebbe riguardato “soltanto” l’aspetto culturale. Qualcosa di marginale, insomma.

Ma, rileva Zambrano in un articolo di risposta apparso sempre su Prima Pagina, non è proprio così. Enrico Galavotti, nel suo libro II giovane Dossetti, ha pubblicato un estratto di una delle conferenze, tenuta da Dossetti a Montecchio nel 1934, in cui il relatore contrappose alle nefaste conseguenze del bolscevismo «la meravigliosa opera ricostruttrice e redentrice del fascismo, che ha fatto dell’Italia il centro di irradiazione di civiltà nel mondo». Posizioni esattamente opposte a quelle da lui assunte dal dopoguerra in poi.

Eppure queste cose pare che siano tabù: sui social network scoppia il finimondo e si giunge a bollare Zambrano come un «piccolo uomo, senza peraltro grosse difese da parte dei saloni della democratica Reggio», commenta lui stesso. Questo e la «sguaiata reazione di alcuni esponenti del Pd» e dei «cristiano sociali» al suo articolo, lo hanno spinto ad una considerazione: «Ciò che viene impedito — scrive su Prima Pagina – è avviare un dibattito serio su base storica su tutti gli aspetti die la sua multiforme attività ha sollevato. Anche il Cord. Giacomo Biffi, che di Rossetti fu Arcivescovo quando questi ricevette dal pastore bolognese l’approvazione della regola per la sua comunità sacerdotale, dovette riconoscere la sua “faziosità, le sue reticenze sui crimini dei comunisti ed il suo silenzio sul clero ucciso dai rossi tanto a Reggio quanto a Bologna”», come scritto da Sua Eminenza l’anno scorso nel libro Don Giuseppe Dossetti, nell’occasione di un centenarìo.

Libro, in cui il Cardinale ha lamentato anche, di Dossetti, le «allergie alle ricerche storiche obiettive, quando non servono ad aiutare le sue premesse ideologiche». Conclude Zambrano: «Nessuno è perfetto. Però evidentemente in certi ambienti questo non si può dire. E, se si dice, bisogna passare le forche caudine del tribunale del popolo, retta dai cattocomunisti nostrani».

SENZA VERITA’ NON C’E’ RICONCILIAZIONE

I fatti sembrano dargli ragione. Il settimanale diocesano di Reggio, Libertà, pubblica un intervento alquanto critico nei confronti del giornalista, firmato da Danilo Merini, Presidente dei Partigiani Cattolici. Intervento, cui l’interessato, Zambrano, ha replicato con una composta lettera. Che, tuttavia, non è mai stata pubblicata. Cos’ha scritto di tanto scomodo? «La storia non si fa né con i se, né con i ma. Ed è proprio per questo che dobbiamo approcciarci al problema con serenità e amore per la verità. Dossetti era un fascista come tanti e nella sua attività faceva propaganda per il Fascio».

Il che stona «con quanto Dossetti disse di se stesso molti anni dopo su quel suo passato. A colloquio con Lazzati, cinquantanni dopo quella stagione, poteva tranquillamente dire che “il fascismo era completamente accettato ed io avevo assunto già allora una posizione piuttosto negativa nei suoi confronti, una posizione di non adesione, se non addirittura di protesta, senza peraltro aver indagato approfonditamente sulle motivazioni di tale rifiuto. Insomma, il fascismo mi stava epidermicamente sullo stomaco”».

Aggiunge Zambrano: «Mi augurerei che dal mondo cattolico arrivasse qualche contributo a parlare senza schemi ideologici e senza reticenze di quella stagione». In riferimento poi «a quell’ intellighentia per la quale andare a parlare di queste scomode verità è inopportuno», egli oppone con vigore la propria onestà intellettuale: «Non ho la necessità di difendere recinti presidiati con le armi della faziosità», le stesse utilizzate da coloro che su Internet hanno aggredito verbalmente il vescovo, mons. Massimo Camisasca, quando, appena giunto a Reggio, definì semplicemente «controversa» la figura di Dossetti: «Senza verità — conclude Zambrano — la riconciliazione con il passato dei nostri nonni è impossibile».

Queste parole non hanno ad oggi trovato spazio né sul settimanale diocesano, né altrove. Il che suscita inquietudine e preoccupazione. Poiché, quando si evita il confronto culturale, quando si smorza il dialogo og-gettivo, quando si interpreta la verità, anziché limitarsi a proclamarla, tutto diviene più difficile. Molto più difficile. E pericoloso.