La denuncia degli orrori della guerra civile e della persecuzione religiosa

guerra SpagnaL’Osservatore Romano
Martedì 30 Giugno – 1 Luglio 1997

Sessant’anni dalla Lettera Collettiva dell’Episcopato Spagnolo

di Vincente Cárcel Ortí

Nella Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente il Santo Padre ha detto che “Pio XI dovette misurarsi con le minacce di sistemi totalitari o non rispettosi della libertà umana in Germania, in Russia, in Italia, in Spagna…” n. 22). Il giusto riferimento alla Spagna riguarda gli anni trenta, quanto la Seconda Repubblica, proclamata nel 1931, instaurò un sistema “non rispettoso della libertà umana” perché calpestò la libertà religiosa, che è il primo e più fondamentale dei diritti dell’uomo.

A distanza di sessant’anni, emerge la valenza storica del più importante documento dell’Episcopato spagnolo, reso pubblico il 1° luglio 1937, che in questi anni è stato come soffocato da una storiografia poco attenta a questa tematica oppure polemica nei suoi confronti.

È giusto, in nome del rigore della ricerca storica, analizzare il contenuto di detto documento, che conduce inevitabilmente a ricordare gli orrori della guerra civile spagnola e, soprattutto, le vittime della persecuzione religiosa? O l’iniziativa rischia di riaprire ferite di un passato che tutti vorrebbero dimenticare?

Ancora una volta, il ricordo di un importante avvenimento storico, nel nostro caso la persecuzione religiosa spagnola, fa riemergere nel modo più doloroso le ambiguità, i dilemmi irrisolti, le inevitabili doppiezze del rapporto della Russia sovietica (e del resto d’Europa favorevole alla screditata Repubblica spagnola) nei confronti di un governo che violò sistematicamente i diritti fondamentali della persona umana.

Nel 1934 ebbe luogo nelle Asturie la tristemente celebre “rivoluzione rossa di ottobre”, definita dal professore Gregorio Marañón come “il tentativo in regola di eseguire il piano comunista di conquistare la Spagna”. Ed il repubblicano Salvador de Madariaga, scrisse: “Con la rivoluzione del 1934, la sinistra spagnola perse perfino l’ombra di autorità morale per condannare la ribellione del 1936”.

Il documento dei Vescovi spagnoli si inserisce nel contesto crudele della guerra civile spagnola, ma si inserisce anche nel contesto di altre iniziative pontificie, come le encicliche Mit brennender sorge (14 marzo 1937), con la quale Pio XI denunciò il regime nazionalsocialista perché non rispettò né la lettera, né lo spirito del Concordato del 1933, e Divini redemptoris (17 marzo 1937) contro il “comunismo ateo”, nella quale mise in evidenza il pericolo che potevano rappresentare da due dimensioni sociali – panteismo nazionalsocialista e ateismo marxista – che si richiamano viceversa al nichilismo, che oltre ad essere distruttivo per l’umanità, è anche autodistruttivo.

La Chiesa in Spagna era consapevole in quegli anni di dover agire in modo deciso per favorire e difendere i beni fondamentali della giustizia e della pace, di fronte all’affermarsi nella società spagnola di tendenze opposte. In tale Lettera Collettiva i Vescovi denunciarono quanto la Chiesa aveva patito e continuava a patire nella Spagna repubblicana, vittima dell’ideologia comunista, che come il nazismo in Germania, scatenò una crudele persecuzione e, superando perfino la ferocia nazista, soppresse il culto cattolico in tutte le sue forme ed espressioni sia pubbliche o private.

Il 18 luglio 1936 scoppiò in Spagna la guerra civile, che fu la conseguenza logica della violenta e caotica situazione nazionale creatasi dopo le elezioni del mese di febbraio dello stesso anno, in seguito alle quali il “Fronte Popular” (coalizione di socialisti, comunisti, anarchici ed altri elementi estremisti e violenti) prese il potere. Il governo repubblicano dimostrò la sua incompetenza nell’affrontare la complessa realtà spagnola, e dopo alcuni mesi di grande instabilità politica, un settore dell’Esercito, con l’appoggio di una grande parte del popolo, si sollevò in armi per porre fine ad una situazione ormai insostenibile da ogni punto di vista.

Da quel momento la Spagna rimase divisa in due zone: da una parte i partigiani della Repubblica, chiamati i “rossi”; dall’altra i favorevoli ai militari sollevati, chiamati “nazionali”, che formarono il Governo presieduto dal Generale Francisco Franco. La Santa Sede mantenne il suo rappresentante a Madrid fino agli inizi del mese di novembre del 1936. Il Nunzio Tedeschini, creato Cardinale, era partito un mese prima dall’inizio della guerra, e Mons. Filippo Cortesi, non giunse mai nella Spagna repubblicana presso la quale era stato nominato Nunzio.

Il 16 maggio 1938 Mons. Gaetano Cicognani fu nominato “Nunzio apostolico nella Spagna presso il Governo nazionale di Salamanca”. Con questa nomina la Santa Sede riconosceva ufficialmente il Governo presieduto dal generale Franco, quando ormai erano trascorsi quasi due anni di guerra civile. Il quadro della situazione religiosa nella Spagna repubblicana dall’imperversare della persecuzione non poteva essere più triste, dopo due anni di ininterrotto conflitto armato.

Dove era passata la furia devastatrice della rivoluzione comunista, con il contributo anche di socialisti ed anarchici, tutto ciò che aveva attinenza con la Chiesa era stato distrutto, incendiato, saccheggiato: chiese, seminari, canoniche, palazzi vescovili, conventi, sedi di associazioni cattoliche. Distrutti e rubati arredi sacri, tesori artistici. Le diocesi totalmente devastate in tutta la Spagna erano 27, 8 quelle devastate in parte e 22 quelle rimaste quasi incolumi.

A parecchie migliaia ammontava il numero degli ecclesiastici massacrati nei modi più barbari ed a molte decine di migliaia quello dei laici cattolici, per lo più i migliori. Nei territori ancora sotto controllo del governo repubblicano continuava la persecuzione religiosa, che si acuiva quando si avvicinavano i nazionali. Il culto pubblico era stato dovunque soppresso e quello privato era difficile e pericoloso. Alla tristissima situazione religiosa della Spagna governativa faceva netto contrasto quella della Spagna nazionale, dove la vita religiosa si svolgeva normalmente, notandosi anzi un consolante risveglio spirituale e una maggiore frequenza ai sacramenti. Il generale Franco manifestava apertamente i suoi sentimenti cattolici.

Nel suo complesso il Governo nazionale era favorevole alla Chiesa. Il generale Franco voleva fare della Spagna una nazione cattolica, fedele alla sua tradizione religiosa. Non mancarono tuttavia eccessi da parte delle autorità civili, per la tendenza spagnola di legiferare in materia di stretta competenza dell’autorità ecclesiastiche.

La Guerra Civile, non ostante la sua crudeltà, non provocò “un milione di morti”, come è stato acriticamente detto per molti anni. Recenti e rigorosi studi statistici hanno dimostrato che furono circa 270.000 le vittime del conflitto fratricida, sia nei campi di battaglia sia nelle repressioni delle due retroguardie, comprese anche le vittime della persecuzione religiosa nella zona repubblicana. Trattasi, pur tuttavia, di una cifra ingente, che rivela la crudeltà della tragedia, ancor più tragica e grave se si tiene conto che i fratelli uccidevano i fratelli in una Spagna ritenuta tradizionalmente cattolica.

Per capire storicamente la tragedia spagnola del 1936 e, soprattutto il protagonismo della Chiesa – che in quegli anni tremendi subì la maggiore persecuzione della sua storia -, è necessario ripercorrere seppure brevemente le tappe fondamentali della vita repubblicana iniziatasi cinque anni prima e l’evoluzione della società spagnola.

La II Repubblica fu anticattolica

Con la proclamazione della Seconda Repubblica, avvenuta il 14 aprile 1931, la Chiesa in Spagna, invisa al nuovo regime per la sua dottrina e la sua azione, fu subito posta in stato di latente persecuzione sul piano legislativo. A questo stato di cose, già di per sé gravissimo, fece seguito, ad opera dell’estremismo anarchico socialista, uno stato di violenza fisica sulle persone e sulle cose.

Le prime vittime risalgono al 5 ottobre del 1934, durante la cosiddetta “rivoluzione delle Asturie”, quando furono assassinati 37 fra sacerdoti, seminaristi e religiosi e furono incendiate 58 chiese. 8 di essi, e precisamente sette Fratelli delle Scuole Cristiani ed un Passionista sono stati beatificati nel 1990.

Iniziò cosi il lungo Martirologio della Chiesa di Spagna quando mancavano ancora due anni allo scoppio della Guerra civile e la Chiesa non si era pronunciata in favore del militari definiti “ribelli”. Anzi, sin dal primo momento i Vescovi avevano riconosciuto il legittimo Governo repubblicano.

La Repubblica, tuttavia, manifestò la sua aperta ostilità nei confronti dei cattolici. E nell’estate del 1936, socialisti, comunisti ed anarchici scatenarono la maggiore persecuzione religiosa della storia di Spagna. L’assassinio di ecclesiastici e di semplici laici, nel tentativo di annientamento fisico della Chiesa cattolica nelle persone e nelle cose, divenne normale durante i primi sei mesi del conflitto armato, iniziato con il “Movimento Nazionale” del 18 luglio del 1936 e durato fino al 1° aprile 1939.

La gravità di questa azione persecutoria fu tale che già nei primi sei mesi si giunse ad un numero elevatissimo di vittime ecclesiastiche – oltre 6.500 – con l’annientamento totale di ogni presenza religiosa nella cosiddetta “zona rossa”. Gli orrori commessi in obbedienza all’ideale dell’ateismo militante sembrano oggi lontani, eppure è un quadro di infamie che, nelle zone “rosse” della Spagna, furono il frutto logico di correnti di pensiero e di azione di natura profondamente antiumana e attivamente anticristiana.

La persecuzione religiosa fa comprendere quale errore storico commetterebbe chi giudicasse la Guerra di Spagna in base al solo aspetto sociale e politico. In essa fu essenziale l’elemento religioso. L’atteggiamento della Santa Sede e della Chiesa in Spagna nei confronti di tale guerra è ancora oggi una questione complessa, che deve necessariamente essere esaminata alla luce dell’ambiente dichiaratamente anticattolico e persecutorio nel quale vissero i cattolici nel periodo repubblicano.

L’argomento è stato studiato dalla storiografia ecclesiastica e civile. Pur nelle loro diverse valutazioni, gli autori più rigorosi ed imparziali ammettono non solo l’ostilità dichiarata contro la Chiesa in genere, ma contro la fede cattolica in specie, da parte di molti politici repubblicani e di numerosi atti e leggi anticattoliche a tale ostilità ispirate. Questa mentalità decisamente anticattolica, che giunse fino alle ultime conseguenze nell’estate del 1936, si impostò già dagli inizi, nel mese di maggio del 1931 con gli incendi di chiese e conventi, e dopo nelle “Cortes Constituyentes” della Repubblica.

I più influenti dei suoi deputati provenivano della “Institución Libre de Enseñanza” (anche se non tutti costoro erano antireligiosi). La massoneria ebbe una parte notevole in questo processo. Secondo il gesuita Ferrer Benimeli, uno dei maggiori esperti di questi temi, che ha potuto verificare i nomi dei massoni che componevano le istituzioni politiche spagnole, i massoni alle “Cortes Constituyentes” erano almeno 183.

Secondo lo stesso autore, la massoneria ebbe quindi un notevole influsso nella legislazione anticattolica della Repubblica e nelle sue campagne diffamatorie contro la Chiesa. Secondo uno dei padri della II Repubblica spagnola, Manuel Azaña, lo Stato doveva diventare laicista nel senso più radicale. Tutti i mezzi per conseguire questo scopo erano leciti. Voleva una Chiesa sottomessa, dominata e controllata dallo Stato. E se questo non fosse stato possibile si sarebbe dovuto eliminarla. Inoltre secondo questo politico pensatore, i dogmi cattolici e i principi sui quali si voleva fondare il nuovo Stato Spagnolo erano assolutamente incompatibili.

Per cui Azaña non era solo contro il cattolicesimo spagnolo nella sua forma storica concreta, né contro altro tipo di cristianesimo specifico, ma contro il cristianesimo in quanto tale nella sua sostanza e trascendenza che ha valore in qualsiasi parte del mondo. Azaña, e con lui il pensiero dominante della Repubblica che più tardi tenterà di eliminare la Chiesa, vanno al di là dell’anticlericalismo: sono formalmente e specificamente contro la Chiesa Cattolica Romana. Il loro è anticristianesimo e antiecclesialità radicale.

Azaña fu presidente della Repubblica fino alla sua morte avvenuta poco dopo la fine della guerra. Azaña – e con lui molti dei proceri della II Repubblica spagnola – vedevano nella Chiesa Cattolica una minaccia per lo stabilimento del Nuovo Stato. Perciò il nuovo Potere stabilitosi nel 1931, con una legislazione sistematica, si propose di eliminare subito ogni espressione pubblica della Chiesa cominciando con la soppressione della Compagnia di Gesù, considerata la sua manifestazione più significativa; e, finalmente, propiziando o almeno tollerando l’eliminazione fisica dei suoi sacerdoti e dei laici più impegnati, che iniziò due anni prima della rivolta nazionalista del generale Franco, con i massacri delle Asturie del 1934 – come abbiamo detto – e altri fatti molto simili nel primo semestre del 1936.

I laicisti repubblicani, i marxisti e gli anarchici, ognuno dal proprio schema politico e solo sulla base del sospetto di pericoli per il Nuovo Stato, calpestavano i diritti fondamentali della persona contro quanto affermavano gli stessi principi democratici da loro professati. Di conseguenza questi uomini della Repubblica Spagnola invocavano come suprema ragione politica ed etica la salvezza del loro progetto di Stato. In questo non si differenziavano dagli altri totalitarismi statali contemporanei, come già allora alcuni gli avevano rinfacciato.

Prime reazioni dei Vescovi e della Santa Sede

La dissoluzione della Compagnia fu il preambolo della dura persecuzione che sarebbe seguita contro tutto il clero e i religiosi. Fu vista dai Vescovi come una ingiuria diretta al Sommo Pontefice. La maggior parte dei Vescovi protestarono per il fatto. Da notare che il decreto della Dissoluzione della Compagnia è paradigmatico della discriminazione giuridica dei cittadini e della fobia contro la Chiesa in quanto andava contro la stessa Costituzione della Repubblica che riconosceva i diritti fondamentali dei cittadini anche in riferimento dei beni la cui confisca era proibita dall’art. 44 della stessa Costituzione.

La Gerarchia cattolica spagnola ebbe fin dagli inizi la percezione di una tale posizione come è dimostrato dal rapporto del Cardinale Vidal y Barraquer, Arcivescovo di Tarragona, al Segretario di Stato, Cardinale Pacelli del 16 ottobre 1931. Anche la Santa Sede iniziò a parlare di fronte ad alcuni gesti violenti ed arbitrari contro la Chiesa e le sue istituzioni. Ma la Chiesa spagnola voleva la pace ad ogni costo. Non soltanto il Cardinale di Tarragona e il Nunzio Tedeschini la volevano, ma anche tutti i metropoliti e i religiosi, specialmente i più colpiti che erano i gesuiti.

È storicamente fondato affermare che dal 1931 al 1936 ci troviamo di fronte a una catena crescente di misure eccezionali adottate contro la Chiesa e la pratica della fede cattolica. Tali misure erano chiaramente settarie, antiecclesiali e anticattoliche nel loro spirito e scopo preciso, e non solo anticlericali. Queste leggi persecutorie misero in pratica una concezione radicale e ostile della separazione fra Chiesa e Stato. Gli esempi sarebbero numerosi come la legge sulle “Confesiones y Congregaciones religiosas” del 2 giugno 1932 in virtù dell’articolo 26 della Costituzione, quelle contro il patrimonio ecclesiastico, e quelle contro l’insegnamento religioso nelle scuole e la proibizione dell’insegnamento ai religiosi, ecc.

La Santa Sede inviò ai Vescovi Spagnoli una nota: “Gravis theologi sententia” (redatta dal Segretario di Stato Card. Pacelli) in cui si davano alcuni orientamenti ai Vescovi sul modo di procedere e al bisogno di non tacere più di fronte ai gravi soprusi. I Vescovi, che erano stati all’inizio prudenti e concilianti presero una coscienza più critica dei loro doveri pastorali e di quanto era in gioco in rapporto alla fede dei cristiani.

I loro interventi si fecero più numerosi e precisi col passare del tempo. Fra i più significativi bisogna ricordare la “Declaración” (25. V. 1933) dei Metropoliti di fronte alla legge sulle Confessioni e congregazioni religiose. In essa i Metropoliti esaminavano la storia recente delle offese e violazioni del diritto contro la Chiesa e i suoi fedeli. Questo documento, quelli del 1931 in occasione della promulgazione della Costituzione e quello del 1937 sulla guerra civile, costituiscono i più importanti interventi dell’episcopato spagnolo prima del Vaticano II.

Da parte sua, il nuovo Arcivescovo di Toledo e primate della Spagna, il Cardinale Isidro Gomá y Tomás, pubblicò una prima lettera pastorale sul tema, intitolata “Horas graves”, seguendo le tracce del Papa, il 12.VII.1933. Essa fu appoggiata dal dinamico e prudente Cardinale di Tarragona Vidal i Barraquer.

Gli interventi di Pio XI

Parallelamente alla “Declaración”, appariva l’enciclica di Pio XI Dilectissima Nobis del 3. VI.1933 sulla situazione in Spagna. Non era la prima volta che Pio XI protestava ufficialmente per le aggressioni fatte alla Chiesa dal Governo della Repubblica. Gli interventi del Papa – come quelli dei Vescovi – furono atti di difesa e di protesta rispettosissima contro le continue aggressioni del Governo alla fede cattolica attraverso le sue leggi durissime. Le parole del Papa non esprimevano ostilità alcuna nei confronti della Repubblica.

Il 1° aprile 1936, il Pontificio Collegio Spagnolo celebrava il Centenario della nascita del benemerito e venerato fondatore Don Manuel Domingo y Sol, oggi beato, con una riuscitissima “giornata sacerdotale”. Essa fu resa più solenne dalle sante prime Messe, celebrate da un eletto gruppo di alunni, ordinati il sabato precedente 29 marzo, e da sacre funzioni di ringraziamento al Signore per il nuovissimo dono fatto al Clero con la Enciclica del Santo Padre Ad catholici sacerdotii.

Bellissima corona alle varie celebrazioni fu l’udienza pontificia, nel corso della quale il Papa rilevò una cosa che la delicatezza di quei suoi figli non aveva enunciata nel timore di un dolore troppo vivo per il cuore del Padre, misurando tale dolore da quello stesso del loro cuore filiale. Erano andati a far visita a Sua Santità in momenti ancora così turbolenti per la loro e sua cara Spagna; in momenti di Calvario, di Via Crucis!. “Vero è che quando si dice Calvario e Via Crucis non si può fare a meno di mettere accanto al primo l’altro colle, l’altro monte: il monte della glorificazione, e non si può non accostare alla Via Crucis e ricordare la Via lucis”, affermò il Papa.

Altri furono gli interventi pontifici prima e durante il conflitto armato. Ma il più significativo di essi ebbe luogo il 14 settembre 1936. Il Pontefice, davanti a un gruppo di laici e sacerdoti spagnoli, presieduti dai Vescovi di Cartagena, Vich, Tortosa e Seo de Urgel esprimeva il suo dolore e ammirazione per tutti quelli che erano stati perseguitati e maltrattati perché ministri di Cristo e dispensatori della grazia di Dio o che avevano sofferto il martirio.

Il movimento militare e la Chiesa

Buona parte degli storici è concorde nell’affermare che il movimento militare nazionalista contro il Governo della Repubblica (18 luglio 1936) prese di sorpresa la Chiesa. Quale doveva essere il suo atteggiamento di fronte a quegli avvenimenti? Poteva la Chiesa, amante della pace e della convivenza, prestare il suo appoggio ai promotori della guerra? Quali conseguenze potevano derivare dalla sua adesione al movimento nazionalista tanto dentro come fuori Spagna?

Già il 13 agosto 1936, il Cardinale Gomá mandava un rapporto al Segretario di Stato, Cardinale Pacelli, nel quale esaminava la genesi della sollevazione militare e le cause della guerra: la politica della Repubblica in campo religioso, civile ed economico, il modo in cui erano state celebrate le elezioni del febbraio del 1936 con le coazioni e violenze governative al fine di ottenere il potere (Fronte Popular), la persecuzione chiara a tutti i livelli e ormai dichiarata contro la Chiesa e la complicità del Governo con le bande di sediziosi che avevano in mano la situazione pubblica, l’assassinio dello statista Calvo Sotelo e la programmata rivoluzione comunista che avrebbe dovuto prendere il potere il 20 luglio 1936, l’esistenza di liste di persone da eliminare iniziando da tutti i sacerdoti e il fatto comprovato che questa rivoluzione era appoggiata dal comunismo internazionale.

Il Cardinale esaminava poi la natura e il carattere della rivolta militare come una protesta della coscienza nazionale; si soffermava sul suo sviluppo, sulle sue difficoltà e sulle caratteristiche della lotta dal punto di vista religioso. Sottolineava anche la ferocia e gli eccessi antireligiosi dei “rossi” e li paragonava a quelli della Rivoluzione Francese e della persecuzione russa e messicana.

Finalmente si interrogava sulle possibili conseguenze sia nel caso della vittoria come della sconfitta del movimento nazionalista. Se fosse fallito, il futuro sarebbe stato ancora più buio per la Chiesa, perché si sarebbe impiantato in Spagna il regime della Russia sovietica con tutte le conseguenze delle sue persecuzioni; se avessero trionfato i nazionalisti ci si sarebbero potute aspettare misure di libertà per la Chiesa; ma il Cardinale non nascondeva le difficoltà, le contraddizioni interne e le diversità dei nazionalisti non soltanto in campo politico (per le visioni a volte contrapposte), ma anche dal punto di vista religioso. Perciò vedeva anni duri per la Chiesa anche nel caso della sua vittoria.

Diversi Vescovi spagnoli, come quelli di Vitoria, Pamplona (6 agosto 1936), Mallorca (8.IX.1936), Palencia (15.IX.1936), Tuy (16.IX.1936) e altri 17 interventi episcopali successivi, fra i quali quello del beato Anselmo Polanco, Vescovo di Teruel, si pronunciarono in favore dell’”alzamiento” nazionalista. Intervento importante fu quello del Vescovo di Salamanca, futuro Arcivescovo Cardinale di Toledo e primate di Spagna, Enrique Pla y Deniel (1876 1968), noto per il suo impegno in favore dei diritti sociali degli operai. La sua lettera pastorale “Las dos ciudades” fu uno dei testi episcopali più chiari in proposito.

La pubblicazione della “Carta Colectiva del Episcopado Español a los obispos del mundo entero”

La “Carta Colectiva del Episcopado Español a los obispos del mundo entero” del 1° luglio 1937 costituisce la somma di tutti questi interventi. Fu firmata da 43 Vescovi (alcuni con diverse amministrazioni apostoliche accumulate) e 5 vicari capitolari. Il suo promotore fu certamente il Cardinale primate Gomá. Non la firmarono 5 vescovi assenti dalle loro diocesi, fra cui Vidal i Barraquer che, pur condividendo il suo contenuto, temeva che la sua pubblicazione producesse ancora più dure rappresaglie. Anche il Vescovo di Vitoria, Mons. Múgica, ebbe delle riserve circa l’opportunità della lettera, e non firmò.

I Vescovi non furono affatto moralmente costretti a firmarla, come confermò lo stesso Gomá al Segretario di Stato. I Vescovi non pretesero dimostrare una tesi politica in favore d’una delle parti, ma esporre a grandi linee dei fatti che caratterizzavano quella guerra terribile e fratricida. Quindi giustificavano la posizione dei Vescovi di fronte ad essa, analizzavano le radici della stessa, le caratteristiche della rivolta nazionalista e della rivoluzione marxista e ribattevano alcune accuse lanciate contro la Chiesa spagnola da alcuni circoli cattolici esteri, per finire appellandosi alla ragione, alla verità e alla giustizia nella diffusione di notizie sulla guerra civile spagnola.

La posizione dei Vescovi ripeté quella di Pla y Deniel, lamentando anche la guerra come un “male gravissimo”. Secondo i Vescovi non esisteva ragionevole proporzione tra i beni emblematici che si possano raggiungere con una guerra e i mali enormi che derivano sempre da essa. Sottolineano anche la loro missione di riconciliazione e di pace.

Sono importanti le quattro conclusioni della Lettera:

1. La Chiesa non ha voluto mai la guerra, ma non può essere indifferente alla lotta in corso per i connotati che essa va assumendo.

2. La Chiesa non può essere solidale con condotte o tendenze che possano snaturare le ragioni del “movimento nazionale”.

3. I Vescovi vedono nell’insurrezione civico militare una radice patriottica e religiosa in ordine alla salvaguardia della propria identità e della storia culturale della nazione.

4. Allo stato presente delle cose: vedono nel trionfo dei nazionalisti l’unica speranza di sopravvivenza di tali diritti e valori.

Tale lettera fu pubblicata un anno dopo l’inizio della guerra, quando erano già stati sacrificati oltre 6.500 ecclesiastici ed esisteva il timore fondato della distruzione totale della Chiesa cattolica nella zona “rossa”, mentre in essa erano autorizzati dal Governo repubblicano i culti protestanti ed ebreo, i cui seguaci erano una minoranza esigua e quasi insignificante.

Non si deve più parlare di vittime della guerra civile spagnola, ma piuttosto della persecuzione religiosa in Spagna, e questo per due ragioni: innanzitutto perché la persecuzione cominciò nel 1931 (i primi martiri sono dell’ottobre 1934) mentre la guerra civile scoppiò nel 1936, cinque anni dopo; e poi perché questi martiri non avevano nulla a che vedere né con il conflitto armato né con le due parti in lotta, non impugnarono mai le armi per difendersi, furono uccisi per motivi unicamente ed esclusivamente religiosi, perché erano ecclesiastici oppure cattolici ferventi e perché difesero la loro fede. Tutti morirono perdonando i loro carnefici e pregando per loro, ad imitazione di Cristo sulla Croce.

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1936. ‘L’assalto al cielo’: la guerra civile spagnola. Le cause dell”alzamiento

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