Cavaliere, non metta il cappello sulla vittoria. Cerchi invece di capire

BerlusconiPubblicato su Il Foglio del 16 giugno 2005

di Antonio Socci

Signor Berlusconi, non sapevo che an­che lei stava dalla nostra parte (quella astensionista). Sapevo di Casini e di Rutel­li e di Pera, che si sono presi il loro bel lin­ciaggio, non di lei. Certo, è stato in fondo un bene che non si sia schierato pubblicamen­te, altrimenti sarebbe diventato il solito re­ferendum sul Cavaliere.

Ma proprio questa sua posizione defilata tenuta fino alla fine, avrebbe dovuto consigliarle, per il dopo, una certa pensosa sobrietà. Avrebbe dimo­strato prudenza e lungimiranza facendo i complimenti ai vincitori del referendum che hanno combattuto una battaglia impa­ri e temeraria. Avrebbe dovuto impegnarsi a riflettere sull’evento storico, paragonabi­le al 18 aprile 1948 (sinceramente non date l’impressione di averlo colto).

Leggere le sue generiche rivendicazioni di vittoria di martedì scorso non ha fatto un’impressione entusiasmante fra coloro che hanno combattuto, da soli, questa bat­taglia. Né ci ha rallegrato la sua riduzione di questo evento epocale a occasione per una piccola operazione di disturbo ai dan­ni di Francesco Rutelli (la telefonata, forse, avrebbe dovuto farla al ministro Prestigia­como, non a Rutelli…).

Certo, lei un merito storico nella vicenda ce l’ha (insieme a ciò che ha fatto dal 1994 per rendere abitabile questo paese anche a chi non è di sinistra): quello di aver fatto approvare questa legge 40 che segna una svolta culturale, ma ha dato l’impressione di averlo fatto quasi di soppiatto, senza cre­derci e senza cogliere la portata della svol­ta, facendo addirittura filtrare a posteriori giudizi contraddittori su quella legge. Per­ché forse anche lei – come tutti i media, co­me Fassino, Scalfari e Bertinotti e come tutto l’establishment – pensate che l’Italia sia sempre quella degli anni Settanta (o al massimo quella degli anni Ottanta che la sua televisione continua a rappresentare).

Non avete capito ciò che è accaduto in questi decenni, non avete capito il ciclone rappresentato dai 27 anni di pontificato di Karol Wojtyla (consiglio anche a lei, come a Prodi, per l’ennesima volta, il libro di Loredana Sciolla, “La sfida dei valori”, pubblicato dal Mulino prodiano, per co­gliere, almeno’ sul piano sociologico, la mutazione in corso).

Non avete capito l’er­rore di fondo della sinistra postcomunista: uscire da Marx attraverso Pannella, un suicidio goliardico-nichilista che il grande Augusto Del Noce aveva spiegato per tem­po, da par suo (in fondo i comunisti hanno rinnegato la migliore intuizione di Togliat­ti: quella sulla Chiesa). E non avete capito nemmeno – per andare su un altro terre­no; profano – la svolta culturale avvenuta al centro dell’Impero prima con Reagan e oggi con Bush jr.

Non avete capito cosa è accaduto veramente, nel profondo delle so­cietà occidentali, dopo l’11 settembre. Non avete capito la nuova cultura laica che è cresciuta, anche in Italia, e che ha messo in soffitta il vecchio laicismo scalfariano e pannelliano, non avete capito i nuovi movi­menti cattolici, non avete capito la straor­dinaria capacità della Chiesa di rappre­sentare il sentimento profondo del paese (penso all’omelia di Ruini ai funerali dei soldati di Nassiriyah) e non avete capito neanche ciò che è accaduto negli ultimi mesi, quei milioni di persone che hanno dato l’addio a Giovanni Paolo II e che han­no salutato un nuovo grande pontefice co­me Benedetto XVI.

Non avete capito la rie­lezione di Bush e il vento nuovo che spira perfino in Europa con la bocciatura dei re­ferendum sulla Costituzione europea (an­cora una volta il popolo contro l’establish­ment) e con la possibile prossima vittoria dei democristiani in Germania.

Non avete capito infine un fenomeno straordinario (e perfino casalingo) come il Foglio che è cresciuto fra voi e su cui Ezio Mauro anche ieri lanciava l’allarme (“l’avan­zare nel nostro paese di quel soggetto che tre anni fa ho chiamato `lo stranocristiano’, l’ateo clericale che cerca di saldare la de­stra politica italiana a un pensiero forte”).

Il vero ruolo della Chiesa

La vera, grande scommessa della moder­nità sta nella sua capacità di avanzare anco­rata a valori forti e alla nostra tradizione cristiana e umanista: è questa la prospetti­va degli Stati Uniti di Bush. Le vostre tele­visioni sono totalmente sintonizzate con la cultura referendaría (anche nella sua ver­sione “nani e ballerine”) che personalmen­te trovo insopportabile e che comunque si è rivelata clamorosamente minoritaria.

Dal punto di vista informativo le cose vanno perfino peggio (posso citare almeno quattro programmi Rai chiaramente orientati su quel 25 per cento e non ce n’è stato uno che esprimesse il punto di vista o almeno le per­plessità, le domande, i valori del 75 per cen­to degli italiani: al massimo se n’è visto qualcuno del tutto super partes).

Dunque, date queste premesse, non ha sorpreso che nessuno (o quasi) di coloro che avevano approvato quella legge 40 in Parla­mento fosse disposto a difenderla: Gianfran­co Fini è arrivato addirittura a rimangiarse­la, voltando gabbana e inchinandosi all’e­stablishment (vanno menzionati invece per coraggio e coerenza i Mantovano, i Giova­nardi e i Bondi. E pure la Lega). Si è avuta l’impressione di una classe dirigente che se fa una cosa buona e culturalmente grande la fa obtorto collo, senza crederci e senza capirla. Addirittura vergognandosene. An­che perché è incapace di spiegarla al paese (oggi forse è il paese che l’ha spiegata a voi: cercate di ascoltarlo).

Così ci siamo trovati a combattere come Davide contro Golia, con le fionde contro i carri armati e per la prima volta in Italia è accaduto che si è battuta la cultura domi­nante (addirittura stravincendo) senza Ber­lusconi. Un evento su cui riflettere positiva­mente, anche da parte sua. Un evento stori­co, visto anche il dispiegamento di forze del­l’altro fronte. Noi praticamente avevamo dalla nostra solo la Chiesa, davvero madre e maestra di umanità.

La Chiesa che dentro questa battaglia c’è stata letteralmente tra­scinata da radicali e comunisti, la Chiesa che ha rifiutato ogni tono da guerra civile (basta rileggere le parole di Ruini e di Avve­nire), la Chiesa che si è vista addirittura con­testare il suo diritto di parola senza che nes­suno riaffermasse le libertà costituzionali garantite a tutti. E poi avevamo una pattu­glia stupenda di uomini liberi, laici, ebrei al­cune femministe e qualche studioso di sini­stra. Un fenomeno nuovo: il dissenso laico.

Così, una variopinta pattuglia di temera­ri dalla storia diversa (in primis devo ricor­dare il grande e nobile Carlo Casini, uomo di eccezionale statura umana, oltreché grande giurista) ha mostrato di interpretare il sentire della stragrande maggioranza de­gli italiani, quotidianamente “violentati” da un establishment culturalmente fermo agli anni Settanta, da un sistema mediatico che ha imposto un plumbeo conformismo (il suo Canale 5 non ha trovato di meglio, sabato se­ra, in piena vigilia, che dovrebbe essere senza propaganda, che ritrasmettere una vecchia fiction dove la protagonista era la testimonial del “sì”, Sabrina Ferilli e inter­pretava una madre appassionata. Titolo: “Rivoglio i miei figli”. Complimenti a Con­falonieri).

Spero che non pensi, anche lei, che la gente non ha capito i quesiti, come se fosse una plebe ignorante. Lasci questo disprez­zo del popolo a lorsignori dell’establish­ment. Lei avrebbe dovuto dire: mi inchino a questa straordinaria e sorprendente vittoria e mi impegno a cercare di capire cosa signi­fica, voglio sostenere e rappresentare que­sti nuovi fermenti culturali e questo “senso comune” moderato che è maggioritario nel paese, questa diversa Italia, refrattaria alla demagogia politically correct dell’establish­ment, questa Italia che è uscita dagli anni Settanta non seguendo Pannella, Fassino e Bertinotti, ma somigliando all’America.

E a proposito dell’America, al di là del giudizio che possiamo dare sul cosiddetto movimento neocon o sulla presidenza Bush (nei suoi mille aspetti), si deve riflettere su quello che là è accaduto. Prima una rinasci­ta religiosa nella società, fra “la plebe”. Pa­rallelamente una grande revisione della cultura liberale (si legga, se può, il libro di Flavio Felice, “Prospettiva neocon”). Quin­di la nascita di una quantità di media e di fondazioni che hanno alimentato questa cultura e hanno approfondito le sue radici.

Così l’egemonia del radicalismo political­ly correct è stata battuta: prima cultural­mente e poi politicamente. Anche in Italia l’evento del 12 giugno viene da lontano. Ma ciò che più impressiona non è la vittoria in sé, ma le dimensioni storiche di questa vit­toria. Fanno emergere un nuovo senso co­mune, non necessariamente consapevole, spesso confuso e contraddittorio, ma che aspetta solo di essere aiutato a crescere, a trovare espressione culturale, ad avere di­ritto di cittadinanza sui media, nel discorso pubblico (almeno si dovrebbe riflettere au­tocriticamente sulla devastante “cultura” quotidianamente cannoneggiata – come pensiero unico – nelle case degli italiani dalle televisioni: soprattutto perché è l’uni­ca, è totalitaria, non ammette diversità).

In­somma c’è da riflettere seriamente. Ridurre un avvenimento come quello del 12 e 13 giugno a un’occasione spicciola di propaganda o a uno scontro interno a For­za Italia fra laici e cattolici (e chi se ne fre­ga!), sarebbe davvero perdere un’occasione storica. Preciso: non un’occasione storica per la Chiesa e i cristiani, i quali hanno al­tri terreni di missione e un’altra ragion d’essere (noi dobbiamo testimoniare Gesù Cristo, unica felicità della vita e vero senso dell’esistere ed è al cuore di ciascuno, per­sonalmente, che Egli parla).

No. Un’occa­sione storica per l’Italia e per chi vuole ca­pire questo paese e costruire un futuro buono e prospero. Per chi vuol passare al­la storia con meriti profondi e non restare nella cronaca come un politico fra i tanti. Spero in Casini e Rutelli: che non lascino dilapidare il tesoro che il popolo italiano ci ha consegnato.