1945 il bombardamento di Dresda

Dresda_bombeda Il Corriere della Sera
del 28 settembre 2002

di Vittorio Messori

Torna – avviene, ogni tanto – il fantasma rimosso ma implacabile di Dresda. Di quella che fu la scintillante Residenzstadt dei Principi Elettori di Sassonia si è parlato molto, di questi tempi, per un incrocio di circostanze. Innanzitutto, l’alluvione che ha gonfiato l’Elba, sino a sommergere gli storici palazzi, ancora in faticosa e parziale ricostruzione. Ma ha contato forse anche il fatto che tra i 25 commentatissimi capolavori di casa Agnelli, due erano celebri vedute della Dresda perduta per sempre di Bernardo Bellotto.

Il dibattito, poi, sulle due inedite figure del diritto internazionale imposte da Bush (gli «stati canaglia» e la conseguente necessità di «guerre preventive»), ha portato qualcuno a rievocare ciò che gli americani, ancora una volta in unione con gli inglesi, perpetrarono in un altro bombardamento, nell’ultimo giorno del carnevale del 1945.

Infine, la Germania stessa, prendendo per la prima volta le distanze dagli Usa, sembra volere rifare i conti con il passato, uscendo dalla parte di chi è solo carnefice e chiedendosi se, per caso, non sia stata in qualche modo anche vittima. Comunque sia, è un’attenzione rinnovata che ha portato pure a una serie di lettere a questo giornale.

Alcuni, tra i lettori, mostravano di non possedere informazioni precise, ma solo il sentore che, nella capitale sassone, fosse avvenuto qualcosa di terribile, molto al di là delle atrocità che pur contrassegnano ogni guerra. In effetti, gli storici, che hanno ormai accesso anche agli archivi degli Alleati, sembrano concordi sul fatto che quello di Dresda fu il bombardamento più sanguinoso, più perverso, più inutile della storia.

Più sanguinoso: a causa del caotico afflusso di profughi, in fuga davanti all’avanzata russa, una cifra precisa dei morti non potrà mai essere stabilita. I cadaveri furono bruciati (a decine di migliaia, ammassati dalle ruspe, senza alcuna possibilità di riconoscimento) sopra pire improvvisate con rotaie ferroviarie. C’è comunque accordo sul fatto che le vittime, in una sola notte, non furono meno di duecentomila, mentre l’atomica di Hiroshima ne uccise, al primo colpo, «soltanto» settantamila e Berlino, martellata per cinque anni, ebbe in tutto – pare – cinquantamila vittime.

Più perverso : gli strateghi americani e inglesi predisposero minuziosamente modi e tempi del bombardamento, così da uccidere il maggior numero di civili (non c’erano quasi soldati tedeschi né difese antiaeree, a Dresda), non dando scampo neppure a chi era nei rifugi. Si studiò, poi, il sistema per sterminare anche i soccorritori e per eliminare, come tocco finale, chi, per caso, fosse scampato.

Perversa fu la scelta stessa dell’obiettivo da incenerire: la Firenze del Nord, forse il più prezioso – e ancora intatto – scrigno europeo di arte medievale, barocca, rococò. Si ripeté, cioè, in scala maggiore, il crimine anche culturale del 15 febbraio 1944, con la distruzione «a freddo» dell’abbazia di Montecassino che gli stessi tedeschi si erano rifiutati di fortificare per non esporre a pericoli quel vertice della spiritualità e dell’arte cristiane.

Più inutile : in quel febbraio del 1945, il Reich agonizzava, a due mesi dalla fine. Gli Alleati erano al Reno, i Sovietici in Prussia, Hitler già si era murato nel bunker berlinese. Ancora pochi giorni e i Russi sarebbero entrati in una Dresda affollata da una turba disperata di vecchi, donne, bambini, fiduciosi di essere protetti dalla bellezza della città. Malgrado ogni ipotesi e dietrologia, ancor oggi non si trova spiegazione possibile per quello che fu voluto lucidamente come il maggior massacro della storia, ma che nessuna ragione militare giustificava.

Se neppure l’apertura degli archivi militari ci ha rivelato il «perché», conosciamo ormai bene il «come» di un’apocalisse programmata in sei atti. Il primo atto fu alle 22 del 13 febbraio, con le squadriglie dell’avanguardia, incaricate di inquadrare l’area dell’olocausto con speciali bombe luminose: contro ogni convenzione e umanità, è il centro sovraffollato che si voleva polverizzare, senza sprecare colpi su fabbriche o aree ferroviarie.

Il secondo atto vide in azione un’ondata di quadrimotori che sganciò ordigni dirompenti, per sbriciolare i vetri e scoperchiare i fragili tetti in legno della città antica, così da creare correnti d’aria e facilitare il lavoro delle bombe incendiare. Queste – nella misura di ben seicentomila, scaricate da 400 aerei – furono le protagoniste del terzo atto.

A quel punto, Dresda non era che un mare di fiamme, l’operazione sembrava conclusa. In realtà, i pianificatori anglosassoni avevano deciso che questo non bastava: bisognava uccidere anche le turbe ammassate nei rifugi sotterranei e massacrare quanto restava di infermieri e pompieri in quella regione della Germania.

Ci fu, dunque, un quarto atto, alcune ore dopo. Mentre già fervevano i soccorsi, sul cielo di Dresda apparvero altre centinaia di bombardieri con un compito davvero diabolico: come si era scoperto colpendo Amburgo, stendere un tappeto di esplosivo su una città già in fiamme provocava il Fire Storm , una spaventosa «tempesta di fuoco», con venti a duecento all’ora e temperature fino a mille gradi. Le correnti d’aria arroventate causavano una tale saturazione di gas tossici da provocare la morte anche di coloro che erano nei rifugi più sicuri.

E così avvenne. Ma se per caso, malgrado tutto, ci fosse stato qualche superstite alla «tempesta» ? Americani e inglesi avevano dunque previsto un quinto atto, che completasse la «pulizia etnica»: quando il sole era già sorto, e da Dresda si levava una colonna di fumo visibile a 150 chilometri, giunse un’altra ondata, questa volta di cacciabombardieri americani, incaricati di mitragliare qualunque cosa si muovesse ancora sulle strade.

Ma non era finita: per convincere davvero che per nessuno, solo in quanto tedesco, c’era scampo, la notte seguente (fu il sesto atto) fu sottoposta a bombardamento a tappeto Chemnitz, la città più vicina, dove qualche scampato era riuscito a rifugiarsi, grazie a una ferrovia che ancora funzionava.

Come giudicarono, concordi, inglesi e americani, Arthur Harris, il maresciallo dell’aria responsabile dell’ operazione-Dresda , aveva ben meritato il titolo di Sir che gli fu solennemente conferito. Poco più di un anno dopo, tutti, assieme agli uomini di Stalin, sedevano a Norimberga per giudicare i tedeschi – ed essi soli – per «crimini contro l’umanità».

_____________________________

sulla II Guerra Mondiale:

L’anno in cui il mondo finì. Diario del ’39 di Franco Bandini

Nel 1939 truppe del Fürer invadevano la Polonia. Da quel giorno la guerra sarà l’unica realtà di milioni uomini. Ma come e dove viene preparato il più grande conflitto mai accaduto? La storia controcorrente del fatale 1939.

1943 L’estate delle tre tavolette di Franco Bandini

Il primo capitolo dell’ultimo libro, postumo, dello storico Franco Bandini dedicato al 1943,in cui si indaga su molti “misteri” del secondo conflitto mondiale