Il comunismo non è morto si è travestito da consumismo

McDonald_RussiaArticolo pubblicato su Il Giornale del 24 agosto 2000

di Giulio Tremonti

All’alba del terzo millennio il comunismo non è finito. All’opposto, pur se con qualche variante, si trova ancora nella fase ascendente della sua curva storica. La prova è nel fatto che ne sta apparendo la forma umana ideale: «l’uomo a taglia unica». Un tipo umano che non solo consuma per esistere ma che esiste perché consuma. Un soggetto che pensa come consuma e consuma come pensa, per cui i simboli civili e morali sono sostituiti dalle «griffes» commerciali, per cui i jeans e le scarpe sono una divisa e la divisa un sostituto dell’anima, per cui la musica metallica domina sulle altre forme di linguaggio, per cui il turismo sublima l’avventura umana.

L’«uomo a taglia unica» non è solo la forma ideale del consumismo di massa diffuso su scala globale, è l’uomo «normale» idealizzato dal comunismo. Consumismo e comunismo si stanno trionfalmente ibridando. Il passaggio «from Marx to Market» è molto meno impervio di quanto si pensi. Il supermarket è la nuova «agorà», il difensore dei consumatori è il nuovo tribuno della plebe, l’Europa si esaurisce nell’«euro», la banca centrale è il sinedrio della democrazia, le «élites» identificano e sostituiscono la volontà dei popoli. La realtà è sempre più nell’economia e l’economia è sempre più dominata da una «ragione unica» che tende a travolgere, demonizzare, cancellare le vecchie diversità. Perché solo così il consumismo di massa funziona con efficienza crescente su scala globale.

Il comunismo non è dunque finito, si è solo trasformato. Si è alleato con il capitalismo e si è spostato strumentalmente e servilmente dal capitale alle merci, dal controllo dei mezzi di produzione al controllo dei prodotti e dei consumatori. Il comunismo fornisce al consumismo l’apparato di regole necessarie per la sua diffusione su scala globale. E’ così che nasce la forma nuova del comunismo: il comunismo giuridico.

L’«etichetta» del prodotto ne costituisce il manifesto, sintetizzando un apparato di regole civili, moderne e benevole, che da un lato «garantisce» il consumatore «informandolo» minutamente e ossessivamente sul quando e il come consumare, dall’altro lato standardizzano la tipologia delle merci spianando la strada al consumo di massa.

Ma l’etichetta è solo la parte che affiora. Il grosso è sotto. Il dominio delle regole non si limita infatti ai prodotti di consumo, ma si estende al consumatore stesso. Il consumatore deve essere creato e modellato in base ad uno standard che, per consolidare e allargare il mercato, lo deve normalizzare.

Dato che il consumo, per essere efficiente su scala globale, deve essere uniforme, è assolutamente necessario livellare le diversità. E’ per questo che il campo di applicazione delle nuove regole si estende progressivamente a ogni elemento dell’esistente. E’ così che gli antichi diritti di libertà sono strumentalmente piegati alle esigenze del «consumismo-comunismo».

E’ così che le diversità proprie della condizione umana, diversità di natura, di sesso, di razza, di tradizione, di convinzione, di fede sono livellate e standardizzate da una convenzione politica che stabilisce per legge cosa è vita e cosa è famiglia, quanto nella storia di una persona o di un popolo può ancora esistere e quanto invece deve cedere a una legge unica che sovrappone l’artificiale al reale, che fa sempre più uguale il diverso riducendolo al predicato unitario e globale dell’«uomo a taglia unica».

E’ un processo che svuota gli Stati e con questi l’antica democrazia liberale. Un processo che cerca di prendere forma politica nel mito nascente del «SuperStato» e nella ideologia strumentale della «terza via». Non stupisce il fatto che la parte prevalente della sinistra non capisce o fa finta di non capire. Ma è proprio in alternativa al «consumismo-comunismo», in difesa dei valori eterni, che si devono interpretare tanto l’azione dei movimenti politici liberali quanto i grandi raduni dei giovani cattolici.