La Democrazia cristiana e l’aborto: perché fu ”vero tradimento”

Articolo pubblicato su Cristianità n. 232

(…) Il tradimento democristiano è iniziato nel mese di dicembre del 1975, allorché, a fronte delle proposte di legge presentate in Parlamento per introdurre l’aborto “legale”, l’allora presidente del Consiglio dei ministri, on. Aldo Moro, dichiarava la neutralità del governo (…) 

di Alfredo Mantovano

Qualche precisazione in margine agli attacchi rivolti contro il presidente della Camera dei Deputati, on. Irene Pivetti, per aver ricordato la verità storica del rifiuto della Democrazia Cristiana di difendere la vita nascente.

1. È più scandaloso il tradimento o la sua denuncia?

“Ciò che ha detto è falso, ridicolo e ingiusto; contro il divorzio e l’aborto ci fu una mobilitazione generale dei dc” (1): in questi termini l’ex direttore de L’Osservatore Romano, Valerio Volpini, è insorto contro l’accusa di tradimento dei valori cattolici, e in particolare della tutela della vita nascente, che alla Democrazia Cristiana ha rivolto il presidente della Camera dei Deputati, on. Irene Pivetti, in occasione dell’intervento pronunciato al Meeting dell’amicizia di Rimini, il 27 agosto 1994 (2); sulla questione specifica del comportamento tenuto in tema di aborto dal partito di Piazza del Gesù a Valerio Volpini hanno fatto eco più esponenti di rilievo scudocrociati, dall’on. Tina Anselmi, ministro della Sanità all’epoca del varo della legge n. 194 del 22 maggio 1978, che ha legalizzato l’interruzione volontaria della gravidanza, e quindi firmataria della legge stessa, secondo la quale Papa Paolo VI avrebbe esortato i ministri democristiani a non dimettersi e a restare in carica, pur dovendo sottoscrivere quel testo normativo (3), all’on. Emilio Colombo, che, parlando di “analisi culturali rozze e storicamente infondate”, ha definito la tesi dell’on. Irene Pivetti “una sfacciata e ingenerosa utilizzazione di parte di una delle più drammatiche vicende dei cattolici italiani e della Democrazia cristiana” (4).

Giulio Andreotti

La qualità della protesta, i termini adoperati e la quantità delle voci levatesi, fra le quali anche quelle di alcuni deputati eletti nelle file del CCD, il Centro Cristiano Democratico, potrebbero far dubitare della veridicità delle affermazioni fatte dal presidente della Camera dei Deputati, ma una rilettura dei dati essenziali della condotta tenuta dalla DC in materia di aborto – una rilettura assolutamente non inutile – è sufficiente a convincere dell’integrale adesione alla verità storica del giudizio espresso a Rimini, e quindi della falsità delle affermazioni di quanti si sono stracciate le vesti gridando allo scandalo.

2. Il tradimento in Parlamento

Il tradimento democristiano è iniziato nel mese di dicembre del 1975, allorché, a fronte delle proposte di legge presentate in Parlamento per introdurre l’aborto “legale”, l’allora presidente del Consiglio dei ministri, on. Aldo Moro, dichiarava la neutralità del governo; è proseguito nella primavera del 1976, quando, in presenza di una maggioranza nelle due Camere ancora teoricamente antiabortista, molti deputati della DC disertarono i lavori delle commissioni che si occupavano dell’esame delle proposte di legge, determinando il mutamento della maggioranza in senso ostile alla vita nascente; si è perfezionato nella primavera del 1978, allorché il testo che aveva unificato la varie proposte di legge abortiste, superato il vaglio delle commissioni, giungeva nelle aule della Camera e del Senato.

Per il mese di giugno di quell’anno era stato fissato il referendum proposto dal Partito Radicale, mirante alla completa liberalizzazione dell’aborto, da perseguire con l’abrogazione delle norme del codice penale sanzionatrici dell’interruzione volontaria della gravidanza: i radicali ritenevano infatti la proposta di legge unificata in discussione insufficientemente permissiva; per impedire la celebrazione del referendum gli altri partiti abortisti accelerarono i lavori della Camera dei Deputati con il ricorso al rimedio della seduta-fiume, per realizzare la quale i rappresentanti del gruppo democristiano, all’epoca presieduti dall’on. Flaminio Piccoli, diedero il proprio assenso determinante (5): in sede di riunione dei capigruppo l’opposizione alla seduta-fiume sarebbe bastata a non far passare la legge.

A chi osserva che in tal modo si sarebbe andati incontro a un referendum dagli esiti incerti è semplice rispondere che quel voto si sarebbe svolto in condizioni certamente differenti rispetto a quelle in cui si è poi tenuta nel 1981 la consultazione popolare su iniziativa del Movimento per la Vita, con tre anni di aborto “legale” alle spalle; e che, comunque, la scelta era in quel momento fra la certezza di una legge legalizzatrice dell’omicidio del nascituro e il mero rischio di abrogare le norme penali che sanzionavano quest’ultimo.

Di più: la legge n. 194/1978 è stata approvata dalla Camera con 308 voti a favore e 275 contrari; in teoria i sostenitori della nuova disciplina – e cioè il Partito Comunista Italiano, il Partito Socialista Italiano, il Partito Socialista Democratico Italiano, gli Indipendenti di sinistra, il Partito Repubblicano Italiano e il Partito Liberale Italiano – contavano su 319 voti, e i contrari – Democrazia Cristiana, Democrazia Nazionale, Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale, Südtiroler Volkspartei, Democrazia Proletaria e Partito Radicale – su 308.

Fra i favorevoli alla legge i voti mancanti sono stati 11, mentre fra i contrari ben 33; coloro che, sulla carta, dovevano essere ostili alla proposta di legge e che al momento del voto erano assenti erano 29, 12 dei quali democristiani: ciò vuol dire che 4 fra i 33 teoricamente contrari hanno votato per la legge abortista e che, se tutti i contrari fossero stati presenti in aula all’atto della votazione e avessero espresso il proprio dissenso, le nuove norme non sarebbero passate (6).

Che dire poi del comportamento dei senatori scudocrociati, i quali dapprima hanno presentato, nelle commissioni del Senato, 33 emendamenti agli articoli della proposta di legge unificata, e in un secondo momento, per una parte determinante, si sono allontanati dalle commissioni stesse all’atto della discussione, di fatto consentendo che i lavori procedessero più spediti e che si giungesse all’approvazione senza intoppi (7)?

3. Il tradimento con la sottoscrizione della legge n. 194, del 22 maggio 1978, e con la difesa della stessa legge davanti alla Corte Costituzionale

È noto a tutti che la legge n. 194/1978 reca le sottoscrizioni di un presidente della Repubblica, di un presidente del Consiglio dei ministri e di quattro ministri, tutti democristiani. “In effetti ebbi una crisi di coscienza e mi chiesi se dovevo firmare quella legge. – dirà dopo qualche anno il sen. Giulio Andreotti, che all’epoca era il presidente del Consiglio – Ma, se io mi fossi dimesso, nessun altro democristiano poteva firmarla. Si sarebbe aperta una crisi politica senza sbocco prevedibile, in un momento grave per il Paese. Una crisi che avrebbe forse creato anche complicazioni internazionali.

Con le dimissioni avrei cioè contribuito a un male maggiore di quello che volevo evitare. Così firmai” (8). Di fronte a una così limpida teorizzazione della prevalenza della stabilità di un governo – uno delle decine della storia repubblicana – rispetto alla vita di milioni di innocenti, è necessaria una bella dose d’impudenza per impugnare di falso le affermazioni dell’on. Irene Pivetti sul contributo della DC non solo all’introduzione dell’aborto in Italia, ma, in generale, alla secolarizzazione della nostra nazione!

Luigi Scalfaro

Di “atto dovuto” ha parlato in proposito pure l’attuale presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro (9), il quale, all’intervistatore che gli proponeva un raffronto con il comportamento di Pilato, rispondeva singolarmente, sì da rendere superfluo ogni commento: “Certo: Pilato è un mio collega. Come magistrato e come politico, io lo difendo. […] ha ceduto alla legge del potere, a quel “se non lo condanni non sei amico di Cesare” gridatogli dai peggiori nemici di Cesare. Ma erano quelli che potevano mettere in pericolo la sua carriera; e Pilato […] ha assunto le sue responsabilità. In questo coraggio [sic] va rispettato; ma va anche indicato come esempio di quel potere non “politico” di cui parlavo, perché gestito per il proprio interesse e non per quello della città, dello Stato” (10).

Si tratta dello stesso on. Oscar Luigi Scalfaro che, in una lettera indirizzata al presidente del Consiglio, on. Silvio Berlusconi, letta alla riunione del Consiglio dei ministri del 26 agosto 1994, ha raccomandato al governo italiano, che si apprestava a definire i termini della partecipazione alla Conferenza Internazionale de Il Cairo su Popolazione e Sviluppo, a difendere in quella sede “[…] il diritto più essenziale e perciò del tutto primario per la persona umana: il diritto alla vita. Una civiltà che è per l’uomo, non può non farsi carico dell’affermazione di questo diritto e della sua tutela” (11): viene spontaneo chiedersi come mai analoga corrispondenza epistolare, allorché il diritto “essenziale e […] del tutto primario” alla vita veniva leso in modo così grave dal Parlamento italiano, sia mancata fra l’on. Oscar Luigi Scalfaro e il sen. Giulio Andreotti, allorché il primo aveva minori vincoli rispetto a quelli derivanti dalla sua attuale carica istituzionale e il secondo era il capo del governo.

Giovanni Leone

Inoltre, se la considerazione della posta in gioco imponeva il rifiuto della firma in calce alla legge e le dimissioni ai ministri che invece l’hanno apposta, quali che fossero le conseguenze politiche, l’allora presidente della Repubblica, sen. Giovanni Leone, non aveva alcun bisogno di percorrere subito la strada delle dimissioni – cui fu invece costretto un mese dopo, nel giugno del 1978, a seguito dello scandalo Lockheed -, dal momento che l’articolo 74 della Costituzione gli dava la facoltà di chiedere alle Camere, con messaggio motivato, una nuova deliberazione della legge prima della promulgazione: il che, nel caso concreto, avrebbe reso possibile la celebrazione del referendum radicale e ritardato l’intervento del Parlamento. Infine, come dimenticare che il 5 dicembre 1979, allorché, per la prima volta, la Corte Costituzionale sottoponeva a esame di legittimità la legge n. 194/1978, il governo monocolore democristiano presieduto dal sen. Giulio Andreotti dava incarico all’Avvocatura dello Stato di difendere la conformità alla Costituzione della legge stessa (12)? Anche questo era un “atto dovuto”, quando accade non infrequentemente che il governo si associ nei giudizi costituzionali alle eccezioni sollevate contro un testo normativo?

4. Il tradimento durante il “referendum” del 1981

Quanto poi alla “mobilitazione generale dei dc” (13), che per Valerio Volpini avrebbe caratterizzato il referendum del 1981 promosso dal Movimento per la Vita e che ha ferito, fra gli altri, come si è detto sopra, l’orgoglio di partito dell’on. Emilio Colombo, chi ha vissuto quei giorni ormai lontani ricorderà con amarezza il disimpegno della DC, del tutto assente da un terreno di scontro occupato soltanto, sul fronte antiabortista, da una parte dell’associazionismo cattolico; qualora poi la memoria fosse appannata, per l’età o per la distanza temporale, basta menzionare qualche numero, di quelli che, pur in epoca di secolarizzazione e di pluralismo ideologico, non lasciano spazio alla discussione: in Basilicata, regione nella quale l’on. Emilio Colombo ha per decenni raccolto voti per la Camera dei Deputati e per il Parlamento Europeo, il numero di astenuti al referendum sull’aborto è stato di 147.655 su 455.398 iscritti nelle liste elettorali, pari al 32,4% (14), mentre alle elezioni politiche del 1979 gli elettori astenuti erano stati soltanto 66.169 su 447.636 iscritti al voto, pari al 15,4% (15), e due anni dopo il referendum, in occasione delle elezioni politiche del 1983, gli astenuti sono stati, in percentuale, ancora di meno: 66.952 su 464.992, pari al 14,4% (16).

Tenendo conto da un lato della rilevante quantità di suffragi che la DC e l’on. Emilio Colombo hanno raccolto in quel periodo in Basilicata e dall’altro della circostanza che, da parte abortista e dei partiti della sinistra in genere, nel 1981 l’impegno per il voto e la propaganda furono massicce, si ha più di un motivo per concludere che, al momento del referendum, una parte consistente del tradizionale elettorato democristiano sia rimasta a casa; chi nei giorni del voto del referendum ha frequentato quelle zone testimonia che i torpedoni – ovviamente non di linea! -, che durante le elezioni politiche trasportavano gli elettori dalla campagna al seggio elettorale, nel 1981 sono rimasti chiusi nelle autorimesse.

5. Il tradimento continua ancora oggi

Et de hoc satis, verrebbe da dire. Anche perché, dopo il 1981, non è successo assolutamente nulla: quei personaggi che, all’interno della DC, si sono proposti per anni come difensori della vita nascente, a cominciare dall’on. Carlo Casini, hanno brillato per la totale assenza d’iniziativa politica, teorizzando la pericolosità di svolgere in Parlamento – a causa della presenza di una maggioranza teoricamente abortista – attività volta anche solo all’aiuto delle maternità difficili per non pregiudicare future e mai adottate ipotesi di modifica della legge n. 194/1978, e boicottando le proposte pro life di esponenti di partiti che all’epoca erano all’opposizione (17).

Al di là delle polemiche e delle invettive gratuite contro chi ha avuto il “torto” non solo di ricordare la verità storica, ma di averlo fatto con coraggio, pur ricoprendo la terza carica istituzionale dello Stato, resta il dato terribile del pieno vigore in Italia, ormai da sedici anni, di una legge che autorizza e finanzia la soppressione dell’innocente; al quale si aggiunge la constatazione che quanti oggi si ribellano e protestano contro la pretesa distorsione della storia non manifestano alcuna intenzione di ricuperare il terreno perduto e di trovare un’intesa sul punto con gli esponenti della nuova maggioranza ostili all’aborto: infatti, è il caso di ricordare che il segretario del Partito Popolare Italiano, on. Rocco Buttiglione, ha dichiarato che la revisione della legge n. 194/1978 “non è un dato dell’attualità politica immediata, ovvero di questa legislatura” (18).

Note

(1) La Gazzetta del Mezzogiorno, 30-8-1994.

(2) Cfr. Irene Pivetti, La riconquista oltre l’esilio e la regalità dolorosa di Cristo, intervento al Meeting dell’amicizia di Rimini, del 27-8-1994, in questo stesso numero di Cristianità.

(3) Cfr. La Gazzetta del Mezzogiorno, cit.

(4) Ibid., 29-8-1994.

(5) Cfr. il Giornale nuovo, 12-4-1978.

(6) Cfr. ibid., 16-4-1978.

(7) Cfr. ibid., 28-4-1978.

(8) Il brano fa parte di un’intervista raccolta da Vittorio Messori, in Idem, Inchiesta sul cristianesimo. “Sei tu il Messia che deve venire?”, Società editrice internazionale, Torino 1987, pp. 210- 211.

(9) La definizione è contenuta in un’intervista raccolta da V. Messori, in Idem, op. cit., p. 218.

(10) Ibid., p. 219.

(11) Avvenire, 28-8-1994.

(12) Cfr. Il governo democristiano difende la “legge” abortista, in Cristianità, anno VII, n. 56, dicembre 1979.

(13) La Gazzetta del Mezzogiorno, cit.

(14) Cfr. 1974 e 1981: le cifre dei “referendum”, in Cristianità, anno IX, n. 73-74, maggio-giugno 1981.

(15) Cfr. 3 giugno 1979. Le cifre del “rifiuto”, ibid., anno VII, n. 50-51, giugno-luglio 1979.

(16) Cfr. 26 giugno 1983. Le cifre del “rifiuto” e il “voto integrale”, ibid., anno XI, n. 98-99, giugno-luglio 1983.

(17) Cfr. maggiori dettagli nei miei Dieci anni d’aborto in Italia, ibid., anno XVI, n. 161, settembre 1988; e Aborto anno undecimo: dal “caso Mangiagalli” a “Provvedimenti in difesa della maternità”, ibid., anno XVIII, n. 177, gennaio 1990.

(18) Avvenire, 28-8-1994.