Lettera a Blanche-Raffin

Donoso Cortez

Donoso Cortés

Juan Donoso Cortés,

Marchese di Valdegamas

Berlino, 21 luglio 1849

Mio carissimo amico,

con estremo piacere ho ricevuto la lettera che Lei ha avuto la bontà di scrivermi il 15 corrente. Il mio piacere è stato tanto più grande in quanto Lei ha una parte, nella conversione che Dio, per la sua grazia, ha operato in me, che Lei stesso ignora. Tanto imperscrutabili, tanto profondi sono i misteri delle vie del Signore! Nell’intimo della mia anima io sono sempre stato credente; ma la mia fede era sterile, perché né governava i miei pensieri, né ispirava i miei discorsi, né guidava le mie azioni.

Credo, tuttavia, che se al tempo in cui ero maggiormente lontano da Dio mi avessero detto : “Abiura il cattolicesimo, o soffrirai grandi tormenti”, mi sarei rassegnato ai tormenti, per non rinnegare il cattolicesimo. Tra questo stato d’animo e la mia condotta c’era, senza alcun dubbio, una mostruosa contraddizione. Ma che altro siamo noi, quasi sempre, se non un insieme mostruoso di mostruose contraddizioni? Due cose mi hanno salvato: il sentimento squisito che ebbi sempre della bellezza morale e una sensibilità di cuore che rasenta quasi la debolezza; il primo doveva farmi ammirare il cattolicesimo, e la seconda doveva farmelo amare con il tempo.

Durante il mio soggiorno a Parigi fui molto intimo di M….(riferimento a Montalembert), e quell’uomo mi soggiogò con il solo spettacolo della sua vita, che avevo sempre davanti agli occhi. Io avevo conosciuto uomini onorati e buoni, o per meglio dire non avevo mai conosciuto che uomini onorati e buoni; e tuttavia, tra la bontà e l’onorabilità degli uni e la bontà e l’onorabilità dell’altro, trovavo una distanza immensa; e la differenza non stava nel differente grado di onorabilità, ma nel genere completamente diverso di onorabilità.

Pensandoci su su, finii per convincermi che la differenza consisteva nel fatto che la prima era onorabilità naturale, e l’altra soprannaturale o cristiana.

Mi presentò a Lei e ad alcune altre persone unite dai vincoli dello stesso credo; da allora quel convincimento mise radici più profonde nell’anima mia e arrivò ad essere invincibile per la sua profondità. Ma Dio mi aveva preparato un altro strumento di conversione più efficace e potente. Ebbi un fratello che vidi vivere e morire, e che visse da angelo e morì come morirebbero degli angeli se fossero mortali. Da allora giurai di amare e adorare, e amo e adoro… – stavo per dire ciò che non posso dire, lo stavo per dire con tenerezza infinita – il Dio di mio fratello.

Sono già passati due anni da quella tremenda disgrazia. Io so, per quanto possono saperlo gli uomini, che egli sta in cielo, che gode della visione di Dio, e che intercede per lo sventurato fratello che ha lasciato in terra. Ciononostante le mie lacrime non hanno fine, ne l’avranno se Dio non viene in mio aiuto. So che non è lecito amare tanto una creatura; so che i cristiani non debbono piangere per coloro che muoiono cristianamente, perché essi si trasfigurano e non muoiono; so tutto questo, e so infine che sant’Agostino ebbe degli scrupoli per aver pianto sua madre; e tuttavia piango, e piangerò finché avrò vita se Dio, nella sua infinita misericordia, non mi da forza.

Eccole, amico mio, l’intima e segreta storia della mia conversione; ho voluto raccontargliela per sfogarmi, e perché in essa, senza saperlo. Lei ebbe una parte. Come vede, in essa non hanno avuto alcuna influenza né l’ingegno né la ragione; con il mio ingegno debole e con la mia ragione inferma, avrei raggiunto la morte, prima di trovare la vera fede. Il mistero della mia conversione (perché ogni conversione è un mistero) è un mistero di tenerezza. Non lo amavo, e Dio ha voluto che lo amassi, ed io lo amo; e poiché lo amo, sono convertito.

Passiamo ad altro. Il servizio che Lei ha reso alla causa cattolica, facendo conoscere il Balmes (14), è grandissimo, ed io gliene sono grato e come cattolico e come spagnolo. II Balmes onora la sua patrio : uomo di ingegno chiaro, acuto, solido, fermo nella fede, agile nella lotta, polemista e dottore nella stesso tempo, pochi come lui hanno meritato in questo secolo di lasciare in eredità agli uomini una buona memoria di sé. Io non lo conobbi, ed egli non mi conobbe; però lo stimai e so che mi stimava; ho visto solo il suo ritratto e anche questo dopo la sua morte.

La Provvidenza ci aveva posti in partiti politici opposti, sebbene, poco tempo prima della sua morte, la religione ci ispirasse le stesse cose. Non so se Lei sa che circa un mese prima che il Balmes pubblicasse il suo scritto sopra Pio IX, io avevo trattato lo stesso tema e il medesimo argomento”. Balmes ed io dicemmo le stesse cose, esprimemmo lo stesso giudizio, formulammo le stesse opinioni.

Ma la cosa più singolare, e che innalza al massimo l’ingegno del Balmes, è che, dicendo dopo di me quello che io già avevo detto, lo disse in modo così suo che neppure per caso si ritrova nel suo scritto una sola delle idee secondarie che io avevo già esposte nel mio scritto precedente. Prova insigne della ricchezza del suo arsenale e della abbondanza delle sue armi!

Quest’ultimo suo scritto è notevole sotto un altro punto di vista. Il Balmes, che fu sempre un grande pensatore, non era mai stato un grande scrittore; i suoi saggi letterari non stavano a pari coi suoi saggi filosofici. Intento esclusivamente alle idee, aveva trascurato l’espressione, che in genere era fiacca, anche se grandi erano le idee. Il suo stile era debole, diffuso, e l’abitudine alla polemica, codesta assassina di stili, lo aveva reso verboso. Ebbene : nell’opera su Pio IX, il Balmes solleva improvvisamente l’espressione all’altezza dell’idea, e l’idea grandiosa brilla per la prima volta in lui rivestita di una espressione magnifica e grandiloquente.

Quando il Balmes morì, lo scrittore era degno del filosofo : giudicati col metro della critica, erano pari. Ancora, quindi. La ringrazio per lo zelo e l’intelligenza con i quali Lei rende popolare in Francia un uomo così eminente. Ricordo i due profili di cui Lei mi parla; li scrissi a Parigi, e se non sbaglio, nel periodo in cui ci conoscemmo. Non hanno altro merito che la sagacia con cui credo di aver penetrato il carattere morale e intellettuale di quei due uomini (16). Non dubito che giungerà quel giorno, che Lei vede avvicinarsi, in cui il campo apparterrà agli uomini di buona volontà e dalle pure credenze (17). Ma non dubiti, quel giorno sarà passeggero; la società è definitivamente colpita a morte, e morrà perché non è cattolica, solo il Cattolicesimo è vita.

Io penso di tornare presto in Spagna e ritirarmi per qualche tempo dalla vita pubblica per meditare e scrivere. Il turbine politico da cui mi sono visto travolto mio malgrado non mi ha lasciato fino ad ora un giorno in pace ne un momento di riposo; è giusto che prima di morire mi ritiri per alcuni anni a parlare con Dio e con la mia coscienza da solo a solo. Per me, l’ideale della vita è la vita monastica. Credo che facciano più per il mondo quelli che pregano che quelli che combattono; e che se il mondo va di male in peggio, è perché le battaglie sono più numerose che le preghiere.

Se potessimo penetrare nei segreti di Dio e della Storia, ritengo che rimarremmo sbalorditi nel vedere i prodigiosi effetti della preghiera, anche nelle cose umane. Perché la società riposi, è necessario un certo equilibrio, che solo Dio conosce, tra l’orazione e l’azione, tra la vita contemplativa e quella attiva.

La chiave di volta dei grande rivolgimenti di cui siamo testimoni è forse nella rottura di questo equilibrio. Il mio convincimento sul tale punto è così profondo, da farmi ritenere che se ci fosse una sola ora di un solo giorno in cui la terra non inviasse al cielo alcuna preghiera, quel giorno e quell’ora sarebbero l’ultimo giorno e l’ultima ora dell’universo. Se capiterà l’occasione di incontrarci o a Parigi o in Spagna, sarà per me un vivo piacere assicurarLe personalmente che non v’è amicizia che mi sia più cara della sua. Intanto mi abbia, suo affezionatissimo

JUAN DONOSO CORTES

NOTE

* Alberich de Blanche, marchese di Raffin, fu uno degli amici francesi; egli, con la limpidezza della sua vita, influì sulla ” conversione ” di Juan Donoso Cortes.

(14) Jaime Luciano Balmes (1810-1848) sacerdote, politico e filosofo, operò sui periodici da lui fondati e in diverse pubblicazioni in difesa del cattolicesimo secondo i principi della neoscolastica. Fu un grandissimo apologista ed alcune sue opere sono oggi fruibili in internet.
(15) Nel mese di settembre 1848 aveva pubblicato su ” El Faro ” alcuni articoli intorno a Pio IX. Eccone i titoli: 1) Italiani e Spagnoli. 2) Caratteri delle sue riforme. 3) Ostacoli interni che si oppongono alle sue riforme. 4) Ostacoli esterni. Questi articoli raggruppati costituiscono il suo saggio Las reformas de Pio IX.
(16)
Allude a Lamartine e a Guizot, dei quali aveva parlato in alcune lettere pubblicate nel 1842 sull'” Heraldo “.
(17) II marchese di Raffin aveva precedentemente scritto al Cortes, che, sebbene tenesse in gran conto le sue profezie, sperava tuttavia che gli uomini di buona volontà e dalle pure credenze avrebbero potuto giovare alla buona causa nei tempi futuri.

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