Storia del fondamentalismo islamico

Abstract: Storia del fondamentalismo islamico. Fondata al Cairo nel 1928 da Hassan al-Banna l’Associazione dei Fratelli musulmani si proponeva una reislamizzazione della società dal basso. L’assunto di base di questa strategia, oggi rivitalizzata da molti movimenti integralisti era che una volta reislamizzata la società nel suo complesso, il cambiamento politico sarebbe avvenuto spontaneamente Il rifiuto, perlomeno ufficiale, del ricorso alla violenza, permise all’ Associazione di attecchire tra la borghesia dei bazaar.

Articolo pubblicato su MILLENOVECENTO n.12 ottobre 2003

L’integralismo di massa

Breve storia del fondamentalismo islamico /2 

I FRATELLI MUSSULMANI

Fratelli_mussulmani

di David Tonello

Fondata al Cairo nel 1928 da Hassan al-Banna l’Associazione dei Fratelli musulmani si proponeva una reislamizzazione della società dal basso. L’assunto di base di questa strategia, oggi rivitalizzata da molti movimenti integralisti era che una volta reislamizzata la società nel suo complesso, il cambiamento politico sarebbe avvenuto spontaneamente Il rifiuto, perlomeno ufficiale, del ricorso alla violenza, permise all’ Associazione di attecchire tra la borghesia dei bazaar, mentre la sua opera di propaganda attraverso l’assistenza alle famiglie di recente urbanizzazione e il suo messaggio egualitario li rese assai potenti e amati nei ceti meno abbienti della società.

Schierata sin dal 1936 contro la causa sionista, l’Associazione diventò un’organizzazione politica nel 1939. Fu in questo periodo che nacque l’idea di Stato islamico basato sul Corano, ovvero l’lslam politico. Proprio i Fratelli lanciarono uno slogan che divenne la bandiera di tutti i gruppi integralisti: «Il Corano è la nostra costituzione». Negli anni quaranta l’Associazione si sviluppò rapidamente, attraverso più di 5 mila sezioni, scuole, centri, moschee proprie. Tra iscritti e simpatizzanti, i Fratelli erano più di 500 mila. In pochi anni ancora, superarono i 2 milioni di iscritti, sparsi tra Egitto, Sudan, Transgiordania, Palestina, Siria e Iraq.

Nel 1948 molti di essi combatterono al fianco dei Palestinesi nel primo conflitto arabo israeliano, strin gendo profondi legami con le al te sfere dell’esercito egiziano. Al-la fine del conflitto l’Associazione, o meglio, la sua frangia violenta dissidente, conosciuta come l’Organismo segreto, diede il via a una serie di attentati terroristici contro il regime, accusato di passività nel conflitto contro Israele. Sempre nel 1948, in dicembre, l’Associazione venne soppressa dalle autorità. Il 28 dicembre il primo ministro Mahmud Fahmi Nokrashi fu assassinato da un Fratello musulmano. la repressione divenne sanguinosa e culminò, nel febbraio 1949, nell’assassinio di Hassan al-Banna da parte dei servizi segreti. Nel 1950 i Fratelli ottennero il permesso di ricostituirsi, ma solo come gruppo religioso, guidato a partire dall’anno successivo dal moderato Hassan Islam al-Hudaibi.

NEL 1952 L’ASSOCIAZIONE partecipò alle sommosse anti britanniche che sfociarono in luglio nella rivoluzione dei liberi ufficiali e nell’indipendenza del Paese dalla Gran Bretagna. I Fratelli musulmani vennero nuovamente soppressi nel 1954, quando apparve chiaro il divario tra il progetto di stato islamista dell’Associazione e l’impronta laica del regime nasseriano. In ottobre l’attivista Abdul Munim Abdul Rauf tentò senza successo di assassinare Nasser. Fu impiccato insieme a cinque confratelli, mentre altri 4 mila vennero arrestati. Migliaia di essi e emigrarono in Giordania, Libano, Siria e Arabia Saudita.

NEL 1964 NASSER CONCESSE UNA AMNISTIA ai Fratelli imprigionati allo scopo di farli entrare nel governo. Una mossa che mirava a indebolire il crescente consenso riscosso dalle forze comuniste. L’uso dei Fratelli in chiave anticomunista fu peraltro una costante della loro storia, da re Faruk a Mubarak. Questa sorta di cooperazione condizionata si rivelò però infruttuosa: i Fratelli attentarono ancora tre volte alla vita di Nasser. Nel 1966 i leader dell’ Associazione furono giustiziati, i molti altri nuovamente imprigionati. Nel 1968 circa 1.000 Fratelli vennero rilasciati. Nel 1970 il neo presidente Anwar Sadat rilasciò tutti i Fratelli incarcerati.

I FRATELLI, ATTRAVERSO LE ASSOCIAZIONI STUDENTESCHE, divennero la prima forza politica all’interno del mondo universitario. Molti di loro andarono a lavorare in Arabia, benedetta dopo il 1973 da una pioggia di petrodollari. Gli esiliati precedentemente insediati nel Paese avevano nel frattempo consolidato la propria posizione all’interno delle università arabe, divenendone docenti. I milioni di immigrati che si riversarono nella penisola saudita entrarono dunque in contatto con il messaggio dei Fratelli, che portarono con sè al ritorno nei propri paesi d’origine, nei quali si formò quindi una nuova classe sociale: borghese, internazionale, integralista. Dal 1979 l’armonia con Sadat si ruppe, a causa delle critiche rivolte dai Fratelli alla pace stipulata tra Egitto e Israele. Nell’autunno del 1981 vennero arrestati circa 2 mila aderenti all’Associazione. Poco dopo, Sadat venne ucciso da quattro fratelli.

L’uccisione di Sadat svela anche la rottura che a fine anni settanta era avvenuta all’interno del movimento. Molti Fratelli, convinti da un cinquantennio di insuccessi che la strategia moderata cui l’Associazione si era quasi costantemente attenuta non pagasse, confluirono nel movimento AI Jihad, che, dopo avere compiuto numerosi attentati, si fuse con al Qaeda nella seconda metà degli anni 1990. Il leader storico del movimento, al Zawahiri, è ai vertici dell’organizzazione di Osama Bin Laden. Da Al Jihad si staccò un altro movimento, sempre radicale: Gama’at Islamiyya, alla quale sono da attribuire gran parte degli attentati terroristici ai danni di egiziani copti e turisti stranieri (strage di Luxor del 1997 compresa) che hanno insanguinato il Paese negli ultimi quindici anni. Dopo la condanna all’ergastolo del suo leader, lo sceicco cieco al Rahman, avvenuta nel 1996, il movimento è però andato disgregandosi.

PRIVA DELLE SUE FRANGE PIÙ ESTREMISTE, dal 1984 in poi l’Associazione dei Fratelli Musulmani cooperò con varie forze politiche, guadagnando negli anni molti seggi parlamentari, forte del suo radicamento nei ceti popolari, nella piccola borghesia tradizionale dei bazaar, nella nuova borghesia degli ex emigrati in Arabia, nel mondo universitario, nel l’esercito e nel mondo istituzionale. Con il ritorno alle proprie origini non violente, l’Associazione si qualificò ben presto come esponente di punta dell’ala movimentista dell’lslamismo (contrapposta a quella radicale, ovvero quella terroristica, che mira a una islamizzazione dall’alto, attraverso la presa del controllo politico del Paese tramite la forza, vuoi attraverso una rivoluzione, vuoi attraverso un colpo di stato), il che ha comportato un suo ruolo di interlocutore principale per quanti si debbano confrontare con l’istanza integralista, ma allo stesso tempo li ha resi invisi alle frange integraliste più violente.

L’egiziano Sayyd Qutb (1906-1966) elaborò un’applicazione nuova per il concetto di jahlliyya, ignoranza religiosa, da lui usato per definire sia la società occidentale (soggiornò negli Stati Uniti negli anni 1948-1950), sia quella musulmana. Nel secondo caso, Qutb si riferiva al fatto che nelle nazioni interessate si nega l’unicità di Dio, il quale è l’unico cui spetta il potere sull’umanità, sostituendolo con idoli quali nazionalismo, comunismo, la sovranità popolare o più semplicemente leader carismatici. Considerando che questi concetti venivano espressi da quello che fu il primo consulente culturale di Nasser, non stupisce che questi lo imprigionasse nel 1954, in quanto Fratello musulmano.

Nelle carceri del regime Qutb rimase sino all’amnistia del 1964, per venire poi nuovamente arrestato e impiccato nel 1966. In questo periodo Qutb scrisse i due testi fondamentali dell’lslamismo: All’ombra del Corano e Segni di pista. In queste opere egli effettuò una divisione importantissima: quella tra la già citata jahlliyya e l’lslam, inteso come totalità: fede, stile di vita, legislazione e ordinamento politico. Nacque così il divario tra partito di Dio, cui appartiene chi vuole la creazione di un ordine islamico, e partito di Satana, cui appartiene chi questo ordine non vuole. Questi riferimenti divennero delle costanti dell’ideologia integralista.

PER QUTB QUALSIASI FORMA DI POTERE umano era idolatra e in quanto tale andava bandita. Egli definiva kufr, empi, i governanti suoi contemporanei, i quali vivevano nella barbarie e non nell’lslam. L’ideologo egiziano sostenne che essi si erano scomunicati, takfir, con il proprio operato e che quindi divenivano passibili di morte. Dovere di ogni buon musul mano era dunque la jihad, in tesa non più in senso difensivo (connotazione che egli considera va ipocrita), ma in senso di attiva rimozione degli ostacoli che impediscono il concretizzarsi dell’lslam. Inoltre, nel dividere tra veri credenti e jahlliyya egli portava la jihad dal suo spazio tradizionale, quello esterno alla umma (comunità), a quello interno alla stessa. Data la laicizzazione imperante, anzi, non si poteva nem meno dire che l’umma esistesse ancora. La portata rivoluzionaria di questi scritti è evidente: «An che il mondo occidentale capisce che la sua civiltà è incapace di pre sentare valori morali che guidino l’umanità», sostiene lo stesso Qutb in Segni di pista.

«Sa di non possedere nulla che possa soddisfare la sua coscienza e giustifica la sua esistenza (…). È essenziale che l’umanità sia guidata da una nuova leadership (…). È necessario che la nuova guida preservi e sviluppi i frutti materiali e l’ingegno creativo dell’Europa, ma anche che provveda l’umanità di ideali e valori che non le sono ancora stati rivelati, così come dovrà dare all’umanità un modo divita che sia in armonia con la natura umana, che sia positivo, costruttivo e che sia concretizzabile. L’lslam è l’unico sistema che possegga questi valori e questo modo di vita».

Qutb fu molto influenzato da Abu Ala Mawdudi (1903-1979), un ideologo indiano-pakistano per il quale la politica era componente fondamentale dell’lslam. Egli, in La jihad nell’lslam, un’opera pubblicata alla fine degli anni venti e scritta in urdu (lingua unificatrice del futuro Pakistan), auspicava una reislamizzazione della società dall’alto, attraverso uno stato che applicasse la sharia. Egli postulava che fondare uno stato islamico, che poggiasse sui cinque pilastri della fede (i cinque pilastri della fede sono: Shadada, ovvero l’unicità di Dio, di cui Maometto è il Profeta; Salat, ovvero il dovere di pregare cinque volte al giorno; Saum, ovvero il dovere di astenersi dal bere, cibarsi e fare sesso nelle ore che vanno dal l’alba al tramonto nel mese di Ramada; Zakat, ovvero il dovere della carità, una tassa annuale che viene redistribuita tra i più bisognosi; Hajj, ovvero il dovere di fare almeno una volta il pellegrinaggio alla Mecca) fosse una condizione essenziale per il benessere dei musulmani della sua area e, pur criticandone l’impostazione nazionalista (ogni nazione divide l’umma) egli fu una voce importante nella vita politica del neonato Pakistan, attraverso il partito Jamat-e Islami.

Questa realizzazione della comunità ideale sarebbe a sua volta stata una pre-messa alla jihad, intesa come una guerra contro quante, tra le creature di Allah, ne avessero voluto usurpare il dominio. L’opera di Mawdudi fu la prima importante formulazione di una ideologia di lotta politica per la causa dell’lslam

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SOLO STORIA O ANCHE FUTURO?

Qual è l’attualità del fondamentalismo? E soprattutto si deve considerare un incidente nella storia dell’lslam o si tratta di un’interpretazione sociale e religiosa che è destinata a crescere e che è testimonianza di vitalità? Millenovecento lo ha chiesto a John Voll, professore di storia islamica all’università di Georgetown a Washington e uno dei maggiori esperti di storia dei movimenti musulmani. «Quel che succede è che l’lslamismo va in una direzione meno politica e più sociale. E a livello sociale, rappresenta un movimento di massa, se consideriamo il grande successo delle frange più moderate”

La causa islamista è ancora profondamente sentita: se le sue forme più radicali sono agonizzanti, l’istanza è più viva che mai. Si potrebbe dire che l’lslam politico è morto se inteso come tentativo di ritorno a un ordine ideale fuori dalla storia. I teorici integralisti dei nostri giorni pensano però, di recuperarne l’attualità per progredire. Il tunisino Rashid al-Ghannushi, così come molti altri, ha evidenziato la relazione che si è instaurata tra l’lslam, alcuni concetti culturali e alcune istituzioni moderne, che non erano contemplate dalla dottrina tradizionale. Nel fare ciò, essi reinterpretano l’lslamismo, togliendogli parte del suo connotato integralista».

In occidente il concetto di sharia, recuperato dall’lslam, fa molta paura, in quanto è un’idea aggressiva. «Per alcuni movimenti l’instaurazione della sharia rimane un obiettivo di primaria importanza, ma anche questi iniziano a considerare riduttivo concentrarsi solo su questo aspetto. Gli obiettivi degli integralisti sono ora di più ampio respiro. L’ala movimentista dell’integralismo, molto forte in Egitto, è spesso composta da ex radicali che hanno recuperato l’ideale di al Banna e dei Fratelli musulmani, perseguendo l’ideale della reislamizzazione dal basso. Cercano quindi di effettuare cambiamenti nel sociale e nella cultura senza sfidare il governo, strada che ha più volte dimostrato di guidare solo alla violenza e alla repressione. Un altro esempio è Abd al-Karim Sarush, un intellettuale iraniano che si è schierato per l’uscita dalla politica del clero. Egli ritiene che se la società nel suo complesso è islamica, ciò si ri fletterà spontaneamente nelle sue leggi. Ma la maggior parte delle sue riflessioni riguarda gli aspetti morali e culturali” Storicamente la sharia è stata al centro dell’istanza islamista, Oggi, però, l’applicazione della sharia sembra stia diventando un obiettivo subordinato all’individuazione del cosa effettivamente significhi applicare la legge coranica nel mondo odierno, oltre che all’individuazione del ruolo concreto che la sharla potrebbe svolgere nella creazione di uno stato islamico” Uno dei punti più dibattuti è quanto senso possano avere ancora le punizioni hudud (le pene corporali, dal taglio della mano alla lapidazione)” Non credo quindi che l’introduzione della sharia sia l’obiettivo ultimo degli islamisti odierni».

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LA ROTTURA CON IL QUIETISMO

Nonostante l’lslam delle origini fosse un sistema completo che abbracciava ogni sfera dell’individuo e del sociale, la politica divenne ben presto un elemento estraneo alla religione musulmana. La frattura tra autorità spirituale e autorità temporale avvenne già nel 661 dopo Cristo, pochi anni dopo la morte di Maometto. l’occasione specifica fu l’avvento al potere della dinastia degli Ommayadi, i quali presero il potere sulla comunità guidata da Maometto prima e dai suoi discendenti poi. Se il Profeta e i suoi familiari incarnavano insieme autorità religiosa e politica, l’insediamento al potere di un clan nemico separò le due sfere.

Il titolo di Califfo, ovvero di delegato del profeta, perse la sua connotazione religiosa. l’avvento della dinastia Ommayade generò quindi una situazione conflittuale a livello ideologico: l’autonomia della sfera politica significava infatti la fine del patto di sottomissione degli uomini alla legge di Dio, spezzando la relazione tra governante legittimo in quanto giusto, ovvero in quanto sottomesso alla legge di Dio, e governante legittimo per il solo fatto di essere al potere.

Per sanare il divario che si era venuto a creare tra potere religioso e potere politico, i filosofi islamici arrivarono ben presto all’elaborazione della teoria quietista, la cui enunci azione più completa fu però più tarda, ad opera di Abu Hamid Ghazali (1058-1111). La teoria quietista invitava ad astenersi dal giudicare il governante, confidando nella capacità di Dio di riconoscere chi gli è effettivamente fedele. Per giustificare questa neutralità nei confronti del potere, Ghazali rimanda a un versetto coranico, «la ribellione è peggio dell’uccisione». Il termine per ribellione è fitna, i cui significati sono però molteplici.

Ghazali ritiene comunque che l’ordine, per quanto ingiusto, sia preferibile al conflitto all’interno del-la comunità dei credenti. la ribellione, infatti, minaccia l’unità dell’umma. Questa teoria, che dominò quattordici secoli di storia dell’lslam, venne messa in discussione da vari gruppi eretici. Con l’avvento dell’lslah, però, alla fine del XIX secolo, essa iniziò a essere screditata all’interno stesso della comunità sunnita. lo sciismo, intriso di messianesimo, giustificherà anch’esso, nei secoli, un distacco tra sfera religiosa e sfera politica, in attesa del ritorno dell’imam nascosto.

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La prima parte:

Allah è tutto