Erga migrantes caritas Christi (parte IV e conclusione)

PONTIFICIO CONSIGLIO

DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI

istruzione

(La carità di Cristo verso i migranti)

PARTE IV

STRUTTURE DI PASTORALE MISSIONARIA

Unità nella pluralità: problematica

89. Sono molti i motivi che esigono una sempre più profonda integrazione della cura specifica dei migranti nella pastorale delle Chiese particolari (cfr. DPMC 42), di cui il primo responsabile è il Vescovo diocesano/eparchiale, ma nel pieno rispetto della loro diversità e del loro patrimonio spirituale e culturale, superando il limite della uniformità (cfr. PaG 65 e 72) e distinguendo il carattere territoriale della cura d’anime da quello dell’appartenenza etnica, linguistica, culturale e di rito.

In tale contesto le Chiese di accoglienza sono chiamate ad integrare la realtà concreta delle persone e dei gruppi che le compongono, mettendo in comunione i valori di ciascuno, convocati tutti a formare una Chiesa concretamente cattolica. “Si realizza così nella Chiesa locale l’unità nella pluralità, cioè quell’unità che non è uniformità, ma armonia nella quale tutte le legittime diversità sono assunte nella comune tensione unitaria” (CMU 19).

In tal modo la Chiesa particolare contribuirà alla fondazione, nello Spirito della Pentecoste, di una nuova società nella quale le diverse lingue e culture non costituiranno più confini insuperabili, come dopo Babele, ma in cui, proprio in tale diversità, è possibile realizzare un nuovo modo di comunicazione e di comunione (cfr. PaG 65). In questa realtà la pastorale dei migranti diventa un servizio ecclesiale per i fedeli di lingua o cultura diverse da quelle del Paese di accoglienza e al tempo stesso assicura un apporto specifico delle collettività straniere alla costruzione di una Chiesa che sia segno e strumento di unità in vista di una umanità rinnovata.

E’, questa, una visione che deve essere approfondita e assimilata anche per evitare possibili tensioni tra Parrocchie autoctone e Cappellanie per gli immigrati, tra Presbiteri autoctoni e Cappellani/Missionari. In questo contesto va considerata pure la classica distinzione tra prima, seconda e terza generazione di migranti, ciascuna con le sue caratteristiche e i suoi problemi specifici.

90. Sono soprattutto due i livelli sui quali oggi si pone il problema dell’inserimento ecclesiale dei migranti: quello diremmo canonico-strutturale e quello teologico-pastorale. Il carattere planetario, che ha ora il fenomeno della mobilità umana, comporta certo il superamento, a lungo andare, di una pastorale generalmente mono-etnica, che ha caratterizzato finora sia le Cappellanie/Missioni straniere che le parrocchie territoriali dei Paesi di accoglienza, e ciò in vista di una pastorale impostata sul dialogo e su una costante, mutua collaborazione.

Per ciò che concerne le Cappellanie/Missioni di lingua e cultura diversa, notiamo che la formula classica della Missio cum cura animarum era in fondo legata, in passato, ad una immigrazione provvisoria o comunque in fase di assestamento. Orbene, tale soluzione non dovrebbe più costituire oggi la formula quasi esclusiva d’intervento pastorale per collettività immigrate che si trovano a diversi livelli di integrazione nel Paese di accoglienza.

E’ necessario pensare cioè a nuove strutture che, da una parte, risultino più “stabili”, con una conseguente configurazione giuridica nelle Chiese particolari e, dall’altra, rimangano flessibili e aperte ad una immigrazione mobile o temporanea. Non è cosa facile, ma sembra essere ormai questa la sfida del futuro.

Strutture pastorali

91. Tenendo sempre in considerazione che i migranti stessi debbono essere i primi protagonisti della pastorale, si potrebbero così contemplare soluzioni adatte sia nell’ambito della pastorale etnico-linguistica, sia di quella d’insieme (cfr. PaG 72). Per il primo ambito, anzitutto, vogliamo qui indicare alcune dinamiche e strutture pastorali, cominciando dalla Missio cum cura animarum, formula classica per comunità in via di formazione, applicata ai gruppi etnici nazionali o di un certo rito, non ancora stabilizzati.

Anche in queste Cappellanie/Missioni però si dovranno accentuare, sempre più,i rapporti interetnici e interculturali. La Parrocchia personale etnico-linguistica o rituale è invece prevista là dove esista una collettività immigrata che avrà, anche in futuro, un ricambio e dove la collettività immigrata conserva una rilevante consistenza numerica. Essa offre i caratteristici servizi parrocchiali (annuncio della Parola, Catechesi, Liturgia, Diaconia) e farà riferimento soprattutto ai fedeli di recente immigrazione o stagionali o sottoposti a rotazione, e a coloro che, per varie ragioni, hanno difficoltà ad inserirsi nelle strutture territoriali esistenti.

Si può contemplare anche il caso di una Parrocchia locale con missione etnico-linguistica o rituale, che si identifica con una Parrocchia territoriale la quale, grazie a uno o più Operatori pastorali, si prende cura di uno o più gruppi di fedeli stranieri. Il Cappellano qui fa parte dell’équipe della Parrocchia. Vi può essere altresì il Servizio pastorale etnico-linguistico a livello zonale, concepito come azione pastorale in favore di immigrati relativamente integrati nella società locale. Sembra importante infatti conservare alcuni elementi di pastorale linguistica, o legata ad una nazionalità, o a un rito, impegno che assicuri servizi essenziali, e legati a un certo tipo di cultura e pietà e curi, nello stesso tempo, l’apertura e l’interazione tra la comunità territoriale e i vari gruppi etnici.

92. In ogni caso, quando risulti difficile o non opportuna l’erezione canonica delle anzidette strutture stabili di cura pastorale, rimane intatto il dovere di assistere pastoralmente i cattolici immigrati con quelle modalità che, considerate le caratteristiche della situazione, sono ritenute più efficaci, anche senza specifiche istituzioni canoniche. Le cristallizzazioni pastorali informali, e magari spontanee, meritano cioè di esser promosse e riconosciute nelle circoscrizioni ecclesiastiche, a prescindere dalla consistenza numerica di chi ne beneficia, anche per non dare spazio all’improvvisazione e a Operatori isolati e non idonei, o addirittura alle sette.

Pastorale d’insieme e ambiti settoriali

93. Pastorale d’insieme significa qui, soprattutto, comunione che sa valorizzare l’appartenenza a culture e popoli diversi, in risposta al piano d’amore del Padre, che costruisce il suo Regno di pace – per Cristo, con Cristo e in Cristo – in potenza dello Spirito, nell’intreccio delle vicende storiche, complesse e spesso apparentemente contraddittorie, dell’umanità (cfr. NMI 43).  In questo senso si possono prevedere:

la Parrocchia interculturale e interetnica o interrituale, dove si cura, allo stesso tempo, l’assistenza pastorale degli autoctoni e degli stranieri residenti sullo stesso territorio. La Parrocchia tradizionale territoriale diventerebbe così un luogo privilegiato e stabile di esperienze interetniche o interculturali, pur conservando, i singoli gruppi, una certa autonomia, o

la Parrocchia locale con servizio ai migranti di una o più etnie, di uno o più riti. E’ una Parrocchia territoriale composta di popolazione autoctona, ma la cui chiesa o centro parrocchiale diventano punto di riferimento, di incontro e di vita comunitaria anche di una o più comunità straniere.

94. Si potrebbero infine prevedere alcuni ambiti, strutture o settori pastorali specifici, che si dedichino all’animazione e alla formazione, sempre nel mondo dei migranti, a vari livelli. Pensiamo a:

Centri di pastorale giovanile specifica e di proposta vocazionale, col compito di promuovere le relative iniziative;

Centri di formazione di laici e operatori pastorali, in una prospettiva multiculturale;

Centri di studio e di riflessione pastorale, col compito di seguire l’evoluzione del fenomeno migratorio e di presentare a chi di dovere adeguate proposte pastorali.

Le unità pastorali

95. Le unità pastorali[76], sorte da qualche tempo in alcune Diocesi, potrebbero costituire, in futuro, una piattaforma pastorale anche per l’apostolato fra gli immigrati. Esse mettono in evidenza, infatti, il lento cambiamento del rapporto della parrocchia con il territorio, che vede il moltiplicarsi di servizi di cura d’anime a raggio sovraparrocchiale, l’emergere di nuove e legittime ministerialità e, non da ultimo, una presenza sempre più accentuata, e geograficamente diffusa, della “diaspora” migratoria.

Le unità pastorali avranno il seguito desiderato se si porranno soprattutto su un piano di funzionalità in relazione a una pastorale d’insieme, integrata, organica, e in questo quadro anche le Cappellanie/Missioni etnico-linguistiche e rituali vi potranno godere di piena accettazione. Le esigenze della comunione e della corresponsabilità si devono manifestare, di fatto, non solo nelle relazioni tra persone e tra gruppi diversi, ma anche nei rapporti tra comunità parrocchiali locali e comunità etnico-linguistiche o rituali.

CONCLUSIONE

UNIVERSALITÀ DI MISSIONE

I semina Verbi (semi del Verbo)

96. Le migrazioni odierne costituiscono il più vasto movimento di persone, se non di popoli, di tutti i tempi. Esse ci fanno incontrare uomini e donne, nostri fratelli e sorelle, che per motivi economici, culturali, politici o religiosi abbandonano, o sono costretti ad abbandonare, le loro case per ritrovarsi per la maggior parte in campi-profughi, in megalopoli senz’anima, in quartieri degradati o baraccopoli di periferia, dove il migrante condivide spesso l’emarginazione con l’operaio disoccupato, il giovane disadattato, la donna abbandonata.

Il migrante è per ciò assetato di “gesti” che lo facciano sentire accolto, riconosciuto e valorizzato come persona. Anche il semplice saluto è uno di questi. In risposta a tale anelito, i Consacrati e le Consacrate, le Comunità, le Associazioni laicali e i Movimenti ecclesiali, nonché gli Operatori pastorali, devono sentirsi impegnati a educare anzitutto i cristiani all’accoglienza, alla solidarietà e all’apertura verso gli stranieri, affinché le migrazioni diventino una realtà sempre più “significativa” per la Chiesa, e i fedeli possano scoprire i semina Verbi (semi del Verbo) insiti nelle diverse culture e religioni[77].

97. Nella comunità cristiana nata dalla Pentecoste, le migrazioni, in effetti, fanno parte integrante della vita della Chiesa, ne esprimono bene l’universalità, ne favoriscono la comunione, ne influenzano la crescita. Le migrazioni, dunque, offrono alla Chiesa l’occasione storica di una verifica delle sue note caratteristiche. Essa di fatto è una anche in quanto esprime, in un certo senso, l’unità di tutta la famiglia umana; è santa pure per santificare tutti gli uomini e affinché in essi sia santificato il nome di Dio; è cattolica altresì nell’apertura alle diversità da armonizzare, ed è apostolica anche perché impegnata ad evangelizzare tutto l’uomo e tutti gli uomini.

Ora appare chiaro, infatti, che non è soltanto la lontananza geografica che determina la missionarietà, quanto l’estraneità culturale e religiosa. “Missione” è perciò l’andare verso ogni uomo per annunciargli Gesù Cristo e, in Lui e nella Chiesa, metterlo in comunione con tutta l’umanità.

Operatori di comunione

98. Superata la fase di emergenza e di assestamento dei migranti nel Paese di accoglienza, il Cappellano/Missionario cercherà così di allargare il proprio orizzonte per diventare “diacono di comunione”. Con il suo “essere straniero” egli sarà un ricordo vivo, per la Chiesa locale in tutte le sue componenti, della sua caratteristica cattolicità, e le strutture pastorali, di cui egli è al servizio, saranno il segno, per quanto povero, di una Chiesa particolare impegnata nel concreto in un cammino di comunione universale, nel rispetto delle legittime diversità.

99. A questo proposito anche tutti i fedeli laici, pur senza particolari funzioni o compiti, sono chiamati a intraprendere un itinerario di comunione che implichi appunto accettazione delle legittime diversità. La difesa dei valori cristiani infatti passa, certo, pure attraverso la non discriminazione degli immigrati, soprattutto grazie a un vigoroso recupero spirituale dei fedeli stessi. Il dialogo fraterno e il rispetto reciproco, testimonianza vissuta dell’amore e dell’accoglienza, costituiranno così di per sé la prima e indispensabile forma di evangelizzazione.

Pastorale dialogante e missionaria

100. Le Chiese particolari sono chiamate dunque ad aprirsi, proprio a causa dell’Evangelo, ad una miglior accoglienza dei migranti, anche con iniziative pastorali d’incontro e di dialogo, ma altresì aiutando i fedeli a superare pregiudizi e prevenzioni. Nella società contemporanea, che le migrazioni contribuiscono a configurare sempre più come multietnica, interculturale e multireligiosa, i cristiani sono chiamati ad affrontare un capitolo sostanzialmente inedito e fondamentale del compito missionario: quello di esercitarlo nelle terre di antica tradizione cristiana (cfr. PaG 65 e 68).

Con molto rispetto e attenzione per le tradizioni e culture dei migranti, siamo cioè chiamati, noi cristiani, a testimoniare il Vangelo della carità e della pace anche a loro e ad annunciare esplicitamente pure ad essi la Parola di Dio, in modo che li raggiunga la Benedizione del Signore promessa ad Abramo e alla sua discendenza per sempre. La pastorale specifica per, tra e con i migranti, appunto perché è di dialogo, di comunione e di missione, diventerà allora espressione significativa della Chiesa, chiamata ad essere incontro fraterno e pacifico, casa di tutti, edificio sostenuto dai quattro pilastri a cui si riferisce il Beato Papa Giovanni XXIII nella Pacem in Terris, e cioè la verità e la giustizia, la carità e la libertà [78], frutti di quell’evento pasquale che, in Cristo, ha riconciliato tutto e tutti.

Essa manifesterà in tal modo pienamente il suo essere casa e scuola di comunione (cfr. NMI 43) accolta e partecipata, di riconciliazione chiesta e concessa, di mutua, fraterna accoglienza e di autentica promozione umana e cristiana. Così “si afferma sempre più la consapevolezza dell’innata universalità dell’organismo ecclesiale, in cui nessuno può essere considerato straniero o semplicemente ospite, né in qualche modo marginale” (CMU 29).

La Chiesa e i cristiani, segno di speranza

101. Di fronte al vasto movimento di genti in cammino, al fenomeno della mobilità umana, considerata da alcuni il nuovo “credo” dell’uomo contemporaneo, la fede ci ricorda come tutti siamo pellegrini verso la Patria. “La vita cristiana è essenzialmente la Pasqua vissuta con Cristo, ossia un passaggio, una sublime migrazione verso la Comunione totale del Regno di Dio” (CMU 10).

Ebbene, tutta la storia della Chiesa pone in evidenza la sua passione, il suo santo zelo, per questa umanità in cammino. Lo “straniero” è il messaggero di Dio, che sorprende e rompe la regolarità e la logica della vita quotidiana, portando vicino chi è lontano. Negli “stranieri” la Chiesa vede Cristo che “mette la sua tenda in mezzo a noi” (cfr. Gv 1,14) e che “bussa alla nostra porta” (cfr. Ap 3,20). Questo incontro – fatto di attenzione, accoglienza, condivisione e solidarietà, di tutela dei diritti dei migranti e di impegno evangelizzatore – rivela la costante sollecitudine della Chiesa che scopre in loro autentici valori e li considera una grande risorsa umana.

102. Dio affida perciò alla Chiesa, anch’essa pellegrina sulla terra, il compito di forgiare una nuova creazione, in Cristo Gesù, ricapitolando in Lui (cfr. Ef 1,9-10) tutto il tesoro di una ricca diversità umana che il peccato ha trasformato in divisione e conflitto. Nella misura in cui la presenza misteriosa di questa nuova creazione è autenticamente testimoniata nella sua vita, la Chiesa è segno di speranza per un mondo che desidera ardentemente giustizia, libertà, verità e solidarietà, cioè pace e armonia[79]. Nonostante i ripetuti fallimenti di progetti umani pur nobili, i cristiani, sollecitati dal fenomeno della mobilità, prendono coscienza della loro chiamata ad essere, sempre e di nuovo, segno, nel mondo, di fraternità e comunione, praticando, nell’etica dell’incontro, il rispetto delle differenze e la solidarietà.

103. Pure i migranti possono essere i costruttori, nascosti e provvidenziali, di una tale fraternità universale, insieme a molti altri fratelli e sorelle. Essi offrono alla Chiesa l’opportunità di realizzare più concretamente la sua identità comunionale e la sua vocazione missionaria, come attesta il Vicario di Cristo: “Le migrazioni offrono alle singole Chiese locali l’occasione di verificare la loro cattolicità, che consiste non solo nell’accogliere le diverse etnie, ma soprattutto nel realizzare la comunione di tali etnie.

Il pluralismo etnico e culturale nella Chiesa non costituisce una situazione da tollerarsi in quanto transitoria ma una sua dimensione strutturale. L’unità della Chiesa non è data dall’origine e lingua comuni, ma dallo Spirito di Pentecoste che, raccogliendo in un solo Popolo genti di lingue e nazioni diverse, conferisce a tutte la fede nello stesso Signore e la chiamata alla stessa speranza”[80].

104. La Vergine Madre che, insieme a suo Figlio Benedetto, ha provato il dolore insito nell’emigrazione e nell’esilio, ci aiuti a comprendere l’esperienza, e molte volte il dramma, di quanti sono costretti a vivere lontani dalla loro Patria e ci insegni a metterci a servizio delle loro necessità in una accoglienza veramente fraterna, affinché le odierne migrazioni siano considerate un appello, pur misterioso, al Regno di Dio già presente, come primizia, nella sua Chiesa (cfr. LG 9), e strumento provvidenziale al servizio dell’unità della famiglia umana e della pace[81].

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