Business (staminali)

biolabRubrica ANTIDOTI  (http://www.rinocammilleri.it/)

La copertina del più importante settimanale economico americano, «Business Week», titola «Biotech, finally». Traduzione: «Biotecnologie, finalmente». Già, perché il settore sta riaccendendo le speranze dei trombati dalla cosiddetta new economy, che erano rimaste sepolte sotto i tonfi dell’indice borsistico Nasdaq.

Il giornalista Mario Sechi, sul «Il Giornale» dell’8 giugno 2005, commentava il rapporto annuale della prestigiosa società di consulenza finanziaria Ernst & Young, dicendo che «il vero impulso al mercato secondo gli esperti arriverà proprio dalle cellule staminali. Adulte e, soprattutto, embrionali». Certo, Bush ha posto il veto sulla concessioine di fondi federali per la «ricerca» in tal senso, ma i singoli States se ne fregano e stanziano miliardi di dollari proprio sulle embrionali, come (ovviamente) la California (orfana della new economy: Silicon Valley sta là) e, per ora, il Connecticut. E’ solo l’inizio.

Intanto, le multinazionali americane ci si stanno buttando alla grande, come i giganti Big Pharma. Johnson & Johnson, Novartis, General Electric eccetera. I loro occhi sono puntati, guarda un po’, sull’Italia. Perché? «L’apertura sulle staminali embrionali in un Paese importante come l’Italia farà da moltiplicatore». Già: sarà un esempio per due miliardi di cristiani.

Certo, ci sono ditte che, come la Ely Lilly & Co e la Baxter International, fanno business in altro modo, cioè premurandosi di spiegare ai loro clienti che, loro, di embrionali non ne usano. Ma quel che fa ridere sono i nemici nostrani delle multinazionali americane: tutti per il «Sì».

Ovviamente, i premi Nobel di casa nostra (c’è anche Dario Fo, ed è tutto dire) pure, al grido di «gli scienziati italiani sarebbero tagliati fuori dal circuito scientifico internazionale» (così il documento collettivo che hanno firmato, con l’adesione delle università di Yale, Cambridge, Edimburgo, Madrid, Zurigo, Bonn, il Cnr francese e il parigino Istituto Pasteur, e poco importa se il cattolicissimo Louis Pasteur si rivolta nella tomba). Insomma, business is business, signori miei.