Duns Scoto

Duns ScotoLa vita, le opere
Vita.

Filosofo e teologo francescano, originario della Scozia, done il soprannome “Scoto” (Duns [contea di Berwick] 1265-66 – Colonia 1308). Fece i primi studi presso i francescani di Haddington, ed entrò nell’Ordine nel 1282 nel convento di Dumfries. Continuò gli studi presso l’università di Oxford e forse di Parigi, fu ordinato sacerdote nel 1291.

Ritornato a Parigi, vi rimase per 5 anni per condurre a termine gli studi filosofici e teologici per il baccellierato in teologia. Iniziò il suo insegnamento poi ad Oxford con il maestro Guglielmo di Ware, e poi a Cambridge. Nel 1301 ritornò a Parigi dove insegnavano Goffredo di Fontaines, Enrico di Gand, Eckart ed Egidio Romano. Due anni dopo dovette lasciare Parigi per non avere acceduto alla posizione di Filippo il Bello nella lotta contro il papa Bonifacio VIII. Nel 1304 fu di nuovo a Parigi dove, nel 1305, conseguì il grado di Magister; nel 1306-1307 fu maestro reggente di quello Studio francescano, quando improvvisamente (forse per l’ostilità di Filippo il Bello) venne trasferito a Colonia dove morì l’anno dopo.

Venerato come beato nelle diocesi di Colonia e di Nola, il suo nome è inserito nel Martyrologium Franciscanum, e la sua causa di beatificazione è stata avviata una prima volta nel 1706, e una seconda volta nel 1905.

Scoto nella storia della cultura cristiana.

Dopo Tommaso e Bonaventura è l’altro grande maestro del periodo d’oro della Scolastica. S. (chiamato Doctor subtilis, o anche Doctor Verbi Incarnati, Doctor Marianus) fu il più insigne esponente della seconda Scuola francescana, ed è con Bonaventura di Bagnorea il maggior filosofo francescano. Intorno al suo pensiero è stata alimentata una polemica secolare che in questi ultimi decenni sembra finalmente placarsi, col rifiorire degli studi medievali e il lavoro della Commissione per l’edizione critica delle sue opere.

Lo spirito dello scotismo.

L’originalità di S. ha come punto di partenza una critica ai sistemi aristotelico-tomista e agostiniano-bonaventuriano che si fronteggiavano all’università di Parigi, i cui vessilliferi erano da una parte Goffredo di Fontaines ed Egidio Romano, e dall’altra Enrico di Gand. Tra tali due sistemi rivali S. cerca una sintesi nuova, che salvi da un lato la centralità di Cristo e del soprannaturale propria della tradizione francescana accogliendo d’altro lato quanto possibile l’istanza aristotelico-tomista di valorizzazione della conoscenza sensibile e della realtà corporea. Una caratteristica notevole del suo pensiero, che gli ha meritato l’appellativo di Subtilis (sottile), è proprio la sua costante preoccupazione di non perdere nulla di ciò che di positivo vi è in impostazioni e sistemi anche opposti, ricorrendo a distinzioni, appunti, sottili.

La ragione in effetti deve per S. riconoscere la sua l’insufficienza nell’affrontare la situazione concreta (status) dell’uomo, e accettare così di integrarsi alla fede: al centro di tutto per S. sta Cristo(Cristocentrismo), il Verbo incarnato la cui missione non è semplicemente quella di riparare il peccato originale, quasi fosse da esso condizionata, ma quella di divinizzare l’uomo. Essenziale allora è mostrare come tutto debba essere riferito a tale unitario Centro.

Metafisica.

Così in metafisica la tesi più significativa di S. è quella dell’univocità dell’essere (laddove Tommaso d’Aquino (v.) aveva sostenuto la analogicità dell’essere): con tale tesi, che significa che il termine essere viene usato nello stesso senso in rapporto ai vari enti di cui viene detto, S. non nega certo l’infinita differenza ontologica che corre tra l’Essere Infinito e l’essere creaturale, ma intende sottolineare come tra tutto ciò che esiste ci sia una intrinseca comunione, che ci consente di parlare imperfettamente, ma legittimamente dello stesso Infinito.

Attraverso la nozione univoca dell’essere infatti S. si apre la via allo studio dell’Essere Infinito. Le sue prove dell’esistenza di Dio si riconducono a tre, e giungono a Dio come Causa, come Perfezione e come Fine. S. si chiede anzitutto se l’Essere Infinito sia possibile; la risposta è affermativa in quanto non implica contraddizione. Poi, con un processo dimostrativo che si muove sul piano rigorosamente metafisico, afferma l’esistenza attuale dell’Essere Infinito.

In primo luogo S. dimostra come debba esistere una Prima Causa efficiente di tutto, un Natura assolutamente perfetta, e un Fine Ultimo. E quindi egli argomenta come tale Causa, Perfezione e Fine deve essere infinito, cioè sia appunto Dio. La forza della dimostrazione scotista risulta dal massimo rigore logico che riduce all’impensabilità (in quanto evidentemente contraddittoria) ogni possibilità diversa o contraria.

Gnoseologia.

La mente umana in effetti non è aperta al solo essere delle cose sensibili (come inclinava a pensare Tommaso d’Aquino), ma all’essere in quanto tale, in tutta la sua ampiezza (ens in quantum ens): l’intelletto tende verso la totalità; è solo in seguito al peccato originale che l’oggetto proprio dell’intelletto si è in qualche modo, di fatto, ristretto all’intelligibile presente nel sensibile, ma per natura l’oggetto dell’intelletto è appunto l’essere nella sua ampiezza totale.

Altra tesi di S. è la conoscibilità intellettiva del singolare, anche in questo caso in opposizione a Tommaso: l’intelletto non conosce solo aspetti universali, ma la concretezza del singolare. Per S. infatti sarebbe inconcepibile l’impossibilità di pensare ciò che più merita l’attenzione dell’uomo, ossia Cristo, che, Verbo incarnato nella determinatezza storica, è un Singolare. D’accordo con Tommaso invece è S. nel ritenere che tutta la conoscenza umana tragga origine dai sensi; ma rispetto all’Aquinate la funzione del soggetto conoscente è da un lato più attiva nei confronti dell’oggetto conosciuto e dall’altro è in stretta relazione con la presenza illuminante di Cristo.

Cosmologia.

In cosmologia S. si attenne alla teoria ilemorfica (unità di materia e forma) già teorizzata da Aristotele; ma egli concede anche alla materia un minimo di attualità (quid positivum) quale termine dell’atto creativo, pena la sua vanificazione; la forma è atto in quanto principio di determinatezza e di distinzione. Originale fu la soluzione di S. al problema, dibattuto nella Scolastica, del principium individuationis: se tutti gli individui di una certa specie hanno la medesima forma (specifica) e d’altra parte la materia è un principio indeterminato e non differenziante, che cosa differenzierà un individuo dagli altri della stessa specie?

Tommaso aveva detto: la materia; certo non la materia in quanto totalmente indeterminata, ma una materia in qualche modo già specificata (la materia signata quantitate). S. è insoddisfatto di tale spiegazione, che non conferisce sufficiente valore al singolare, ed elabora così la sua (sottile) proposta, secondo cui non è né la materia né la forma specifica ad individuare, ma un principio ulteriore l’haecceitas (neologismo da lui coniato= letteralmente “questità”, ovvero “l’essere questo qui”), ultima perfezione entitativa, ultima sigillo perfezionate della forma.

Antropologia.

Anche l’uomo ha una struttura ilemorfica, in quanto unità sostanziale di anima e corpo; da un lato il corpo ha una sua forma corporeitatis, e dall’altro l’anima, oltre che forma di vita sensitiva e vegetativa, è in qualche modo una sostanza spirituale, principio delle facoltà conoscitiva e volitiva che trascendono il piano dell’esperienza sensibile; dunque, nella linea della tradizione francescana e differenziandosi dall’aristotelismo di Tommaso, S. attribuisce allo spirito umano una maggior eccellenza rispetto al livello corporeo. Il primato nelle facoltà è concesso da S. alla volontà, in quanto intrinsecamente libera di fronte all’oggetto presentatole dall’intelletto, e perché esercita un certo dominio anche sullo stesso intelletto.

Tale ne fu la sua stima da ritenere che nella stessa beatitudine eterna l’uomo resterà libero di scegliere. Essendo spirituale, l’anima è immortale; tuttavia, essendo creata, l’anima potrebbe, assolutamente parlando, venire annientata dal Creatore (anche se ciò non è niente più che una ipotesi filosofica, che la fede assicura essere falsa).

Etica.

In Dio S. ripone il fondamento ultimo della moralità: Deus est rationabilissime et ordinatissime volens, onde la volontà divina vuole solo ciò che è conforme a verità (all’essenza divina). Per il fatto che S. limita la bontà morale di un atto nel suo riferirsi a Dio (fine ultimo), risulta che molte azioni umane possono essere moralmente indifferenti, per quanto non cattive. Il bene diventa un dovere morale solo se è bene necessario (Dio) o se è mezzo indispensabile per raggiungere il fine ultimo (Dio). La sfera del bene-dovere è indicata dalla legge naturale che S. distingue in legge naturale in senso stretto (in cui entrano i doveri verso Dio) e in legge naturale in senso largo (in cui rientrano i doveri verso se stessi e il prossimo).

Teologia.

Scoro concepisce la teologia come scienza fortemente connotata in senso affettivo (nel solco della tradizione agostiniano-francescana), in quanto approfondisce il mistero di Dio nel suo rivelarsi all’uomo, perché l’uomo possa agire in modo da fruirne la proposta salvifica. Dio si è rivelato come mistero di amore (Deus caritas est); amore è la creazione, amore è la grazia, amore è la beatitudine eterna; ma soprattutto è amore l’incarnazione del Figlio di Dio: “Dico dunque, anzitutto, che Dio si ama; secondariamente, Dio si ama per andare ad altri, e questo amore è ordinato; terzo, Dio vuol essere amato da qualcuno che possa amarlo di un sommo amore, ed io parlo di un amore estrinseco a lui; quarto, Dio prevede l’unione con se stesso di questo essere che deve amarlo, anche se non vi fosse tra gli esseri creati nessuno che tradisca l’amore”.

È questa teologia dell’amore che conduce S. a stabilire la famosa dottrina del Cristocentrismo: il Cristo, Dio-Uomo, è per se stesso voluto da Dio, assolutamente e incondizionatamente (cioè anche se l’uomo non avesse peccato), in quanto termine di Amore infinito e soggetto di uguale amore. Pertanto il Cristo è principio e fine di tutta la realtà creata, nell’ordine della natura, della grazia e della gloria. Immediata conseguenza di questa dottrina è l’altra (definita come dogma di fede l’8 dicembre 1850) dell’Immacolata Concezione: Maria, in quanto madre predestinata del Cristo, non poteva essere esclusa dalla pienezza di amore, causa il peccato originale: S. introduce per lei il concetto di “Redenzione preventiva”, per giustificare come la Madre di Dio sia, insieme, redenta e immune dalla colpa originale.

Particolare interesse poi hanno assunto, dopo il concilio Vaticano secondo, altre dottrine scotiste, come quella sulla Rivelazione (che è trasmessa nelle Scritture, benché alcune verità particolari siano state trasmesse alla Chiesa attraverso la tradizione), e quella del carattere sacramentale dell’Ordine episcopale.

Il problema delle opere di Scoto.

La questione sulla autenticità e genuinità degli scritti di S. ha sempre tormentato i critici; infatti l’importanza e la diffusione del pensiero scotista ha fatto sì che vari scritti di discepoli fossero inseriti tra quelli del maestro, e che varie interpolazioni fossero introdotte nel suo testo. L’odierna commissione internazionale per l’edizione critica delle opere di S. (pur essendo ben lungi dall’aver ultimato il suo lavoro) ha stabilito l’elenco delle opere autentiche.

Tra le principali opere ricordiamo: Super Universalia Porphyrii quaestiones; In librum Praedicamentorum quaestiones; Quaestiones in I e II Perihermeneias Aristotelis; In duas libros Perihermeneias, operis secundi, quod appellant, quaestiones; Quaestiones super libros Aristotelis De anima; De primo rerum omnium principio; Theoremata; Collationes Parisienses; Quaestiones super libros Metaphysicorum Aristotelis; Opus Oxoniense; Reportata Parisiensia; Quodlibet; Reportatio in IV Sent.; Lectura in I Sent.; Collationes 6 Oxonienses et Parisienses.

Testi

Nella Catholic Encyclopedia on line (in inglese, 38 kb html)

Bibliografia essenziale

Gilson E., Jean Duns Scot, Vrin, Paris 1952.
Biffi Inos, Figure medioevali della teologia: la teologia in Duns Scoto, Teologia (ed. Glossa), Milano.

Bonasea B., L’uomo e Dio nel pensiero di Duns Scoto, Jaca Book, Milano 1991