I veleni della contraccezione di Renzo Puccetti

pillolaCorrispondenza romana
n.1321 del 12 dicembre 2013

di Fabrizio Cannone

È un libro, quello del professor Renzo Puccetti che, certamente, per la mole di informazioni che comporta e per le prospettive che offre, è destinato a restare una pietra miliare nella difesa della vita umana dalla mortifera ideologia contraccettiva (Renzo Puccetti, I veleni della contraccezione, ESD, Bologna 2013, pp. 415, € 25).

Tutta la prima parte è dedicata alla storia del rapporto tra Chiesa, cristianesimo e contraccezione, mostrando bene due cose. Da una parte che la contraccezione, in un modo o in un altro, è sempre esistita, e certamente era nota fin dai primi secoli della Chiesa (ne parlano esplicitamente, seppur con metafore o con termini diversi, la Didachè, Clemente Alessandrino, Agostino, il Crisostomo, e vari altri Padri e teologi, cf. pp. 11-16); dall’altra che la posizione cristiana fu, sin dall’inizio e senza soluzione di continuità, di netta condanna di ogni forma di contraccezione, intesa proprio, come la spiegherà l’Humanae vitae molti secoli dopo, ovvero come una prassi che «o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione» (HV, 14).

Dopo le chiarissime prese di posizione dei medievali e dei moderni (come per esempio il Catechismo Tridentino che ne parla esplicitamente, cf. p. 19), il Sommo Magistero si espresse contro l’onanismo, l’aborto, l’eugenetica e ogni forma di anticoncezionali attraverso le encicliche e i discorsi dei Papi Pio XI, Pio XII e Giovanni XXIII. Un capitolo lungo e molto interessante in questo panorama storico-critico è quello dedicato a «Gli anni del Concilio» (pp. 39-140).

Impossibile da sintetizzare, resta molto istruttivo in un duplice senso. Se dal punto di vista dei documenti finali approvati da Paolo VI il Concilio non innovò, è anche vero che all’interno dei dibattiti e delle commissioni conciliari, nacque apertamente quella fronda di teologi e pastori che presero il sopravvento dopo l’Assise ecumenica, arrivando alla contestazione subdola o aperta all’Humanae vitae, e che giustamente Puccetti nomina con sprezzo i “regressisti”.

Non è un caso che tra i più ostili alla dottrina tradizionale della Chiesa sulla contraccezione ci fossero non pochi teologi che rappresentarono l’ala marciante del Concilio anche su temi in teoria molto diversi (come il card. Suenens, intimo di Montini, Guano, Küng, Häring e lo stesso John Courtney Murray). Si tratta di un capitolo intenso in cui emerge, in controluce, il lato umano-divino della Chiesa in tutta la sua complessità: certo il divino alla fine tiene, ed è insopprimibile, ma il lato umano, danneggia la fede dei fedeli in modo a volte irreparabile.

Il Capitolo 7 poi intitolato La mentalità contraccettiva e i suoi effetti (pp. 325-396), è come la conferma ex post di quanto mostrato dall’Autore nei capitoli precedenti. Oggi, infatti, possiamo ben vedere i frutti di mezzo secolo di contraccezione di massa e di propaganda neo-malthusiana. E i frutti sono davvero velenosi, come i contraccettivi: aumento e banalizzazione dell’aborto, innalzamento delle nascite fuori dal matrimonio e dalla famiglia, instabilità sentimentale dei giovani, perversioni sessuali di ogni tipo e rifiuto della castità, anche in ambito cattolico, come valore definitivamente tramontato.

Perfino un ateo come Horkheimer scrisse negli anni ’80 che la pillola aveva trasformato «Romeo e Giulietta in un pezzo da museo, giacchè il prezzo che esige è l’accelerazione della perdita dell’appartenenza reciproca, e, alla fine, la morte dell’amore» (p. 333). Noi cattolici però, fedeli alle norme immutabili della famiglia naturale, dobbiamo batterci senza tregua per il ritorno all’amore vero: ma esso non può coesistere con i “veleni della contraccezione”.