"Laicità e verità nella Dottrina sociale della Chiesa"

Crepaldi

Mons. Crepaldi

Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan

Newsletter n.488 13 settembre 2013

Intervento dell’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste e presidente dell’Osservatorio, al convegno che si è svolto presso la Universidad Católica de Cuyo- San Juan in Argentina

Premessa

La laicità, così almeno si dice, è un portato della modernità e frutto del processo moderno di secolarizzazione. La laicità è però anche un argomento dei documenti sociali della Chiesa ed esiste una teoria cattolica della laicità. Ecco allora il senso del titolo: cosa dice la Dottrina sociale della moderna laicità?

Sulla base della laicità, oggi si tende a separare la dottrina sociale preconciliare da quella postconciliare. La prima non avrebbe accettato la laicità moderna, mentre la seconda sì. Punto di svolta di questo cambiamento sarebbe stata la Costituzione pastorale del Vaticano II Gaudium et spes.

Mi propongo, a questo proposito, di fare qualche riflessione sul tema della continuità tra le due fasi dell’unica Dottrina sociale della Chiesa. Benedetto XVI, nella Caritas in veritate, afferma che «Non ci sono due tipologie di Dottrina sociale della Chiesa, una preconciliare ed una postconciliare, ma un unico insegnamento coerente e nello stesso temo sempre nuovo» [1] . Non è opportuno contrapporre tra loro due fasi della Dottrina sociale della Chiesa sulla base di un diverso rapporto con la laicità.

Il progetto di Leone XIII

E’ bene partire dal progetto di Leone XIII, quindi dagli inizi della dottrina sociale della Chiesa nell’accezione moderna del termine. Per quanto riguarda la Rerum novarum, vorrei limitarmi qui a due semplici osservazioni. E’ stato fatto il tentativo non solo di distinguere ma anche di separare la Rerum novarum dalle altre encicliche di Leone XIII. Il motivo sarebbe il seguente. Mentre nelle sue altre encicliche Leone XIII sarebbe rimasto legato ad una certa mentalità intransigente negatrice della dimensione laica della questione sociale, nella Rerum novarum avrebbe aperto alle cose nuove della modernità e quindi anche alla laicità.

Questa visione delle cose non può essere accettata. Come opportunamente ricordava il filosofo italiano Augusto Del Noce, Leone XIII stesso aveva indicato l’ordine logico e sistematico nel quale le sue principali encicliche avrebbero dovuto essere lette [2]. Se il Pontefice aveva elencato l’ordine delle sue principali encicliche vuol dire due cose: che egli considerava le sue encicliche come un tutto sistematico dentro cui non si potevano introdurre separazioni; che affidava a questo tutto uno scopo unitario.

La Rerum novarum è spesso proposta come la prima enciclica della “modernità”. La cosa viene detta in due sensi. Essa sarebbe stata la prima enciclica dopo che, con la modernità, politica e religione si erano separate, la prima enciclica di un fase storica di laicità e di secolarizzazione. In un secondo significato lo si dice soprattutto per sostenere che nella Rerum novarum ci sarebbe una sostanziale apertura, se non accettazione, della laicità moderna che prima non si dava, né nelle encicliche di Pio IX né in quelle dello stesso Leone XIII: la prima enciclica, quindi, di una secolarizzazione accettata.

A mio modo di vedere questa visione della Rerum novarum non è corretta, non corrisponde al disegno di Leone XIII e non è nemmeno utile – anzi risulta fuorviante – per comprendere lo sviluppo successivo della Dottrina sociale della Chiesa in rapporto alla laicità.

L’inizio del testo della Rerum novarum, come spesso anche si dimentica, stravolgendo il senso del titolo, non suona come una felice apertura alle cose nuove, ma come la riprovazione per l’insensato inseguimento delle cose nuove che dal piano politico dei tempi di Leone XIII era sceso sul terreno sociale ed economico.

E’ chiaro, quindi, che Leone XIII si poneva in continuità con Pio IX per indicare che lo stesso processo che nei decenni precedenti aveva caratterizzato il distacco della politica dal fondamento religioso si era poi diramato nella società civile e nell’economia, staccandole esse stesse dalla religione cristiana. Nella Rerum novarum non si nota una accettazione della secolarizzazione della modernità, ma la necessità di una risposta: questa risposta è la Dottrina sociale della Chiesa, ossia la dichiarazione di un “diritto di cittadinanza”, come dirà cento anni dopo Giovanni Paolo II nella Centesimus annus [3], della Chiesa nella società, nella convinzione che non esiste soluzione alla questione sociale fuori del Vangelo.

Strumento di questo progetto doveva essere la Dottrina sociale della Chiesa – quindi la Rerum novarum – ma dentro il quadro delle altre encicliche leonine e soprattutto di quelle che egli indicava come le maggiori e di cui forniva addirittura l’0rdine logico.

Il progetto moderno della laicità

Leone XIII non accettò quindi il progetto moderno sulla laicità, anche se accettò, come dirò nel prossimo paragrafo, la laicità. In cosa consiste allora il progetto moderno della laicità, nel cui rifiuto Leone XIII può essere accomunato a Pio IX?

Nella modernità ci sono molte cose, buone e meno buone. Se però vogliamo andare alla radice dello spirito moderno, mi sembra fuori di dubbio che esso consista nel razionalismo, ossia nella scelta per l’autosufficienza dell’uomo e del suo mondo. Machiavelli, Cartesio, Voltaire eliminano la meraviglia e la sostituiscono con il dubbio e con la scienza. Karl Löwith ha mostrato come il progetto moderno nasca dalla tradizione ebraico-cristiana e ne rappresenti la secolarizzazione, sostituendo alla provvidenza la scienza e alla salvezza il progresso [4]. La tensione escatologica c’è anche nella modernità, ma è solo terrena. La modernità non ha tolto l’assoluto, ha tolto la sua trascendenza.

Non bisogna però equivocare sulla modernità come “eresia cristiana”, come ebbe a dire Maritain. Il fatto che le ideologie moderne siano in fondo secolarizzazioni del cristianesimo non ci autorizza a dire che sono state prodotte dal cristianesimo. E’ ancora valida la riflessione di Karl Löwith: «Anche presupponendo che l’idea del progresso si lasci dedurre dalla speranza cristiana, rimane ancora da chiederci: come potrebbe il cristianesimo produrre conseguenze anticristiane?

E’ esso progressista in se stesso e perciò in grado di dar vita alla fede secolare nel progresso come ad una sua creatura illegittima, o è invece progressista in un senso completamente diverso da quello del mondo post cristiano?» [5]. L’esito, infatti, di questo percorso moderno non è la sostituzione del cristianesimo con forme immanenti di religione civile, ma l’eliminazione del cristianesimo stesso.

Il filosofo italiano Augusto del Noce, seguito in ciò da molti altri, ha individuato il cuore della modernità nel rifiuto del peccato originale, dello stato decaduto dell’umanità. Per la modernità, l’umanità sa darsi da sola la sua salvezza, con le sue proprie forze non ha bisogno di nessuna grazia divina.

Come si vede, nella modernità emerge la legittima autonomia del mondo umano dalla sfera religiosa, ma emerge anche il rifiuto della religione e la rivendicazione di una completa autosufficienza del mondo dell’uomo. Prometeo, in altri termini, che però alla fine di trasforma in Sisifo, come ha dimostrato nelle sue opere René Girard. Il rifiuto della trascendenza religiosa produce alla fine un’immanenza priva di senso.

La laicità nella Rerum novarum

Torniamo ora tornare alla Rerum novarum per vedere come in essa si riscontri il riconoscimento della legittima laicità delle realtà terrene e nello stesso tempo si ribadisca la dipendenza del creato dal Creatore e del piano sociale e politico da quello morale e religioso.

L’origine della questione sociale non è indicata da Leone XIII solo in processi materiali, ma piuttosto nell’allontanamento di leggi ed istituzioni dal fondamento cristiano. E’ stato questo a far sì che gli operai rimanessero «soli e indifesi in balia della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza» [6]. I drammi della questione sociale cui porre rimedio sono visti come il frutto negativo della secolarizzazione moderna.

Così, alla fine dell’enciclica, il vero rimedio è indicato nel Vangelo: «La salvezza desiderata deve essere principalmente frutto di una effusione di carità; intendiamo dire quella carità cristiana che compendia in sé tutto il Vangelo e che, pronta sempre a sacrificarsi per il prossimo, è il più sicuro antidoto contro l’orgoglio e l’egoismo del secolo» [7].

Nella Rerum novarum non troviamo l’accettazione della laicità moderna come assoluta autonomia del mondo umano dalla religione cristiana. Infatti, tutte le indicazioni concrete dell’enciclica, dalla critica al socialismo alle disposizioni sulla famiglia, dalla visione del ruolo dello Stato ai diritti dei lavoratori e così via, trovano luce nella legge morale naturale conservata dalla Chiesa e nel Vangelo.

Ciò non vuol dire però che nella Rerum novarum non ria rispettato il principio di laicità, nel senso di considerare adeguatamente la dimensione umana, e non solo religiosa, dei problemi.

Un esempio chiarificatore è la richiesta del riposo domenicale per i lavoratori. Leone XIII lo fonda su due necessità; quella di rendere il debito culto religioso a Dio e quello di riposare le membra [8]. Quello di riposare le membra possiamo chiamarlo il livello laico del problema, quello di rendere culto a Dio il livello religioso.

Essi non si contrappongono, ma il primo, senza rinunciare alla propria dimensione religiosa, illumina il secondo, senza togliergli la sua dimensione laica. Se si vuole garantire il diritto a far riposare le membra del lavoratore, la cosa migliore è di lottare per il diritto di rendere culto a Dio. Ai tempi della Rerum novarum, in Italia, nelle campagne del Veneto, i cattolici si battevano per il riposo domenicale in senso religioso e così facendo proteggevano anche i diritti dei lavoratori.

Il socialismo e l’anarchismo invece predicavano l’ateismo e volevano lottare solo per il diritto di fare riposare le membra, ma in questo modo non si consegue pienamente questo risultato o, una volta conseguito, lo si perde. Ai giorni nostri, dopo secoli di lotte sindacali, i lavoratori sono obbligati a lavorare anche la domenica.

La laicità nella costituzione Gaudium et spes del Vaticano II

Non c’è dubbio che nella Gaudium et spes l’attenzione al mondo dell’uomo in tutti i suoi aspetti laici e profani sia molto più ampia, in armonia con l’intento del Vaticano II di parlare all’uomo contemporaneo. Non c’è da stupirsi, quindi, se la presentazione delle conquiste che il mondo ha fatto indipendentemente dalla Chiesa sono soggetto di ammirazione, secondo qualcuno anche eccessivamente ottimistica.

Se si leggono i paragrafi 40-44 della Gaudium et spes si nota una prospettiva di esaltazione del mondo, ma se si collegano queste affermazioni con altre, si ottiene un quadro teologico più completo in cui l’autonomia del mondo è comunque inserita nella dipendenza dal Signore della storia.

Per esempio, la Costituzione pastorale dice che: dallo Spirito «tutto l’uomo viene interiormente rinnovato» (n. 22), che «il mistero dell’uomo si illumina veramente soltanto nel mistero del Verbo incarnato» (Idem), che «il peccato sminuisce l’uomo, distogliendolo dal raggiungere la sua pienezza» (n. 13), che «Dio solo, che ha creato l’uomo a sua immagine e lo ha redento dal peccato, può offrire a tali problemi una risposta soddisfacente, e ciò per mezzo della rivelazione del Figlio suo, che si è fatto uomo» (n. 23).

Del resto, posto il paragrafo della Gaudium et spes che parla del peccato originale – il n. 13 – non si può sostenere che l’autonomia del mondo sia tale da poter fare a meno della Chiesa. Se esaminiamo il paragrafo 36, ossia il più famoso dell’intera Costituzione a sostegno della legittima autonomia delle realtà terrene, troviamo che conclude con la frase seguente frase: «senza il Creatore la creatura viene meno … la creatura viene ottenebrata se dimentica Dio» (n. 36).

Nella Gaudium et spes ci si focalizza sull’uomo e si fanno affermazioni di chiara accettazione della laicità, come per esempio nella frase «L’attività umana, come deriva dall’uomo, così è finalizzata all’uomo» [9]. Presa in sé questa frase pone qualche problema. L’accettazione della laicità qui sembra eccessiva, fino a porre al centro l’uomo anziché Dio. L’attività umana è finalizzata a Dio e la dignità della persona deriva proprio da questo.

Le perplessità vengono però superate se si osservano altre affermazioni della Gaudium et spes  come: «La ragione principale della dignità umana consiste nella chiamata dell’uomo alla comunione con Dio» (n. 19), la dignità umana «proprio in Dio si fonda e si completa» (n. 20), «Se mancano il fondamento divino e la speranza della vita eterna, la dignità dell’uomo viene gravissimamente lesa» (Idem), e così via.

A leggere da sola la prima frase vista sopra, se ne potrebbe dedurre una concessione alla visione moderna della laicità come autosufficienza e inutilità della religione. Lo stesso potrebbe accadere leggendo il famoso passaggio della Gaudium et spes: «principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana» (n. 25).

Davanti ad affermazioni come queste, prese in se stesse, si potrebbe pensare che l’uomo fosse sufficiente per finalizzare adeguatamente la società. Se invece si allarga lo sguardo e si prendono altri passi si costruisce un quadro completo incentrato sul primato assoluto di Dio.

Il caso forse più interessante è la notissima frase della Gaudium et spes: «L’uomo è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa» (n. 24). Può venire interpretata come se il fine del creato fosse l’uomo e non la gloria di Dio. A mio parere il senso della frase è che, nel creato, l’uomo ha una sua eminente dignità nel senso che una sola anima vale di più dell’universo materiale intero. Tutto il creato è finalizzato all’uomo, ma non come fine ultimo, bensì come l’unica creatura destinata alla vita soprannaturale di comunione con Dio e a cui Dio si è rivolto con la sua alleanza per liberarlo dal peccato.

Come risulta da queste osservazioni, con il Vaticano II non è cambiata l’idea che una laicità intesa come assoluta autonomia del temporale dallo spirituale sia sbagliata in quanto, così facendo, non si riesce nemmeno a conseguire gli obiettivi laici relativi al bene comune. La  Dottrina sociale della Chiesa rimane la risposta della Chiesa ad un mondo che vorrebbe auto organizzarsi senza Dio.

Come è possibile, però, garantire da un lato il primato di Dio anche per la costruzione dell’ordine politico e, dall’altro, non schiacciare la politica sotto il peso della confessione religiosa? Per rispondere a questa domanda prenderò spunto da due concetti di Benedetto XVI che ritengo decisivi: il concetto di “anamnesi” e quello di “purificazione”.

Un doppio spunto da Joseph Ratzinger-Benedetto XVI

In molte occasioni Joseph Ratzinger, poi Benedetto XVI, ha illustrato il processo dell’anamnesi. Questa parola significa rientrare in sé, recuperare la propria identità, ricordarsi di quello che si è in profondità, riscoprire energie sopite, valorizzare potenzialità trascurate. Il processo di anamnesi è un ritorno alla propria autenticità quando questa sia andata perduta. I profeti inducevano Israele ad una propria anamnesi, a ricordarsi della propria origine, a recuperare il senso delle promesse divine, a rientrare in sé riscoprendo anche il proprio fine, lo scopo del peregrinare.

A livello personale anamnesi significa il recupero di quanto è in noi ma che era stato dimenticato. L’anamnesi riporta alla luce quanto ci precede. Estesa all’intera realtà, l’anamnesi vuol dire che ogni livello della realtà non è in grado di dare a se stesso un senso pieno. Nessuno si dà ciò che non ha. Nessun piano della realtà brilla di luce propria o, per dirla in linguaggio religioso, si salva da solo. Ogni piano ha bisogno di venire illuminato da altro di superiore. Questa illuminazione sviluppa appunto l’anamnesi, ossia induce quel piano a rientrare in se stesso e riscoprire elementi della sua realtà che erano stati trascurati.

Non è possibile indurre in proprio il processo di anamnesi. Ogni livello di realtà è finito in se stesso e non sarà per virtù propria che troverà lo spunto per comprendere fino in fondo le proprie profondità. Ciò nasce solo a partire da una luce superiore. La luce proveniente dal livello superiore non si appoggia semplicemente ad illuminare il livello inferiore, ma lo provoca ad un risveglio: «L’anamnesi infusa nel nostro essere ha bisogno, per così dire, di un aiuto dall’esterno per diventare coscienza di sé» [10].

Il concetto di anamnesi è da collegarsi con quello di purificazione, frequentemente adoperato da Benedetto XVI. Un piano della realtà illumina l’altro in modo da indurlo ad essere maggiormente se stesso. La purificazione, che così avviene, non è negazione del suo valore proprio, ma diventa un percorso di riscoperta di sé nella pienezza della propria verità, che finora non era emersa completamente e che, grazie all’anamnesi, viene purificata.

Se la ragione politica rifiuta l’ “aiuto che viene dall’esterno” e si chiude in sé, si preclude la possibilità di conoscere meglio e a fondo le proprie potenzialità, perché l’anamnesi viene bloccata. Senza anamnesi anche la purificazione non è possibile, perché questa avviene sì “dall’esterno” ma nella misura in cui questo induce un processo interno di riscoperta e approfondimento, di chiarificazione di sé.

La verità di ogni livello dell’essere c’è a quel proprio livello, ma non viene adeguatamente vista, rafforzata e approfondita senza la luce proveniente da un altro livello capace di illuminare. Senza questo aiuto anche la verità a quel livello viene perduta, in quanto non ha la capacità di mantenersi da sola. Lo potrebbe fare se fosse in grado di autofondarsi, ma nessun livello della realtà è in grado di farlo. Senza l’“aiuto che viene dall’esterno” non solo si perde questo aiuto, ma si perde progressivamente anche quanto ha la pretesa di farne senza o di fare da solo.

Anamnesi e purificazione collegano unitariamente natura e sopranatura mostrando che la vocazione dell’uomo è una sola e non due. Infatti “ciò che viene dall’esterno” non si aggiunge estrinsecamente, ma risveglia energie interne e fa ri-conoscere verità che così vengono dilatate. Il processo di “ampliamento” della ragione è l’effetto di questo processo di anamnesi e di purificazione. Si tratta di una crescita dall’interno che però non poteva né nascere da se stessa né mantenersi senza una luce derivante dall’esterno.

Se con il termine ragione intendiamo la dimensione naturale dell’uomo, il mondo profano, l’organizzazione della vita nella storia, la teoria dell’anamnesi comporta che la rivelazione cristiana e quindi la fede cristiana non vi si aggiungano dall’esterno ma si rivolgano loro invitando queste realtà a scendere in profondità nella loro verità e a trovare il coraggio di essere se stesse fino in fondo.

Abbiamo qui allora anche una via per interpretare il posto di Dio nel mondo e la funzione pubblica della fede cristiana in rapporto al potere, alla politica e alla legge. Il suo compito è di anamnesi e di purificazione ed è un compito che essa persegue ponendo la propria verità e così invitando la verità del mondo a chiarirsi e a meglio esprimersi.

Inteso in questo modo, il rapporto della verità della fede cristiana e della verità laica delle realtà temporali non è di contrasto, né di identità: come l’acqua sulla pietra ne valorizza i colori che essa già aveva in sé e li purifica, così la religione cristiana purifica l’umano invitandolo ad essere fino in fondo se stesso.

La corretta laicità è quella che accetta apertamente che la religione cristiana fornisca non le norme che regolano l’agire politico, ancor meno le soluzioni politiche concrete, ma l’aiuto «nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi» [11]. E’ la ragione politica a farlo, ma da sola non ci riesce fino in fondo e a completa garanzia della dignità della persona umana.

S.E. Mons Giampaolo Crepaldi

[1] Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate, n. 12.

[2] L’0rdine suggerito dal grande Pontefice alla fine della sua vita era il seguente: Aeterni Patris (1879), Libertas Prestantissimum (1888), Arcanum Divinae Sapientiae sul matrimonio cristiano (1880), Humanum Genus sulla massoneria (1884), Diuturnum, sul governo civile (1881), Immortale Dei, sulla costituzione cristiana degli Sta (1885), Quod Apostolici Muneris, sul socialismo (1878), Rerum novarum (1891), Sapientiae Christianae sul cristiano nella città (1890). A. Del Noce, Fede e filosofia secondo Étienne Gilson, in Pensiero della Chiesa e filosofia contemporanea. Leone XIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, a cura di L. Santorsola, Edizioni Studium, Roma 2005, pp. 75-83. Lo studio era stato originariamente pubblicato nel 1982.
[3] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Centesimus annus (1991), n.
[4] Cf K. Löwith, Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia, Il Saggiatore, Milano 2010 (prima edizione Chicago 1977).
[5] Ivi, p. 133.
[6] Leone XIII, Lett. Enciclica Rerum novarum, n. 2.
[7] Ivi, n. 45.
[8] Ivi, n. 32.
[9] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 35.
[10] J. Ratzinger-Benedetto XV, L’elogio della coscienza. La verità interroga il cuore, Cantagalli, Siena 2009, p. 26.
[11] Benedetto XVI, Discorso alla Veglia per la beatificazione del cardinale Newman, 17 settembre 2010.