Quei "bravi ragazzi di via Conte Rosso"

volante rossaRadici Cristiane n.86 luglio 2013

Per quattro anni la “Volante Rossa” ha imperversato per Milano, seminando terrore, morte e devastazione. A farne parte furono per la maggior parte ex-partigiani comunisti. Che agirono per lo più indisturbati, complice la politica del “doppio binario”, imboccata dal PCI. Fino ad ispirare il famigerato Sessantotto…

di Paolo Deotto

La sera di giovedì 27 gennaio 1949 un gruppo di tutori dell’ordine guidati dal Questore di Milano, Vincenzo Agnesina, mise la parola fine alle attività criminali della Volante Rossa, una banda armata con ordinamento paramilitare, composta da ex partigiani garibaldini e da giovani fanatici comunisti, attiva a Milano dall’estate del 1945.

Gli agenti fecero irruzione nella Casa del Popolo di via Conte Rosso 12, nel quartiere di Lambiate, a Milano, sede della Volante Rossa Martiri Partigiani, sequestrando armi, munizioni e documenti ed effettuando diversi fermi.

La palazzina, già Casa del Fascio negli anni del regime, era stata occupata dal PCI, Partito Comunista Italiano, e utilizzata come sede di Lambrate del Partito (o Casa del Popolo), nonché come sede di quella formazione armata che, secondo la versione ufficiale comunista, altro non era che un gruppo giovanile, i “bravi ragazzi” di via Conte Rosso, che con un camion Dodge, residuato bellico comprato per poche lire, organizzavano un servizio di trasporti nella città – dove, in seguito ai disastri bellici, mancava tutto – e ogni tanto si concedevano una gita domenicale.

Naturalmente i “bravi ragazzi” esercitavano anche la vigilanza, “in perfetta legalità”, delle sedi comuniste e delle manifestazioni, da proteggere contro i fascisti, che ancora avrebbero “infestato” la vita civile dopo le giornate radiose del post-25 aprile.

IL PATIBOLO VOLANTE

La voce popolare però aveva dato alla Volante Rossa un’altra definizione, ben più sinistra: “Il patibolo volante”. C’è da pensare che la voce popolare non avesse tutti i torti, viste le imputazioni con cui si aprì l’istruttoria sulle gesta dei membri del gruppo, accusati di «avere costituito un’associazione denominata Volante Rossa, con struttura organica e ordinamento militare, alfine di commettere delitti contro la persona, la libertà individuale, l’industria, il lavoro, l’ordine pubblico e l’incolumità, facendo largo uso di armi e munizioni e scorrendo di giorno e di notte le pubbliche vie»; «di avere portato fuori dalle rispettive abitazioni armi da guerra»; segue un lungo e dettagliato elenco di accuse per omicidio, tentato omicidio, lesioni, sequestro di persona, devastazione, minacce, occupazioni abusive, porto di armi da guerra e di esplosivi ed altri reati minori connessi.

Cos’era quindi la Volante Rossa? Era una formazione armata, che arrivò a comprendere fino a sessanta elementi, formata nella gran maggioranza da giovanissimi ex-partigiani comunisti. Giulio Paggio, classe 1925, nome di battaglia “Tenente Alvaro”, era il comandante. Ex partigiano, Paggio, che aveva inciso sul calcio del suo mitra la frase “non si concedono bis”, era tra i molti comunisti convinti che fosse terminata solo la prima parte di una guerra civile che doveva completarsi con l’eliminazione dei “borghesi” e la vittoria del “proletariato”.

In una Milano dove mancava tutto, dalle abitazioni al pane, ma abbondavano le armi, il fenomeno del reducismo, quella tipica devianza di chi non riesce più a rientrare nella normalità al termine di un conflitto, si sarebbe manifestato sia attraverso il banditismo, sia con la criminalità politica. Sorge però spontanea una domanda: come mai la Volante Rossa potè agire per quasi quattro anni, in alcuni casi praticamente alla luce del sole?

LA POLITICA DEL “DOPPIO BINARIO” 

Le forze di polizia erano uscite sconquassate dal conflitto, non solo per le perdite in uomini a causa degli avvenimenti bellici, ma anche e soprattutto per un profondo inquinamento politico. Molti ex-partigiani, ai quali si doveva dare, dopo la smobilitazione, un’occupazione, erano stati sbrigativamente arruolati in qualità di poliziotti “ausiliari” e, se questa misura poteva risultare in un primo tempo utile per combattere una criminalità comune senza freno, si sarebbe poi rivelata deleteria, perché l’inquadramento nelle forze dell’ordine di elementi fortemente politicizzati avrebbe portato, inevitabilmente, ad applicazioni parziali e faziose della legge.

Ciò era tanto più vero nel caso di partigiani comunisti, per i quali gli ordini del Partito venivano prima e sopra qualsiasi altra norma. I governi del dopoguerra, dal terzo governo Bonomi fino al terzo governo presieduto da Alcide De Gasperi, comprendevano anche i comunisti. Solo col quarto governo De Gasperi (172/47-24/5/48) questo partito sarebbe rimasto fuori dalle stanze del potere. Si è molto discusso sulla sincerità o meno della “conversione” democratica del leader del PCI, Palmiro Togliatti.

È però un dato di fatto che i comunisti, dopo aver condotto la loro guerra “parallela” nel periodo resistenziale (la strage di Porzus, quando partigiani comunisti sterminarono i partigiani cattolici e liberali della formazione “Osoppo”, non ne è che un esempio), avrebbero continuato poi la politica del doppio binario, non scartando mai fino in fondo l’ipotesi rivoluzionaria e conservando a tal scopo ingenti quantitativi di armi, nonostante gli ordini di riconsegna emanati dalle autorità alleate di occupazione al termine del conflitto.

E’ notorio (e anche questo non è che un esempio) che Togliatti, ministro della Giustizia dal 21/6/1945 al 2/2/1947, diede personalmente gli ordini al partito comunista per far espatriare nell’ospitale Yugoslavia i responsabili della strage di Schio, coloro cioè che nella notte tra il 6 e il 7 luglio 1945 uccisero, nel carcere della cittadina veneta, 54 detenuti – tra cui 14 donne -, sospettati di collusione col regime fascista e di collaborazionismo. In questa atmosfera di ambiguità e intimidazione, non c’è da stupirsi se una formazione armata come la Volante Rossa potè agire a lungo indisturbata. I fatti erano noti, i nomi dei responsabili pure. Ma le forze di polizia potevano di fatto agire, e anche con mano pesante, solo con la criminalità comune

GLI ANNI DEL SANGUE E DEL TERRORE 

La politica comunista del doppio binario aveva anche un altro scopo, ossia quello di intimidire gli stessi alleati di governo, che ben sapevano che il partito comunista manteneva, al di là della facciata democratica, un apparato militare efficiente e formato da fanatici. Come dicevamo, solo con il quarto governo De Gasperi (1 /2/47-24/5/48) cessò la collaborazione coi comunisti; a reggere il Ministero degli Interni arrivò un avvocato siciliano, Mario Scelba, che mantenne questa carica dal 2 febbraio 47 al 16 luglio 1953.

Scelba avviò un profondo lavoro di pulizia nelle forze dell’ordine, congedando gli elementi più marcatamente politicizzati e costituendo, a tutela dell’ordine pubblico, i “Reparti Celeri” della Pubblica Sicurezza. Naturalmente il processo non fu né breve né indolore (in alcune Questure, come quella di Modena, quasi tutto il personale subalterno risultava iscritto al PCI).

In questo quadro ambiguo e confuso non c’è quindi molto da stupirsi per l’attività pluriennale della Volante Rossa. Molte furono le vittime che caddero sotto il fuoco dei paramilitari del PCI: Eva Macciacchini e Romilde Tanzi, simpatizzanti di destra (17 e 18/1/47), Franco De Agazio, direttore del settimanale “Meridiano d’Italia” (14/3/47), Ferruccio Gatti, ex generale della GNR e responsabile milanese del MSI (4/11/47), Michele Petruccelli, attivista del partito “Uomo Qualunque” (5/11/47), Felice Ghisalberti, ex militare della RSI, e Leonardo Massaza, dirigente industriale giudicato compromesso col fascismo (27 gennaio 1949).

Tentati omicidi nelle persone di Fulvio Mazzetti, simpatizzante di destra (6/7/47), di Riccardo Gatti e Margherita Bellingeri, figlio e moglie di Ferruccio Gatti (4/11 /47), di Antonio Marchelli, segretario del MSI di Lambrate (4/11 /47).

Inoltre, attentati dinamitardi in occasione di conferenze del professor Achille Cruciarli (luglio 1947), assalto con lancio di sassi e colpi di pistola contro il bar di via Pacini 32 a Milano, ritenuto covo di neofascisti (16/6/47). Poi, devastazioni di sedi politiche del MSI e del PLI, devastazione dei locali del settimanale Meridiano d’Italia, scontri con la Polizia in occasione di occupazioni abusive di fabbriche, effettuate anche con uso palese di armi, sequestri di persona, disordini durante comizi di esponenti di destra, partecipazione attiva e in armi all’occupazione della Prefettura di Milano (27/11/47), guidata dall’esponente comunista Giancarlo Pajetta.

I pretoriani della Volante Rossa non si preoccupavano certo di nascondersi: con la loro divisa, costituita da un giubbotto americano di tipo aeronautico, inquadrati, erano una presenza abituale e intimidatoria nelle manifestazioni comuniste e sindacali. Al congresso del PCI, svoltosi a Milano nel 1948, il servizio d’ordine fu affidato alla Volante Rossa.

LA FIACCA PRESA DI DISTANZA DEL PCI 

Dopo i risultati elettorali del 18 aprile 1948, quando la Democrazia Cristiana conquistò un’ampia maggioranza, il Partito Comunista iniziò a cercare di sganciarsi dalla Volante Rossa. Si trattò comunque di uno sganciamento, come sempre, sui generis. I caporioni dei “bravi ragazzi di via Conte Rosso” non potevano essere abbandonati, sia per fratellanza politica, sia soprattutto perché chi sa troppe cose può anche parlare e rovinare la reputazione del Partito, ufficialmente immacolato e democratico.

La “bassa forza” viene invece abbandonata al suo destino. E infatti al processo, che si svolse a Verona (dove era stato trasferito per ragioni di ordine pubblico) nel 1951, furono presenti solo 27 imputati detenuti, e tutti facevano parte della semplice truppa; se la cavarono con pene miti, soprattutto per l’impossibilità di stabilire le responsabilità personali di ognuno nei numerosi episodi criminosi.

L’Unità, organo ufficiale del Partito Comunista, dedicò alla sentenza un articolo il 22 febbraio 1951 e un editoriale di Davide Lajolo due giorni dopo. Era una difesa fiacca, di prammatica; più che altro i due articoli riprendevano i soliti sproloqui sulla giustizia borghese, sulla dittatura democristiana che voleva diffamare la Resistenza e così via.

La causa era indifendibile e del resto il PCI aveva già fatto ciò che più gli premeva: i capi, Giulio Paggio, Paolo Finardi e Natale Buratto, erano stati fatti espatriare in Cecoslovacchia. Furono tutti e tre condannati all’ergastolo, insieme a Eligio Trincheri, che peraltro rimase in carcere solo fino al 1971, quando fu graziato dal Presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat. Natale Buratto ebbe la pena ridotta a trent’anni in Cassazione e, insieme a Paggio e a Finardi, beneficiò anch’egli della grazia, concessa dal Presidente Sandro Pertini nel 1978.

E con questo atto calò definitivamente il sipario sulla fosca vicenda dei “bravi ragazzi di via Conte Rosso”. Il partito comunista avrebbe peraltro mantenuto sempre la sua politica doppia. I disordini di Genova nel 1960 e il cupo periodo sessantottino, con i disordini “delegati” a un Movimento Studentesco creato e foraggiato dal PCI, furono la continuazione di quella politica. Così come mai si dissiparono le pesanti ombre sugli intrecci tra il PCI e le Brigate Rosse