Bologna

referendum scuolaItalians Rivista che ignora il politicamente corretto  n. 136 del 30 Novembre 2012

di Luigi Fressoia

Il referendum di Bologna sulla scuola pubblica o privata ci dice alcune cose importanti. Ha votato il 28% degli aventi diritto, e tra questi il 58% ha votato secondo le indicazioni di cgil, comunisti vari, verdi, grillini e altri di quella galassia. C’è da credere che il forte valore simbolico sia stato colto appieno da tutti coloro che si riconoscono in quella mentalità, insomma crediamo che la gente di estrema sinistra sia tutta andata a votare. Ciò significa che nella città che verosimilmente è tuttora la vetrina del comunismo italiano, lo zoccolo duro di tale ideologia vale il 16%. E se vale così poco a Bologna figuriamoci nel resto d’Italia.

Dati analoghi denunciamo da anni, ad esempio gli aderenti agli scioperi della trimurti sindacale tra i dipendenti di un altro comune capoluogo del centro Italia, rosso da sempre, risultano ripetutamente meno del 20%. E per comunismo intendiamo esattamente quel che è: statalismo estremo, astio/diffidenza verso l’impresa, totalitarismo cioè voce unica nell’istruzione e educazione, antiamericanismo, laicismo e anticlericalismo, ambientalismo pretestuoso, disprezzo razziale per chi la pensa diversamente, ossessione della politica.

Il referendum toccava dunque uno dei bastioni dell’ethos comunista, sentire insopportabile che nell’educazione, istruzione e formazione dei bambini e dei giovani si perda la migliore occasione per plasmare la persona al cittadino ideale.

Questi dati ci portano a chiedere: ma nelle tv, nei giornali, nei dibattiti, negli approfondimenti, nelle scuole e università, nelle maggiori case editrici, quella mentalità, quei valori richiamati, godono del 16% degli spazi oppure più? A noi pare che ne possiedono molti di più, più del 70%, cosa che crea un gratuito e ingiustificato squilibrio, che a quella mentalità regala forte lievitazione di consensi elettorali, altrimenti inesistente, fino a sfiorare o talora superare il 50%.

E’ significativo che l’indebita lievitazione matura nelle importantissime elezioni di tipo generale (politiche, amministrative), però tracolla facilmente in occasione di voto specifico su singoli temi pur bastioni dell’ethos comunista, come si è visto nei decenni in diversi referendum, da quello sulla scala mobile nell’85, a quello del 1998 che pretendeva di abolire le tv private, al referendum del 2008 sulla manipolabilità degli embrioni.

Tracollerebbe ancor più su qualsiasi argomento forte quale immigrazione, meritocrazia, parassitismo, burocrazia, statalismo, Europa, responsabilità civile dei magistrati, finanziamento pubblico dei partiti… su cui il popolo – non di meno quello di sinistra o comunista – pensa “a destra”. E’ un tracollo facile perché la suggestione di massa continua a funzionare finché i discorsi restano sulle generali e su alcuni temi particolarmente monopolizzati (acqua, nucleare), ma su moltissimi singoli temi le ragioni della realtà non possono essere trattenute oltre un certo limite.

Da queste deduzioni si vede chi in Italia è il vero partito televisivo o di plastica, la sinistra, che senza l’opera grandiosa e quotidiana di manutenzione del dominio sul senso comune (mass media, istruzione, istituzioni), si ridurrebbe a un massimo di 16 e a una media molto più bassa. Un discorso che merita i suoi molti approfondimenti, ma ora torniamo alla politica.

La distanza tra 70 e 16 dà la misura del successo della lunga stagione togliattiana di infiltrazione dentro le istituzione repubblicane, e la riduzione a 16 di quel 70 non può che divenire il pilastro della politica (liberale), senza di che nessuna stagione di vere riforme sarà possibile. E’ soprattutto evidente che l’egemonia culturale radical-marxista è un grande guscio vuoto e ingombrante, basterebbe poco per frantumarlo poichè debolissimo nei suoi contenuti, non si capirà mai perché vent’anni di berlusconismo non si sono mai posti questo obbiettivo primario.

Su Repubblica del 19 maggio abbiamo una sintesi perfetta della persistente pretesa dei tardo-marxisti. Una mamma scrive che solo nella chiesa paritaria cattolica ha trovato i valori che lei desidera per i suoi figli. Augias le oppone l’art. 33 della costituzione (“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”), per concludere che tale principio costituzionale è contraddetto dalla pretesa che lo stato finanzi l’apprendimento cattolico (o musulmano o ebreo…) poiché, spiega, nell’insegnamento cattolico il dogma cozza con la natura propria della scienza che è logica e razionale, ovvero quell’insegnamento non è libero, e quindi è solo lo Stato (maiuscolo) che deve assicurare un insegnamento pluralistico a tutti.

Ad Augias sfugge che le scuole cattoliche o protestanti o mussulmane, la scuola operaia o la scuola britannica, devono tutte avere –come hanno in tutto il mondo libero- un comune denominatore di istruzione e formazione riconosciuto dalla collettività (dal ministero), ma poi proprio le loro libere e variegate ispirazioni integrano appieno il concetto di pluralismo, cioè della libertà di scelta nell’educazione dei figli, che infatti -mi dispiace per Augias sta in capo alle famiglie ovvero alle persone che la compongono, e non certo allo stato, che non a caso scriviamo minuscolo.

Sfugge soprattutto che, statali o no, sono tutte scuole pubbliche esattamente come il bar, che è di proprietà privata, ma ben si chiama pubblico esercizio poiché a nessuno può esserne impedito l’accesso. Semplicemente ognuno va dove più gli aggrada, com’è giusto che sia, e i soldi che lo stato mette per una scuola equivalgono a quelli che mette per qualsiasi altra: l’importante irrinunciabile è che tutti frequentino una scuola riconosciuta. Poi che la costituzione abbia detto che la scuola non statale (detta impropriamente privata) non deve pesare d’un grammo sulla spesa dello stato, è quisquilia di cui possiamo ben fregarcene: la costituzione non è certo le tavole di Mosè e quindi vale finché non si dimostri insufficiente o superata o errata.

Ma c’è un succo della questione. E’ che noi non riconosciamo i grandi fini dello stato o presunte volontà generali, non conosciamo cittadini ideali, sappiamo solo che natura di un vero bene comune è armonizzare quanto più possibile infinite e irriducibili differenze di persone, gruppi, zone, culture, sensibilità, tradizioni.

Bensì conosciamo bene i nostri polli.

Per Augias e compagnia il cittadino e la scuola ideali hanno da essere impastati del mito della Resistenza che liberò l’Italia (invece ebbe valore – dove lo ebbe- solo morale, ma militarmente fu irrilevante o d’intralcio, e per di più pretendeva, in una sua larga componente, di imporre una dittatura assai peggiore della precedente). Impastati del mito della Costituzione (che è invece farcita di debolezze concettuali fin dal primo articolo).

Di un confuso antifascismo che naturalmente è falso qualora non fosse parimenti anticomunista; di una malintesa solidarietà, che necessariamente scarseggia nei paesi con sistemi economici poco capaci di ricchezza. Impastati di un latente anticapitalismo, che invece è consustanziale alla democrazia e alla libertà: senza proprietà e libera impresa non possono esistere né libertà né vera democrazia. Impastati del mito dello Stato, quando da molto tempo è evidente che esso è il vero unico problema dei popoli e non già la soluzione.

Impastati di una laicità intesa come naturale e inevitabile contrapposizione tra religione e razionalità, che però è una patente forzatura, perché la religione inizia dove la ragione si ferma: la religione durerebbe meno di una settimana se pretendesse di contraddire acquisizioni empiriche e scientifiche, né si spiegherebbe perchè scienza e università incubarono e videro la luce nel medioevo nei chiostri dei conventi e presso le scuole vescovili, né si capirebbe perché è pieno di scienziati credenti in Dio.

Impastati di una presunta laicità –molto ideologica e irrazionale- che pretende di negare la naturalità dell’istituzione familiare o addirittura pretende di “insegnare” che omo o etero sarebbero la stessa cosa, quando è innegabile che funzione naturale dei sessi è la prosecuzione della vita. Impastati di un pretestuoso ambientalismo su cui sfrucugliare disperatamente alla ricerca di argomenti adatti (venuti meno quelli classici), per condannare l’occidente e il capitalismo…

Cosa dunque di più insopportabile che uno o più bambini possano sottrarsi a un tal plagio?

Questo è il vero nodo. Tutti gli altri argomenti (gli oneri per lo stato, il pubblico-privato), sono secondari e pretestuosi, tesi a nascondere il dolore di non poter inculcare urbi et orbi la visione di chi comanda lo stato e se ne impossessa; il dolore insopportabile di veder vanificato il lungo e silente sforzo togliattiano all’infiltrazione nella scuola e nell’università di schiere di adepti nel frattempo fattisi “maestre” e “professori”.

Non a caso l’università italiana, nonostante diversa brava gente, da quattro decenni scivola nelle classifiche mondiali su posizioni ridicole. In effetti oggi scuola, università e informazione scontano molto la pecca di risultare essenzialmente orientate a un secondo fine, a uno scopo sottotraccia ma ferreo, ben più che al proprio fine statutario e naturale, pacifico e pacato.

Un giorno finalmente dovranno capire, Augias e compagnia bella – dovranno farsene una ragione – che sussisteranno sempre in Italia minoranze o maggioranze disposte fino alla guerra civile pur di non soccombere a un tale disegno. Detto in altre parole: meglio una vita con l’emicrania, caro Augias, che un sol giorno con la tua testa.

P.S. Augias si preoccupi piuttosto che l’egemonia dei suoi compagni sull’università è la continuazione storica di quella esiziale separazione tra borghesia e cultura che l’Italia patì e patisce dalla crisi del Rinascimento.

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