Mussolini alla guerra per unire l’Europa

mussoliniAvvenire giovedì 23 ottobre 2012

Una rilettura attenta e in parte medita di fonti diplomatiche britanniche fra il 1938 e il ’40 fa emergere i ripetuti tentativi del Duce di costruire una coalizione anti Hitler

di Paolo Simoncelli

Una trascurata memorialistica, socialmente e politicamente variegata, ha dato un’immagine dell’intervento in guerra dell’Italia come non atteso, addirittura con qualche incertezza sullo schieramento. A questa sparsa memorialistica rende ora un robusto supporto politico-diplomatico l’importante ricerca di Emilio Gin: L’ora segnata dal destino.

Gli Alleati e Mussolini da Monaco all’intervento (Edizioni Nuova Cultura, pp. 424, euro 27). Una ricerca che si avvale di una vasta documentazione internazionale per il 1938-40 (straordinaria quella inedita del Gabinetto di guerra britannico) che analizza dunque dall’estero, fin dall’Australia, la politica internazionale dell’Italia, anziché attraverso le solite fonti politico-diplomatiche interne. Il risultato conseguito sovverte una tradizione storiografica e politica pur nobile (Salvatorelli, Toscano…) e sfata il mito della pugnalata alla schiena della Francia, della famelicità di Mussolini o della meccanica ineluttabilità ideologica dell’Asse.

Da un insieme di fonti di. prim’ordine viene delineata con sicurezza la costanza d’una posizione italiana che, da Monaco all’intervento in guerra compreso, non deflette mai dall’obiettivo diplomatico della ricomposizione negoziale d’un quadro europeo di nuovo equilibrio e nuova pace, con cui far fronte allo strapotere hitleriano.

Questa linea italiana appare compresa bene da Cnamberlain che, forte della propria esperienza da Stresa a Monaco, è tra i pochi a cogliere la non sovrapponibilità di Roma e Berlino. E accanto a Chamberlain compaiono elementi noti e meno noti dell’apparato di governo britannico che tuttavia soffrono progressivamente dell’aggressività e dell’italofobia ad esempio di Eden.

Analogamente nell’apparato politico-diplomatico francese, man mano che scorrono i mesi che portano all’aggressione tedesca alla Polonia e alla non belligeranza italiana, l’antica polemica anti mussoliniana lascia il posto a riflessioni diverse, più attente alle divaricazioni che non alle consonanze italo-tedesche.

Altro merito di Gin è la ricerca di documenti militari italiani e la rilettura di quelli diplomatici già noti, ma sempre interpretati con la solita ottica dello sfruttamento sciacallesco delle circostanze. Intanto i piani militari segreti del ’40 mantengono un’operatività esclusivamente difensiva nei confronti di una possibile invasione da parte francese, senza però che vengano revocati quelli precedenti relativi alla difesa da un’invasione tedesca.

Gin è tra i pochi a dar rilievo alla costante attenzione economica e militare riservata dall’Italia alla difesa del confine del Brennero: sorprendente la ripartizione delle spese per la difesa dei confini dell’intero arco alpino: 300 milioni per quello jugoslavo, 600 per quello francese, oltre un miliardo per quello tedesco (che, ricordiamo continuerà a essere attivato, malgrado le proteste tedesche, ancora per tutto il 1941!).

Gli alleati occidentali non “leggeranno” bene questa posizione italiana; ape precedenti opzioni politico-militari, maturate sull’onda della guerra d’Africa e dell’intervento in Spagna, che vedono continuamente aggiornati piani di operazioni navali e terrestri anti-italiane, si aggiungono circostanze diplomaticamente discutibili, come il blocco economico-comrnerciale, la convinzione del “ricatto” italiano, fino addirittura a ritenere che le distanze tra Roma e Berlino, pur apparse chiare subito dopo il Patto d acciaio e l’immediato, clamoroso disimpegno militare italiano, fossero una trappola, una mossa di tradizione machiavellica per indurre in inganno gli occidentali.

Tutto mentre circostanze dimenticate e rese polemiche mettevano in dubbio l’asserita superiorità morale degli alleati occidentali: guerra alla Germania per l’invasione della Polonia, ma perché non all’Urss che oltre alla Polonia aggrediva anche la Finlandia? E la violazione inglese della neutralità della Norvegia non diversamente da quanto fatto dai tedeschi?

E perché sabotare la linea italiana diretta a creare una “poliassialità”, cioè ad aggiungere un Roma-Londra, e poi un Roma-Parigi, al Roma-Berlino? Rancori antichi e incomprensioni recenti determinavano una babele linguistico-diplomatica, che avrebbe progressivamente portato all’intervento italiano. Ma, attenzione: le modalità di quell’intervento in guerra non si discostano dalla linea costante delle finalità dichiarate agli alleati occidentali.

E qui la documentazione internazionale offerta da Gin acquisisce spessore progressivamente confortante: il “blocco latino” da costituire con la Spagna e la Francia dopo una sua contenuta sconfitta militare (!) da contrapporre alla Germania; gli affannati contatti franco-inglesi durante la travolgente avanzata tedesca in Francia per chiedere a Mussolini un’interposizione politica per contenere Hitler (con Mussolini dichiaratamente disponibile non ad accordi bilaterali, ma ad un accordo globale, ormai considerato come la grande missione” dell’Italia fascista), il Foreign Office pienamente consapevole che mai il duce avrebbe potuto vedere un’Europa dominata da Hitler ecc.

Insomma una dichiarazione italiana di guerra, tanto necessaria quanto puramente formale (se non pure concordata, come si vorrebbe sulla base di ipotetici documenti scomparsi dall’Archivio Savoia), avrebbe comportato una serie di vantaggi: il rispetto degli impegni con l’alleato tedesco soprattutto per scongiurarne, in caso contrario, una prevedibile reazione militare; la salvaguardia di una residua forza contrattuale politico-militare degli anglo-francesi essenziale per far sedere al tavolo della pace, da convocare pressoché contestualmente all’intervento in guerra italiano, non da totalmente sconfitti ma ancora da belligeranti e dunque (come detto dall’ambasciatore italiano a Parigi, Guariglia) giungere agli stessi risultati di componimento negoziale sempre perseguiti, solamente ora attraverso la guerra.

Guerra dunque finta, non solo come dimostrato dagli altrimenti incredibili avvisi ai “nemici” con settimane di preavviso, dalla  rinuncia militarmente determinante del first strike offensivo, dalla piena consapevolezza di Mussolini dell’inefficienza delle forze armate e relativo apparato industriale, ma dalla dichiarazione (fosse pure strumentale, ma dimenticata) del plenipotenziario francese Huntziger durante le riunioni di resa con i tedeschi: l’Italia ci ha dichiarato guerra, ma non ce l’ha fatta; dichiararla e farla non è la stessa cosa! Un contesto ricostruito con ricchezza documentata di dettagli, su cui s’allunga l’ombra costante del contenuto del carteggio segreto Churchill-Mussolini.