La Cassazione stabilisce il “diritto a non nascere” del neonato down

sindrome_downLa Stampa.it 10 ottobre 2012

Profili di contraddittorietà della sentenza n. 16754, del 2 ottobre 2012 con l’ordinamento nazionale ed internazionale

Giuseppe Brienza

Con la sentenza n. 16754 del 2 ottobre 2012, la Corte di Cassazione ha riconosciuto, per la prima volta nell’ordinamento italiano, il “diritto” del neonato a chiedere alla madre od al medico il risarcimento del danno per essere nato “malformato”, contraddicendo con ciò due sue precedenti pronunce, emesse nel 2004 e nel 2009.

Il caso era quello di una madre che aveva esplicitamente chiesto al sanitario, in servizio presso l’Usl di Castelfranco veneto, di fare tutti gli accertamenti diagnostici necessari per escludere patologie gravi del feto, condizionando ad esse la prosecuzione della gravidanza. Tuttavia, il medico invece di prescriverle l’amniocentesi che avrebbe probabilmente permesso di scoprire la sindrome di Down da cui era affetto il nascituro, le aveva prescritto unicamente un test rivelatosi poi inattendibile.

Per la Cassazione la responsabilità del medico non discende dall’omessa diagnosi bensì dal fatto che, facendo nascere il bambino down, si è violato il «diritto di autodeterminazione della donna nella prospettiva dell’insorgere, sul piano della causalità ipotetica, di una malattia fisica o psichica».

La legittimità dell’istanza risarcitoria del neonato, secondo i giudici, deriva quindi «da un’omissione colpevole cui consegue non il danno della sua esistenza, né quello della malformazione di per sé sola considerata, ma la sua stessa esistenza diversamente abile, che discende a sua volta dalla possibilità legale dell’aborto riconosciuta alla madre in una relazione con il feto non di rappresentante rappresentato, ma di includente incluso».

La Cassazione estende poi il diritto al risarcimento anche al padre, ai fratelli e sorelle del neonato, in quanto, a suo avviso, la sua esistenza si riverbererà in termini di minor disponibilità dei genitori, di perdita di «serenità e distensione» in ambito familiare, oltre che a tendere in un onere economico.

La sentenza è apparsa in contraddizione con l’orientamento nazionale in materia di dignità e diritti delle persone disabili ed handicappate, stando ad esempio a quanto affermato nel recente documento del Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) “Aspetti bioetici della chirurgia estetica e ricostruttiva”, pubblicato il 16 luglio scorso.

In esso il massimo organo consultivo in materia di bioetica, a motivo della crescente promozione alla chirurgia estetica nei confronti delle persone down, ha infatti espresso favore per gli interventi di chirurgia sulle persone Down,  ma solo per quelli che hanno finalità “funzionali” e non “estetiche”.

Quest’ultimo tipo di interventi, infatti, che sono offerti dalle cliniche private per nascondere i tratti somatici della malattia Trisomia 21, come si legge nel documento del CNB, determinano «la percezione [del “down”] di essere rifiutato dall’ambiente sociale e in specie da coloro che si dovrebbero prendere cura di lui».

Se il CNB esprime disfavore verso il “nascondimento” della disabilità, in quanto contrario al doveroso «sforzo culturale nella società per accettare i bimbi Down», non si capisce come la  giurisprudenza possa configurare un “diritto a non nascere”, addirittura risarcibile,  di queste persone, da ultimo tutelata dalla Convenzione mondiale per la non discriminazione dei disabili, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2006 ed entrata in vigore nel 2008.

Inoltre l’ONU, con la risoluzione approvata il 10 novembre 2011, ha istituito la “World Down Syndrome Day” (“Giornata Mondiale per la Trisomia 21”), da celebrarsi, come è stato fatto per la prima nel 2012, il 21 marzo di ogni anno.

Mentre “L’Osservatore Romano” non ha pubblicato nessun commento alla sentenza, nel mondo cattolico la stessa ha provocato diverse reazioni critiche. Il “Comitato Verità e Vita”, associazione apartitica pro life fondata nel 2004 a seguito dell’approvazione della legge 40/2004 sulla fecondazione artificiale, ha ad esempio pubblicato un comunicato stampa nel quale denuncia le «acrobazie dialettiche degne di miglior causa» della sentenza, accusata anche di essere stata anche emessa per «l’ambizione di fare notizia sulle riviste giuridiche (“la Cassazione francese l’ha già detto nel 2001: e noi?”).

Il risultato grottesco è che, se la madre avesse potuto uccidere la sua bambina, tutto sarebbe stato a posto; ma poiché il ginecologo – per fortuna, diciamo noi! – non aveva proceduto all’amniocentesi, dovrà pagare una bella somma alla madre, a tutta la famiglia e alla stessa bambina…» (cfr. Comitato Verità e Vita, “La legge 194 sull’aborto: contro il diritto e la giustizia”,  8 ottobre 2012, http://www.comitatoveritaevita.it/).