Un miracolo possibile per l’economia

piccola_impresaCorriere della Sera 10 maggio 2012

di Ettore Gotti Tedeschi (*)

Caro direttore,

premetto che la crescita, in que­sto momento storico, è indispensa­bile per molte ragioni. La prima è per prevenire ogni disagio sociale e valorizzare la persona, mantenendo e perfino accrescendo l’occupazione. La seconda è crea­re sviluppo economico e reddito, domanda e consumi, con la conseguente necessaria dimi­nuzione reale e sostenibile del debito pubbli­co. La terza è dare un altro esempio di capacità realizzatìva del nostro Paese a livello interna­zionale per guadagnare altro prestìgio e veder­lo valorizzato in termini di rating.

Vale la pena approfondire l’idea che segue per più ragioni. L’Italia sta molto meglio di altri Paesi in diffi­coltà. Il suo vero problema è la crescita del Pil per tante ragioni storiche. Il suo modello imprescindibile di crescita economica deve fon­darsi sui suoi reali specifici vantaggi competiti­vi tenendo conto degli svantaggi.

Semplifican­do, i vantaggi sono la sua struttura di cosiddet­te Piccole e medie imprese e il risparmio delle famiglie.Gli svantaggi specifici sono il peso del pubblico in economia, la nostra economia duale e quella governance che scoraggia gli in­vestimenti. Le Pmi sono circa il 90% del siste­ma manifatturiero e quasi il 90% della occupa­zione nel manifatturiero (il resto è pubblico e servizi). Sono però, o sembrano, spesso trop­po piccole per competere sui mercati, sottoca­pitalizzate, talvolta non hanno bilanci certifica­ti e perciò credibili.

Lamentano, in specifico, scarsi capitali di rischio e finanziamenti neces­sari alla realizzazione dei loro piani di crescita, n risparmio famoso deDe famiglie italiane, pur in decrescita accelerata negli ultimi due de­cenni e in gran parte investito in immobili (cir­ca il 60%), è il più importante fra i Paesi euro­pei, circa 5 volte il debito pubblico: diecimila miliardi di euro. Anch’esso, quale risorsa o van­taggio competitivo, è in perenne pericolo. Tut­ti lo vorrebbero tassare, prelevare con «patri­moniali», nessuno vuole o sa remunerarlo spesso neppure per coprire l’inflazione.

I ri­sparmiatori lamentano la mancanza di investi­menti disponibili che preservino il capitale. Ma se non si trovano idee per sostenere le Pmi, chi farà la crescita? Se non si valorizza il rispar­mio e lo si perde, cosa resta?

Allora, qua! è l’idea da valutare e organizzare al più presto? È quella che valorizza il nostro risparmio (impie­gandone una parte, in modo opportunamente garantito), per ricapitalizzare le nostre Pmi, so­stenendone una crescita più aggressiva, conse-guentemente facendo crescere l’occupazione, trasformando i loro bilanci in trasparenza e concorrendo a ridurre il sommerso. Creando così un valore di crescita, di reddito, di salati e consumi conseguenti.

Tutto ciò è anche indi­spensabile per la sostenibile diminuzione del debito pubblico. Per realizzare detto miracolo di utilizzo dei due nostri vantaggi e riuscire a renderli sinergici, va compiuto il progetto so­pra citato in modo opportuno. Come si pensa altrimenti di far confluire capitali di rischio al­le nostre imprese? Come si pensa d’altra parte di valorizzare il risparmio se il sistema indu­striale non cresce, l’occupazione diminuisce e il debito pubblico continua a crescere?

Per riuscirci però è indispensabile un cata­lizzatore, un intermediario che sappia racco­gliere questa fetta di risparmio, garantirla, in­vestirla e controllarla. L’intermediario deve es­ser una struttura credibile, prestigiosa, pubblica-privata, soprattutto esperta ed efficente (in Italia questa Istituzione esiste).

Lo strumento di raccolta può esser un fondo garantito e re­munerato a un tasso simbolico di copertura in­flazione. Lo strumento di investimento può es­sere un obbligazionario convertibile a dieci an­ni ad un tasso sostanzialmente basso equiva­lente.

Il vantaggio diretto che si propone al sot­toscrittore è la remunerazione minima garanti­ta (obbligazionario) e il capitai gain (aziona­rio) a dieci anni. Ma il vantaggio indiretto è il sostegno e rilancio dell’economia in cui il ri­sparmiatore-sottoscrittore vive e lavora, lui o i suoi figli. Senza questo sostegno alla «sua» economia dove valorizzerà i suoi risparmi? È questo concettualmente il punto chiave del progetto.

Destinatarie dell’investimento saranno im­prese medie sane, già o potenzialmente com­petitive, con progetti di crescita e in grado di sviluppare altra occupazione e indotto. Le con­dizioni di questo investimento stanno nella re­altà competitiva delle imprese e nel piano ag gressivo di crescita che sapranno giustificare, nel piano di occupazione conseguente e nella disponibilità a certificare (al minimo) i loro bi­lanci.

Verranno selezionate e proposte dalle banche e Associazioni industriali locali e valu­tate da una Commissione mista centrale e sul territorio. L’elargizione dei fondi verrà fatta at­traverso il sistema bancario, coinvolto nella valutazione e controllato dalla Istituzione centra­le garante. Si consideri che oggi nel nostro Pae­se le entrate/Pil sono poco più del 45% e sono suddivise in dirette, indirette e oneri contribu­tivi. Si consideri che il sommerso è stimato in 16% del Pil (250 miliardi di euro), farlo emerge­re con siffatto modello è una opportunità ra­gionevole.

Vi sono naturalmente altri «miracoli» possi­bili nel nostro Paese, che riguardano per esem­pio la creazione di efficienza nel settore pub­blico (il pubblico vale circa il 50% del Pii), attra­verso privatizzazioni domestiche adeguate (re­ti di distribuzione gas e acqua, aeroporti, por­ti, alcuni servizi…). Basterebbe questo per sti­molare la ricerca di efficienza e redditività.

Si può fare, è impegnativo e con risultati a medio termine, ma da subito si creerebbero aspettati­ve positive. Questa può essere una risposta di­retta alla domanda di sviluppo, specifica del nostro Paese e centrata sui suoi vantaggi com­petitivi: valorizza entrambe le risorse private del Paese e non chiede altri sacrifici.

(*) Economista e presidente dell’Istituto per le Opere Religiose