Costantino e la svolta di Ponte Milvio

in hoc signoIl Timone n. 112 Aprile 2012

Dopo la famosa battaglia (1800 anni fa), Costantino abbando­na il culto degli dei “minori” per rivolgersi al “dio” sconosciuto, ma più grande di tutti. Una conversione che lo porterà ad abbracciare il Dio cristiano. E a donare libertà ai cristiani di professare la loro fede

di Alfredo Valvo

L’estensione dell’impero romano e la necessità di garantire una successione imperiale ordinata indussero Diocleziano, salito al trono nel 284, a istituire la tetrarchia (governo a quattro). Ai due imperatori Augusti venivano affiancati due Cesari, destinati a succedere a loro.

Il sistema, apparentemente funzionale, si rivelò invece macchinoso e inefficiente. Infatti, non appena Diocleziano e l’altro Augusto, Massimiano, si dimisero (305) per verificare se il sistema avrebbe funzionato, alla legittima successione prevista si opposero Massenzio e Costantino: il primo era figlio di Massimiano, il secondo di Costanze Cloro, succeduto come Augusto a Diocleziano.

La morte prematura di Costanze Cloro l’anno dopo (306) accelerò l’inserimento di Costantino nel “sistema” grazie, ancora una volta, al sostegno dell’esercito. La discesa in campo anche di Massenzio completò il disfacimento della tetrarchia.

Su questo sfondo di lotte per il potere, i Cristiani soffrivano ancora la persecuzione. Quella di Valeriane, incominciata nel 257 e continuata negli anni immediatamente successivi, fu interrotta da un editto emanato dal figlio Gallieno, nel 262, di grande importanza per il suo contenuto: esso abrogava le leggi anticristiane e rendeva la fede cristiana una religio licita (quindi garantiva la libertà di culto ai Cristiani); inoltre riconosceva implicitamente l’autorità dei vescovi e il loro diritto a rappresentare i fedeli sul piano religioso.

Il periodo di coesistenza pacifica tra i Cristiani e l’impero si interruppe nel 303. Diocleziano, in quell’anno, introdusse nuove disposizioni contro i Cristiani, che furono applicate, localmente, con inaudita ferocia, tanto che questa persecuzione, ultima in ordine di tempo, venne definita la “grande persecuzione”.

La motivazione di fondo delle persecuzioni anti-cristiane era, nella sostanza, la stessa: salvaguardare la religione tradizionale, quella pagana. Nella concezione romana, la religione era innanzitutto una alleanza fra Roma e la divinità, che garantiva la grandezza e la salvezza di Roma e del suo impero.

La fine della “grande persecuzione” fu decretata da un editto “di tolleranza”, emanato da Galerio in punto di morte (311), che va sotto il nome di editto di Serdica (odierna Sofia), nel quale a coloro che professavano la religione di Cristo si consente «che siano di nuovo cristiani e riprendano le loro riunioni purché non facciano niente contro l’ordine pubblico».

A questo editto seguirono altre disposizioni di analogo contenuto degli altri tetrarchi, che pure avevano infierito in precedenza contro i Cristiani. È al culmine di queste lotte e persecuzioni che si colloca la battaglia di Ponte Milvio fra Massenzio e Costantino per il dominio di Roma. La battaglia, iniziata una diecina di chilometri a nord della città lungo la via Flaminia, si spostò presso Ponte Milvio, che era stato fatto demolire in vista di una difesa ad oltranza della città, e si concluse con la morte di Massenzio, annegato nel Tevere. Era il 28 ottobre 312.

Strettamente collegata alla battaglia di Ponte Milvio è la “questione costantiniana”, sorta, nella sostanza, dall’incertezza se Costantino si convertì davvero al Cristianesimo in seguito ad una visione che lo esortava a far contrassegnare gli scudi dei suoi soldati con i segni celesti di Dio («con questo segno vincerai») prima della battaglia, oppure se il segno misterioso che egli fece porre sugli scudi fosse piuttosto un simbolo solare.

L’interpretazione “cristiana”, in particolare del simbolo (cristogramma) – che Lattanzio descrive così: «Costantino […] girando e piegando su se stessa la punta superiore della lettera [greca] X, scrisse in forma abbreviata “Cristo” sugli scudi» – non è più ritenuta una “trovata” con intenti propagandistici di Lattanzio e di Eusebio (quest’ultimo autore di una Vita di Costantino), entrambi scrittori cristiani contemporanei dell’imperatore, ma un fatto certo. Quanto segue ne è la conferma.

Costantino, entrato a Roma dopo aver sconfitto Massenzio, si presentò come «liberatore» e come salvatore dell’impero per ispirazione e con l’aiuto di Dio. Egli, infrangendo la tradizione, non si recò a ringraziare Giove Capitolino della vittoria, ma si limitò ad incontrare il senato e il popolo, come era costume dei generali vittoriosi.

Di questo cambiamento, intenzionale e gravido di significato, sono testimoni fonti pagane, in particolare il Panegirico (celebrazione dell’imperatore e delle sue imprese) di un autore anonimo del 313, che esplicitamente conferma il rispetto della tradizione civile e militare ma non di quella religiosa da parte di Costantino, sottolinea il cambiamento radicale intervenuto nella politica di questo nel 312 e conclude con una preghiera per lui e la sua discendenza.

Costantino, in effetti, dopo Ponte Milvio abbandona gli dei “minori” (quelli pagani) e riserva la sua devozione a un dio ancora sconosciuto ma il più grande di tutti, al quale attribuisce il merito della vittoria riportata e nel quale ripone la sua fiducia per la salvezza propria e dell’impero. Questo dio sconosciuto, «che ha tanti nomi quante sono le lingue dei popoli» (lo riferisce ancora il Panegirico), non era però identificabile con alcuna delle divinità pagane, sebbene ciascuno vi potesse riconoscere una divinità suprema.

D’altra parte, l’editto concordato nel febbraio dell’anno successivo (313) a Milano fra Costantino e Licinio, uno dei tetrarchi superstiti, del cui contenuto siamo informati grazie a quanto ci restituiscono del documento originale Lattanzio ed Eusebio, non è la ripetizione dell’editto di tolleranza di Galerio del 311, bensì una nuova disposizione che concedeva la libertà di culto a tutte le religioni presenti all’interno dell’impero (nel testo dell’editto compare la precisazione «qualsiasi divinità ci sia nella sede del cielo»).

Da allora e fino a Teodosio, che proclamò la religione cristiana religione di Stato (380), e nonostante il fragile tentativo dell’imperatore Giuliano di restaurare il paganesimo (361-363), fu stabilito il principio della libertà religiosa per tutti.

Dunque, si deve concludere che l’anno 312 fu decisivo per le sorti del Cristianesimo e che certamente «qualche cosa di nuovo e di eccezionale era avvenuto in quell’anno nella religiosità di Costantino» (Sordi). Costantino, tuttavia, non abbandonò subito il culto solare. Dal 310 egli aveva inserito nel suo nome il titolo di “Invitto”, che tradizionalmente si attribuiva al Sole (So/ Invictus); inoltre il Sole compariva sulle sue monete come comes (compagno) ed era stato venerato dal padre Costanze.

Il culto solare era rivolto al summus deus, cioè alla maggiore delle divinità con la quale l’imperatore – e solo lui – aveva un rapporto privilegiato. Questa era la miglior garanzìa per la salvezza dell’impero: affidarne le sorti alla divinità più grande. L’idea di un summus deus, il Sole, dai molti nomi e, in definitiva, sconosciuto, favoriva l’unità religiosa di un impero che sotto il profilo religioso era pluralistico.

L’adesione di Costantino al culto solare comportava non pochi vantaggi dal punto di vista politico, perché rappresentava «un punto di convergenza fra le diverse filosofie» e, in definitiva, accontentava tutti, anche i Cristiani (per i quali Cristo era Sol lustitiaé).

L’aspetto religioso è dunque prioritario in questa vicenda non solo per noi moderni e il comportamento di Costantino è pienamente comprensibile se si tiene presente che la religione, nella mentalità romana, era innanzitutto una alleanza fra Roma e la divinità, per la salvezza di Roma e del suo impero.

Per saperne di più…

Marta Sordi, I Cristiani e l’impero romano, Jaca Book, 20042.
Arnaldo Marcene, Costantino il Grande, Laterza, 2000.

Lucio De Giovanni, Costantino e il mondo pagano, D’Auria, 2003