Cronache da Cuba, l’ultimo paradiso (2011) II

La rubrica di Yoani Sànchez su Internazionale

segue annata 2011

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a cura di Rassegna Stampa

Internazionale n. 904 del 1-7 luglio 2011

Dall’Avana Yoani Sànchez

RIFORMA E FRITTO MISTO

II portone non ricorda più il luogo grigio e polveroso di un anno fa. Hanno ridipinto i mu­ri e restaurato le travi, e ci hanno piazzato davanti un tendone a strisce che attira i passanti. Tre cartelli in bella vista annunciano vari servizi: barbiere, vendita di pizze e chiromanzia. È una delle pic­colissime aziende private che stanno spuntando sull’isola.

Alcune hanno scritta in fronte la data del loro fallimento. Al­tre hanno l’aria di volersi tra­sformare, se ne avranno l’op­portunità, in veri e propri empori commerciali.Molte si muovono a piccoli passi e non vogliono ancora dimostrare il loro vero potenziale. Non sia mai che l’apertura economica si riveli effimera come un frit­to che si brucia nell’olio ormai consumato di qualche chio-schetto. La cautela è l’atteg­giamento imprenditoriale più diffuso.

Anche il capitale finanzia­rio fa la sua comparsa. Una parte dei soldi passa davanti agli occhi attenti delle istitu­zioni bancarie ufficiali, ma un’altra arriva dall’estero attraverso qualche corriere o i parenti in esilio.

L’incertezza sul rispetto da parte del gover­no del suo impegno nei con­fronti dei nascenti business privati è la zavorra di questa flessibilizzazione economica. Neanche leggendo le mani di undici milioni di cubani o i fondi di caffè è possibile pre­vedere cosa succederà. Capire se questi fritti di oggi sono davvero l’embrione di una classe imprenditoriale creola o un sotterfugio momentaneo per far guadagnare tempo al governo.

Internazionale n.905 dell’8 luglio 2011

Dall’Avana Yoani Sànchez

SOGNO A QUATTRO RUOTE

La Lada ha la stessa età della più piccola delle sue figlie. La ottenne negli anni sessanta come riconoscimento della sua attività di medico e per la sua irreprensibile fedeltà all’ideologia del partito. Per ottenerla dovette competere con molti colleghi dello stesso ospedale. Ma dopo aver passato mesi a riempire moduli e a specificare dettagli sulla sua biografia, riuscì a ottenere quell’auto sovietica. Si sentiva una privilegiata.

Con il passare degli anni la Lada cominciò a perdere colpi. La ricerca dei pezzo di ricambio portava via molto tempo alla dottoressa e il suo portafogli ne usciva sempre stremato. La sua “creatura” perse la vernice, il parabrezza anteriore si crepò e per l’aumento del combustibile fu obbligata a cambiare il motore a benzina con uno a petrolio.

La soddisfazione si trasformò in stanchezza, fino a quando decise di parcheggiare l’auto nel garage e di non usarla più. Oggi, sfogliando il giornale, la dottoressa ha letto con stupore che, dopo decenni di divieto, la compravendita di veicoli sarà legalizzata. Finora il commercio era stato limitato alle auto fabbricate prima del 1959, ma ora anche i modelli arrivati grazie ai sussidi sovietici saranno messi sul mercato.

Potrà vendere la Lada a un nuovo proprietario. A qualcuno che non l’ha ottenuta per i meriti sul lavoro, e neanche per il suo rigore ideologico. A un cubano che possiede quella moneta convertibile ormai più potente dei meriti di una volta, capace di trasformare la vecchia Lada in un sogno sfavillante a quattro ruote.

Internazionale n.906 del 15 luglio 2011 27

Dall’Avana Yoani Sànchez

HO MOLTA PAURA

Nelle ultime settimane i mezzi d’informazione ufficiali hanno dedicato molto spazio al cinquantesimo anniversario di uno slogan coniato da Fidel Castro durante un incontro con alcuni scrittori e artisti. In un discorso che ha condizionato la politica culturale di Cuba fino ai nostri giorni, il giovane guerrigliero metteva la creazione artistica nazionale davanti a una dicotomia irrevocabile: “Dentro la rivoluzione tutto, contro la rivoluzione niente”.

L’espressione non era nuova. Mussolini ne aveva usata una simile: “Tutto dentro lo stato, niente fuori dello stato, niente contro lo stato”. Ma alle nostre latitudini la rivoluzione si considerava al di sopra anche dell’apparato statale. In pratica, Castro stava dicendo a poeti, pittori e musicisti che le loro opere sarebbero state giudicate da un punto di vista ideologico.

Uno degli artisti presenti, Virgilio Pinera – un esile poeta gay – rispose al lider maximo con una frase altrettanto memorabile: “Non so voi, ma io ho paura, ho molta paura”.Oggi gli esegeti del comandante in capo vorrebbero farci credere che le sue parole sono sempre state male interpretate. Ma è difficile nascondere il fondamentalismo che contengono. Ora, ogni volta che le ricordiamo, sentiamo in sottofondo una risata caustica. La battuta di uno scrittore che con il suo filo di voce rubò la scena a Fidel e diventò per sempre il protagonista di quella giornata, rispondendogli con le parole sommesse degli intellettuali spaventati.

Internazionale n.907 del 22 luglio 2011

Dall’Avana Yoani Sànchez

LA CALDAIA

Nel senato degli Stati Uniti qualcuno vorrebbe eliminare i provvedimenti approvati da Barack Obama per facilitare i viaggi dei familiari e l’invio di denaro a Cuba. Alcuni pensano che questi ponti tesi verso l’isola siano una boccata d’ossigeno per il governo cubano e che prolungheranno la sua permanenza al potere. Secondo la teoria “privazione = reazione”, per ottenere un cambiamento immediato bisognerebbe chiudere il rubinetto degli aiuti esteri. Ma in un simile scenario, tutto da verificare, potrebbero rimanere intrappolati undici milioni di persone e altrettanti stomaci.

Chi sostiene la linea dura dice che basterebbe bloccare il flusso delle rimesse e dei viaggi dei cubani-americani sull’isola per scuotere il panorama nazionale. Per dimostrare questa tesi, loro ovviamente ci metterebbero la teoria e noi il corpo del martirio. Durante l’esperimento, e fino a quando non si arriva a una conclusione, le piscine nelle ville dei potenti in verde oliva continuerebbero a ricevere il loro rifornimento di cloro, mentre l’internet satellitare dei figli di papà non diminuirebbe neanche di un kilobyte. Il giro di vite non si farebbe sentire neanche sulla tavola delle gerarchie ufficiali.

In queste settimane ci sentiamo come cavie in un laboratorio gestito da persone lontane da noi. Gli artefici della “teoria della caldaia” sperano che la caldaia scoppi, ma non capiscono che l’esplosione potrebbe innescare un ciclo di violenza che nessuno sa come o quando finirebbe.

Internazionale n.912 del 26 agosto 2011

Dall’Avana Yoani Sànchez

IL MIO AMATO FABIO

Anche se distano solo poche miglia, Miami e L’Avana sono molto lontane. Ma alcuni ponti cominciano timidamente a unire le due sponde. Sono fragili e incompleti, ma testimoniano la speranza in un ricongiungimento futuro. Il concerto di Fabio Milanés a Miami previsto per il 27 agosto è uno dei segnali del riavvicinamento.

In questi giorni imperversa la polemica sull’opportunità che il famoso cantautore si esibisca davanti agli esuli cubani. Il dibattito mi ha risvegliato alcuni ricordi degli anni del sussidio sovietico, quando il panorama della musica cubana era piatto e grigio. Ry Cooder non era ancora venuto a riscoprire i vecchietti del Buena Vista Social Club, i video stranieri filtravano a malapena in alcuni spazi tv e avere un mangianastri era una rarità.

Scorrendo le frequenze delle noiosissime radio che trasmettevano dall’Europa dell’est, ogni tanto si riusciva a intercettare la voce di Silvio Rodriguez o di Fabio Milanés Nel frattempo l’autore della celeberrima Volando, è cambiato parecchio.

Sarebbe sbagliato definirlo un dissidente, ma da anni evita di partecipare a eventi pubblici organizzati dal governo cubano e carichi di risvolti ideologici. Il suo più grande merito è aver trovato un suo spazio di anticonformismo e un modo personale di rimanere se stesso. Fabio Milanés non imperversa più sulla radio cubana. Ma tra qualche giorno canterà a Miami, e la sua voce contribuirà a costruire quel ponte ancora incerto che si sta costruendo tra le due sponde

Internazionale n.914 del 9 settembre 2011

Dall’Avana Yoani Sànchez

QUESTIONE DI GENI

Alcune porte si aprono solo se si bisbiglia un cognome, una carica o il pedigree storico di qualcuno. Esistono lasciapassare che risolvono ogni problema, se in calce presentano una firma accompagnata da un’alta carica militare. Per decenni gli uomini scesi dalla Sierra Maestra si sono comportati come se fossero la fonte del diritto nella Cuba rivoluzionaria.

I familiari degli ex guerriglieri esibiscono il loro vincolo di sangue e si vantano di appartenere al loro stesso albero genealogico. Poter contare su un parente generale o tenente colonnello è utile per evitare la trafila burocratica ma anche per accorciare la pena carceraria, cancellare i precedenti penali e ottenere privilegi materiali. Da queste parti il nepotismo non sorprende nessuno. E così ai poveri sfortunati che non condividono il dna con gli históricos restano poche opportunità.

Le leggi della biologia stanno decapitando molti gruppi di potere. Qualche giorno fa la morte del ministro delle forze armate, Julio Casas Regueiro, ha confermato la fragilità di un governo che in media ha oltrepassato l’età del pensionamento. È difficile che passi un mese senza un necrologio nelle prime pagine dei giornali ufficiali. Noi, intanto, continuiamo a chiederci se i legami di parentela resteranno un elemento fondamentale della politica del paese, e se i cognomi altisonanti di oggi lasceranno spazio ad altri o proveranno a tramandare il pote­re ai discendenti, continuando a considerarlo un affare di famiglia.

Internazionale n.915 del 16 settembre 2011

Dall’Avana Yoani Sànchez

A COLPI DI CHITARRA

Ogni utopia ha la sua colonna sonora. A Cuba il movimento della Nueva trova ha creato una melodia per molti dei suoi momenti più importanti, soprattutto attraverso la voce di Silvio Rodriguez e Fabio Milanés. Entrambi erano considerati i massimi esponenti della canzone rivoluzionaria dentro e fuori dall’isola. Le loro canzoni hanno accompagnato diverse generazioni di cubani durante il lavoro volontario, le scuole rurali, le guerre di Etiopia e Angola.

Ma il tempo è passato e gran parte di quell’epica cantata a colpi di chitarra è andata perduta. Qualche settimana fa Fabio Milanés ha criticato la mancanza di libertà a Cuba, ha detto di non essere più fidelista e di essere disposto a dedicare un concerto alle Damas de bianco, ma non al comandante in capo. Lo ha dichiarato a Miami, poco prima di un concerto a cui hanno assistito soprattutto gli esuli cubani. Pablito ha dato voce al disagio di molti rivoluzionari che hanno visto snaturarsi l’ideale per cui avevano lottato.

Silvio Rodriguez, invece, rimane vicino alle autorità dell’isola e ha criticato le parole del suo compagno di musica. Ma neanche la sua diatriba contro Fabio Milanés ha attutilo l’impatto che hanno avuto tra noi le parole dell’autore di Yolanda. Nessuno dei due ha messo in musica quello che sta succedendo, ma entrambi stanno interpretando la sinfonia finale di un’illusione. Suonano il requiem di un’epoca, in cui prendevamo la zappa o il fucile al ritmo delle loro canzoni.

Internazionale n.916 del 23 settembre 2011

Dall’Avana Yoani Sànchez

ROVINE MODERNE

Da due anni l’edificio è vuoto e il chiasso degli studenti non riempie più i corridoi. Per decenni qui c’è stata una scuola rurale, un istituto preuniversitario che cercava di unire lo studio e il lavoro, e dove i ragazzi vivevano. Ma dall’anno scolastico 2009-2010, davanti all’evidenza del loro fallimento pedagogico e produttivo, molti di questi centri hanno chiuso i battenti.

Invece d’imparare a lavorare nei campi, gli studenti si esercitavano nell’arte della simulazione del lavoro, e nei dormitori fiorivano promiscuità e bullismo. Il presidente Raùl Castro ha annunciato la chiusura delle scuole rurali nell’ambito di un programma di riduzione dei costi. I blocchi di cemento che ospitavano gli studenti sono stati riconvertiti in case o istituti. Altri sono stati abbandonati. Sono nuove rovine, esempi di architettura dismessa di un’epoca recente ma ormai giunta al termine.

Dopo aver giocherellato con l’alchimia dell’insegnamento, oggi il ministero dell’istruzione cerca di rimediare ai danni inferii. Sono aumentati per esempio gli anni di studio per i professori della scuola primaria e secondaria, dopo quasi dieci anni in cui la formazione è stata frettolosa e ha sfornato “maestri emergenti”. La disattivazione di molte scuole con lo studentato è stata accolta con un sospiro di sollievo anche dai genitori. Il trofeo della nostra piccola vittoria è un enorme edificio di cemento abbandonato nel mezzo del nulla: un esperimento educativo che ci siamo lasciati alle spalle.

Internazionale n.917 del 30 settembre 2011

Dall’Avana Yoani Sànchez

CARAVAGGIO ALL’AVANA

Senza distogliere lo sguardo, Narciso contempla l’acqua in cui è riflessa la sua immagine, dove a tratti intravede anche i bagliori di una città di colonne distrutte e vetrate colorate. Dal 23 settembre il quadro di un giovane che si specchia in un lago, attribuito a Michelangelo Merisi da Caravaggio, è esposto nella sala universale del museo delle belle arti dell’Avana. Il re del chiaroscuro è arrivato fin qui, in questa città caraibica dove abbondano sole e penombra. È arrivato sotto la custodia della compagnia aerea Blue Panorama, insieme ad altre dodici opere appartenenti al barocco italiano.

Dopo l’inattività di agosto, questa esposizione torna a farci sentire parte del mondo e del villaggio globale. Gli studenti universitari guardano il Narciso con occhi avidi, i curatori del museo sentono di avere un’opportunità unica nella loro vita e chi vaga di notte per l’Avana vecchia si chiede perché tanto chiasso solo per una “tela dipinta”. Se l’inquieto milanese si scuotesse di dosso la polvere dei secoli e percorresse le nostre strade troverebbe i suoi modelli di una volta: le prostitute, i mendicanti, gli esclusi e anche i giovani incantati dalla loro stessa bellezza.

In questa città impermeabile al tempo, Caravaggio troverebbe molti cubani sovrappensiero e distratti, che cercano di non spingere il loro sguardo troppo oltre. Centinaia di migliaia di Narcisi, rifugiati negli unici beni che oggi gli sembrano sicuri: la loro giovinezza, il loro corpo, la loro bellezza.

Internazionale n.919 del 14 ottobre 2011

Dall’Avana Yoani Sànchez

ORO NERO, SALVEZZA E ROVINA

La raffineria emette una lingua di fuoco perenne insieme a una colonna di fumo che, a seconda del vento, si posa su uno dei tanti quartieri dell’Avana. Negli anni più duri del periodo speciale la fiammella di questa ciminiera era il segnale più visibile della nostra rovina materiale. Poi è arrivato Hugo Chàvez e la fiamma è aumentata di pari passo con la dipendenza dal Venezuela. Il bisogno crescente di quest’importazione ha reso più fragile l’economia del paese e ha minato la nostra sovranità. Finora i pochi giacimenti di greggio del territorio nazionale davano un prodotto di bassa qualità con un’alta percentuale di zolfo. Ma questa situazione potrebbe cambiare.

Secondo gli esperti, nelle acque territoriali cubane del golfo del Messico ci potrebbero essere circa venti miliardi di barili di petrolio. La compagnia petrolifera Repsol Ypf ha cominciato i lavori di esplorazione, ma prima ha assicurato agli altri paesi dell’area che svolgerà le sue operazioni nel rispetto degli standard di sicurezza. Washington non perde di vista neanche per un attimo i movimenti della Repsol, anche per accertarsi che non infranga l’embargo economico imposto all’isola da più di cinquantanni.

Il processo di esplorazione del giacimento è appena cominciato. Ma, se sarà possibile estrarre il tanto desiderato combustibile, forse eviteremo di doverci piegare ai disegni di un’altra potenza e gli autocrati stranieri non potranno ficcare il naso nella nostra politica nazionale.

Internazionale n.920 del 21 ottobre 2011

Dall’Avana Yoani Sànchez

LAURA E’ UN SIMBOLO

Otto anni fa Laura Pollàn era una maestra che viveva insieme al marito Héctor Maseda, capo del Partido liberaL, dichiarato fuori legge dalle autorità. Un giorno, all’alba, vari colpi alla porta gli annunciarono che qualcosa stava per cambiare. Dopo una lunga perquisizione Maseda fu condannato a vent’anni di prigione con l’accusa di aver attentato contro la sicurezza nazionale. Il suo reato: aver pensato una Cuba diversa, aver affrontato politicamente le autorità e aver messo per iscritto le sue opinioni.

In quel marzo del 2003, che rimarrà nella nostra storia come la primavera nera, furono processati settantacinque oppositori.Così sono nate le Damas de bianco, che in modo pacifico chiedevano la liberazione dei prigionieri di coscienza. Nelle loro marce di protesta indossavano vestiti chiari e portavano un gladiolo. Laura Pollàn diventò la portavoce del gruppo. La settimana scorsa quest’attivista è morta per un infarto, dopo aver perso la battaglia contro la dengue.

Anche se molti giornali nel mondo hanno parlato della scomparsa di questa maestra diventata leader civile, il Granma e gli altri giornali cubani sono rimasti in silenzio. Il mutismo potrebbe essere dovuto alla mancanza di grandezza di un governo che non sa esprimere rammarico per la morte di un avversario. Ma dipende anche dalla paura che avevano di questa donna minuta con lo sguardo diretto e dal timore che gli cresce in gola sapendo che è diventata un simbolo.

Internazionale n.921 del 28 ottobre 2011

Dall’Avana Yoani Sànchez

ANCORA UNA VOLTA L’EMBARGO

Per vent’anni la sospensione dell’embargo statunitense contro Cuba è stato un argomento di discussione all’ONU. La maggior parte dei paesi membri ha manifestato il suo disaccordo verso le restrizioni commerciali ed economiche imposte all’isola. Questa settimana c’è stata un’altra votazione. L’isola più grande delle Antille ne è uscita vittoriosa, senza che questo abbia convinto Washington a ritirare l’embargo.

Per i paradossi della vita, il grande vicino del nord è il principale fornitore di alimenti del nostro paese e i negozi sono pieni di prodotti “made in Usa”. Sull’isola l’embargo crea una sensazione di assedio sfruttata dai leader cubani, che associano ogni forma di dissidenza a un atto di tradimento. Se la qualità del pane è pessima, se le buche per strada non vengono riparate, se gli autobus non arrivano in orario, tutto si giustifica con l’embargo del 1962. Anche il partito unico si spiega con la necessità di “serrare le file” di fronte all’aggressione dell’imperialismo. Siamo intrappolati tra due embarghi: quello esterno e quello interno, fatto di controllo e repressione.

È vero che l’embargo ostacola la capacità commerciale e finanziaria del paese, ma è anche vero che le autorità non possono più vivere senza la “bestia nera” dei limiti economici imposti dall’esterno. Nel frattempo undici milioni di persone cercano d’immaginare una Cuba senza embargo e un governo nazionale che non abbia bisogno di dare la colpa a terzi dei suoi difetti.

Internazionale n.922 del 4 novembre 2011

Dall’Avana Yoani Sànchez

QUARTIERE A LUCI ROSSE 

Mariela Castro sorride maliziosamente mentre guarda le vetrine dove le donne offrono i loro servizi nel quartiere a luci rosse di Amsterdam. Mentre suo padre si assenta dal ventunesimo vertice iberoa-mericano in Paraguay, la direttrice del Centro nazionale di educazione sessuale ammira la zona più allegra della città olandese. Invitata a un congresso sulla salute sessuale, ha parlato anche con alcune donne che si prostituiscono.

Ha affermato di essere rimasta colpita dal modo in cui riescono a “nobilitare il lavoro che fanno”.Eppure le prostitute cubane, che una volta Fidel Castro definì “le più colte del mondo”, vivono in un paese incapace di riconoscere la loro esistenza, meno che mai i loro diritti. Per anni i nostri leader si sono vantati del fatto che la prostituzione era ormai un “flagello del passato”. Ma il turismo di massa degli anni novanta le ha riportate nelle strade con i loro vestiti attillati, sempre più giovani. Erano le stesse che poco tempo prima gridavano nelle scuole: “Pionieri per il comunismo. Saremo come il Che”.

Le retate della polizia, gli arresti arbitrar! e le condanne penali hanno fatto diminuire la loro presenza nelle località turistiche. Invece di eliminare la prostituzione, però, hanno spinto nella clandestinità migliaia di donne, che adesso sono sfruttate da qualche protettore. Sono lontane anni luce da quelle donne che Mariela Castro ha visto ed elogiato nel quartiere a luci rosse di Amsterdam.

Internazionale n.924 del 18 novembre  2011

Dall’Avana Yoani Sànchez

SOLO UNA DOMANDA

La settimana si preannunciava noiosa. Poi martedì mattina è squillato il telefono. Una voce dall’altro capo del filo mi ha detto che Mariela Castro, la figlia del nostro attuale presidente, ha appena aperto un account su Twitter. Allora le ho scritto subito una domanda dal mio cellulare: “Quando, noi cubani, potremo uscire allo scoperto?”. È una questione che mi tormenta da anni.

Mariela Castro, che è la direttrice del Centro nazionale di educazione sessuale (Cenesex), promuove la tolleranza verso l’omosessualità, ma non fa mai riferimento al bisogno di libertà dei cubani in altri ambiti della vita.La sua risposta è arrivata con un attacco verbale, nello stile dello zio Fidel: “La tua idea di tolleranza riproduce vecchi meccanismi di potere. Per migliorare, devi studiare”.

Continuo a chiedermi cosa significhino esattamente le sue parole. Il fastidio ha cominciato a serpeggiare tra gli utenti di Twitter, una comunità in cui nessuno da lezioni a nessun altro. Ma Mariela non ha mai risposto alla mia domanda. Il suo nervosismo era evidente: “spregevoli parassiti”, gridava contro quelli che la criticavano o le facevano altre domande. In serata tutti parlavano del fatto che il linguaggio democratico della rete e la sua orizzontalità che mette sullo stesso piano personaggi famosi e persone sconosciute, potenti e diseredati, aveva spiazzato la famosa sessuologa cubana. Tutto è cominciato con una semplice domanda, la richiesta di una cittadina qualunque

Internazionale n.925 del 25 novembre  2011

Dall’Avana Yoani Sànchez

CE LA FAREMO?

Tra i brutti edifici di cemento e le ville con il giardino stanno aprendo nuovi locali. Una zona che per decine di anni è stata solo un quartiere dormitorio adesso vede spuntare come funghi le insegne luminose dei bar. Con la ripresa del lavoro autonomo si moltiplicano caffetterie, bar, palestre e parrucchieri. Pochi di quelli che aprono attività commerciali in questo momento si ricordano la rinascita di piccole aziende private a metà degli anni novanta.

E nemmeno il trauma della chiusura a causa di tasse altissime, restrizioni assurde e ispezioni eccessive. Accanto al chioschetto messo su con poche risorse vengono costruiti spazi che fanno concorrenza al miglior hotel dell’isola. Opere d’arte alle pareti, mobili intagliati, lampade fatte a mano sono solo alcuni dei dettagli di questi nuovi locali.

C’è un passaparola continuo: “hanno aperto un ristorantino messicano”, “uno chef svedese è venuto a fare lezioni a chi vuole aprire un locale in centro”, “in quel posto vendono le paellas più buone del paese”. Sembrerebbe che questo flusso di creatività sia inarrestabile e che non sarà possibile – come in passato – tarpargli le ali. Il quartiere è diventato la meta di chi prima fuggiva in Calle 23 o sul Malecón per passare la serata.

Ma non godiamo ancora appieno dei tavoli apparecchiati con tovaglie impeccabili e dei camerieri in giacca e cravatta. Alcune domande si ripresentano a ogni forchettata: “Li lasceranno in pace o li metteranno ancora una volta fuori gioco?”.

Internazionale n.926 del 2 dicembre 2011

Dall’Avana Yoani Sànchez

UN SEMPLICE RAGAZZO

Quasi quattro anni fa un ragazzo aveva rivolto alcune domande scomode a Ricardo Alarcón, presidente dell’assemblea nazionale del potere popolare. Eliécer Avila aveva chiesto la parola durante una riunione alla facoltà di scienze informatiche e il suo intervento era stato registrato in un video subito diffuso in rete. Fino al giorno in cui ha espresso il suo dissenso davanti al funzionario pubblico, Eliécer era considerato un sostenitore del regime.

Ventenne di umili origini e militante dell’Unione dei giovani comunisti, era un attivista della Federazione degli studenti universitari e dirigeva anche la cosiddetta Operazione verità, una campagna per contrastare le critiche al governo cubano su internet.Con le sue osservazioni lo studente ha messo in difficoltà un uomo che è stato anche ambasciatore di Cuba alle Nazioni Unite. Eliécer aveva chiesto perché i cubani non possono viaggiare liberamente.

Il politico navigato aveva risposto che se “tutti gli abitanti della terra andassero dove vogliono, il caos aereo sarebbe ingestibile”. Lo scontro verbale l’ha vinto Eliécer, ma la reazione delle istituzioni non ha tardato ad arrivare. L’hanno isolato, gli hanno permesso di laurearsi, ma poi l’hanno rispedito a casa sua, a Las Tunas, a fare un lavoro insignificante. Ha dovuto vendere gelati per strada per sopravvivere. Adesso è disoccupato, un indignato senza posto di lavoro e senza copertura previdenziale. Le schermaglie verbali con il potere si pagano care.

Internazionale n.928 del 16 dicembre  2011

dall’Avana Yoani Sànchez

POESIA SENZA FINE

Essere un artista indipendente a Cuba e mantenere la propria autonomia dalle istituzioni culturali è un obiettivo difficile e rischioso. Molti musicisti, poeti o pittori che all’inizio producono le loro opere in autonomia, finiscono per essere controllati dal ministero della cultura. Appartenere a un organo ufficiale comporta molti vantaggi, come avere un account di posta elettronica o viaggiare con più facilità all’estero.

D’altronde i meccanismi di censura funzionano meglio quando si è parte dell’unione ufficiale degli scrittori o dell’agenzia nazionale del rock.Un gruppo di artisti che conosce bene la differenza tra essere indipendenti o controllati dal ministero è Omni zona franca. Si tratta di alcuni giovani che fanno installazioni artistiche, poesie e hip hop. Il rapporto del gruppo con i funzionari pubblici non

è mai stato rose e fiori, ma si è interrotto definitivamente e in modo molto drammatico due anni fa, quando i suoi componenti sono stati espulsi dalla sede del gruppo. Il motivo: aver invitato altri artisti nemici del regime tra cui rapper, giornalisti e blogger.

Eppure ogni dicembre Omni continua a fare il suo festival “Poesia senza fine”, che dal 2009 si svolge nelle case, nei garage, sui terrazzi. Venerdì scorso c’è stata l’inaugurazione e Omni ha invitato tutti i suoi amici. Alla fine ha dimostrato che essere indipendenti vuoi dire essere più liberi, anche se si hanno meno risorse. Non ha più un tesserino, ma la sua poesia è indipendente e ha il sapore della libertà.