Cronache da Cuba, l’ultimo paradiso (2010) II

La rubrica di Yoani Sànchez su Internazionale

(segue annata 2010)

Fidel_Cuba_1

a cura di rassegna Stampa

Internazionale n. 860 del 20 agosto 2010

dall’Avana Yoani Sànchez

L’ALTRO SILVIO

Mentre i giovani di tutto il mondo si godevano la musica degli anni sessanta, per i cubani era proibito ascoltare qualunque cosa avesse reminiscenze imperialiste, Beatles compresi. Proprio in quell’epoca nacque sulla nostra isola quello che prese il nome di movimento della nueva trova cubana.

Silvio Rodriguez ne è stato il massimo esponente, con versi poetici e melodie che mescolano le tonalità della nostra trova tradizionale con gli accordi di Bob Dylan. La sua generazione, segnata dagli effetti euforici della rivoluzione, lo considerava un contestatario per via della seconda lettura che si poteva fare dei suoi testi. Le canzoni furono proibite in alcuni programmi tv.

Poco a poco, davanti agli occhi di fan e detrattori, il movimento fu assorbito dall’apparato ideologico filogovernativo e le sue canzoni diventarono la musica di fondo di ogni evento politico. Oggi Silvio Rodriguez è la rappresentazione in carne e ossa della nostalgia per un’utopia che non si è mai avverata. In pochi gli perdonano i tanti anni da deputato durante i quali non ha mai alzato la mano per chiedere la fine della criminalizzazione degli oppositori.

Per sua fortuna sarà ricordato solo per aver composto delle belle canzoni. In casa conservo tutti i suoi dischi, ma li ascolto di rado. Ho paura di scoprire delle note stonate. Preferisco farli riposare, finché un giorno Cuba non sarà il giardino dove potranno riposare in pace tutti gli unicorni, qualunque sia il loro colore.

Internazionale n.861 del 27 agosto 2010

dall’AvanaYoani Sànchez

INTERFERENZE

L’apparecchio radio che mi hanno regalato per il compleanno sonnecchia su uno scaffale, coperto dalla polvere. Non c’è motivo di accenderlo, non si sente praticamente niente. Nemmeno le stazioni cubane: la zona è piena di palazzi ministeriali e antenne usate per ostacolare le trasmissioni a onde corte che arrivano sull’isola. Mi illudo di poter ascoltare la Deutsche Welle, per mantenere vivo il mio tedesco. Ma dall’altoparlante esce solo un ronzio.

Viviamo nel mezzo di una guerra di frequenze radiofoniche. Radio Marti, che trasmette dagli Stati Uniti, cerca di intromettersi nel nostro spazio radioelettrico. Anche se vietata, l’emittente è estremamente popolare. Agli apparecchi radio in vendita nei negozi ufficiali viene tolto il modulo che permette di ricevere le trasmissioni straniere. Così non è raro vedere sui tetti di molti palazzi gli aggeggi che consentono di captare i segnali dall’estero.

Rinchiusi dentro casa, i cubani cercano la posizione migliore per superare le interferenze. Capita di vedere qualcuno disteso sul pavimento mentre cerca il punto esatto in cui le trasmissioni che arrivano da fuori riescono a sovrapporsi alla programmazione locale. Non importa cosa stanno trasmettendo dall’altra parte. Non importa se è un noiosissimo programma musicale, un notiziario in inglese o le previsioni del tempo di altre parti del mondo.L’importante è che suoni diverso, che sia lontano dal miscuglio di ordini e prosa senza libertà trasmesso ogni giorno dalla radio cubana

Internazionale n.862 del 3 settembre 2010

dall’Avana Yoani Sànchez

RICETTE PROIBITE

Nel suo ristorante privato, Humberto serve di nascosto aragoste, gamberi e carne di manzo. Questi prodotti sono tenuti sotto stretto controllo dalla legge cubana. Il loro possesso – senza un’autorizzazione regolare – può costare vari anni di prigione. Le ricette non compaiono nel menù, ma quando arriva un cliente dall’aspetto affidabile Humberto gli sussurra all’orecchio le prelibatezze proibite che lo attendono in cucina, lontano dalla vista degli ispettori.

Nel 1994 Cuba ha autorizzato il lavoro autonomo e il paese si è riempito di ristoranti che cucinavano bistecche di maiale o pizze napoletane. L’offensiva rivoluzionaria della fine degli anni sessanta aveva soffocato la creatività, ma la camicia di forza si stava allentando.

Tra la sorpresa e l’entusiasmo, gli abitanti dell’Avana hanno visto la città riempirsi di chioschetti e case trasformate in ristoranti, ribattezzati paladares. Ma l’euforia è durata poco a causa delle tasse, delle restrizioni per assumere dipendenti che non appartengono alla cerchia familiare e della lista dei prodotti proibiti.

Molti paladares hanno chiuso i battenti.Ad agosto Raùl Castro ha annunciato che ci saranno degli incentivi per il lavoro autonomo. Humberto ha tirato un sospiro di sollievo, perché stava pensando di riconsegnare la licenza e prendere un taxi illegale. Forse non sarà obbligato a far sposare sua figlia con il cuoco per farlo lavorare con lui. E forse potrà offrire liberamente le merci nascoste nella sua cucina.

Internazionale n.863 del10 settembre 2010

dall’Avana Yoani Sànchez

FINESTRE CON LE GRATE

Alle dieci di mattina si sono calati dal terrazzo sul balcone, al dodicesimo piano. L’appartamento era vuoto e i due ragazzi si sono portati via il videoregistratore e qualche vestito. Qualche giorno prima in quella casa era arrivato un parente emigrato: forse i ladri pensavano di trovare qualche dollaro nascosto in un barattolo. Hanno guardato dappertutto, ma la famiglia aveva già speso quel poco che l’ospite aveva lasciato. La polizia non ha rintracciato i delinquenti né la refurtiva. I vicini, spaventati, hanno cominciato a proteggere i loro balconi con delle grate e qualcuno ha comprato anche un cane.

L’Avana si è riempita di inferriate, grate e sbarre alle porte, alle finestre e agli abbaini dei tetti. Tutti hanno paura di essere svaligiati del poco che hanno e i più ricchi sanno che ci sono occhi in attesa di una minima distrazione per intrufolarsi nelle loro case. Il furto in appartamento è diventato uno dei reati più comuni: c’è chi si gioca la vita saltando un muro per fuggire con un fon. È raro che la refurtiva venga ritrovata o il ladro sia arrestato, perché gli investigatori non hanno le risorse per analizzare le impronte digitali o il dna lasciato sulla scena del reato.

La protezione migliore contro i ladri sono le grate. Alcune sono belle, altre davvero brutte. Negli ultimi anni ne sono spuntate così tante che si ha l’impressione di vivere di nuovo in una città circondata da mura, questa volta non per difenderci dai pirati ma dai furfanti.

Internazionale n.866 del 1 ottobre 2010

dall’Avana Yoani Sànchez

LA BENZINA DI CARACAS

Lunedì è stato un giorno strano. Quando i vecchietti sono andati a comprare il Granma, hanno notato che le elezioni legislative venezuelane erano a malapena nominate. Quella stessa mattina i gestori dei benzinai hanno ricevuto una busta sigillata con i nuovi prezzi della benzina. Ma l’hanno potuta aprire solo dopo aver saputo che il partito di Hugo Chàvez non aveva ottenuto i due terzi all’assemblea nazionale.

L’operazione di rincaro del combustibile è stata organizzata in assoluta segretezza. Quando gli automobilisti sono andati a fare benzina, hanno scoperto che dovevano pagare fino al 20 per cento in più. I cubani hanno associato il risultato delle elezioni in Venezuela all’improvviso rincaro del carburante. E alcuni si sono accaparrati decine di litri di diesel, per paura che nei prossimi giorni il prezzo aumenti ancora.

All’Avana la preoccupazione è tangibile. Perfino i bambini delle elementari lo sanno: senza il sostegno incondizionato di questo vicino che ci vende petrolio a prezzi di favore, il sistema energetico nazionale potrebbe collassare da un momento all’altro. Ma sappiamo anche che se Caracas continuerà a inviarci aiuti così sostanziosi, il governo cubano non sarà obbligato a proseguire sulla strada dell’apertura economica e politica. Il 26 settembre si decideva anche il nostro futuro. Ma la stampa e la tv di stato non hanno parlato della sensazione – a metà tra la paura e il sollievo – che ha attraversato l’’sola da un capo all’altro

Internazionale n.867 del 8 ottobre 2010

dall’Avana Yoani Sànchez

ILLUSIONI DI CAMBIAMENTO

Per fortuna non mi facevo più molte illusioni, altrimenti sarei rimasta davvero delusa quando, un paio di settimane fa, mi hanno negato per l’ottava volta in tre anni il permesso di viaggiare all’estero.

Da quando Raùl Castro ha ereditato la presidenza di Cuba, nel febbraio del 2008, la cosa di cui parlano di più gli studiosi sono i cambiamenti che sarebbero avvenuti nel socialismo cubano. Le speculazioni sono cominciate quando il generale ha annunciato che bisognava introdurre dei cambiamenti strutturali nell’economia.

Molti hanno creduto di poter avere una connessione internet, una tv via cavo o un’antenna parabolica. Abbiamo immaginato che sarebbe sparito l’assurdo divieto di vendere una casa o una macchina, e che finalmente il diritto di fondare un’azienda non sarebbe più stato un privilegio dello stato e degli investitori stranieri. Ma da quando abbiamo cominciato a sentir parlare di aperture, il nostro sogno più assurdo è stato pensare che si abolissero le restrizioni che obbligano gli abitanti del “primo territorio libero d’America” a chiedere un permesso per visitare un altro paese.

È meglio cambiare illusioni. Le mie speranze non riguardano la volontà dei politici, ma il peso dell’ostinata realtà. Tutto cambierà, anche se loro si oppongono. I miei nipoti mi prenderanno per bugiarda quando gli racconterò com’erano le cose ai miei tempi e io sarò felice di vedere che gli sembreranno impossibili queste sciocchezze.

Internazionale n.868 del 15 ottobre 2010

dall’Avana Yoani Sànchez

LIBRI FODERATI E AUTORI PROIBITI

Il libro era foderato con una di quelle riviste piene di colori e povere di verità che cercano di convincere i turisti dei vantaggi dell’utopia cubana. Lo leggeva un ragazzino – gli stavano spuntando i primi baffi – e, nonostante i sobbalzi dell’autobus e le persone che si frapponevano tra me e quelle pagine, l’ho riconosciuto: era La guerra della fine del mondo di Mario Vargas Llosa, che pochi giorni fa ha ricevuto il Nobel per la letteratura.

A Cuba coprire la copertina dei libri censurati è stato un trucco che per anni ci ha permesso di sfogliare in luoghi pubblici gli autori esiliati dalle librerie ufficiali.

Dimostrare una cultura letteraria all’Avana oggi non significa conoscere Alejo Carpentier o Julio Cortàzar, ma aver tenuto tra le mani un libro di Reinaldo Arenas, Herta Mùller o Guillermo Cabrerà Infante. La seduzione degli espulsi è infinitamente più grande di quella degli scrittori autorizzati. Abbiamo letto Vargas Llosa non solo per il suo talento di narratore o per l’arguzia dei suoi articoli, ma anche come gesto di ribellione.

Non c’è legame più forte tra un autore e i suoi lettori di quello che si stabilisce nella clandestinità. Un po’ di paura di essere scoperti ci rimarrà sempre di fronte all’opera di Mario Vargas Llosa, ma gran parte del timore si sta dissipando. Da un po’ di tempo ho notato che alcune persone più coraggiose leggono i suoi romanzi, senza foderare la copertina, nei parchi, in ufficio o nelle aule universitarie.

Internazionale n.869 del 22 ottobre 2010

dall’Avana Yoani Sànchez

SILENZIO E TEMPESTA

Una tegola di zinco ha preso il volo disegnando un’incredibile coreografia in aria prima di cadere sul tetto di un altro edificio. Le raffiche di vento del ciclone tropicale Paula hanno spezzato rami, provocando ventidue frane all’Avana e lasciandoci per più di un giorno senza elettricità. In un’isola abituata al passaggio di forti uragani, questa piccola meteora dal nome di donna è stata una sgradevole sorpresa.

L’imprevisto è dipeso dal fatto che i mezzi d’informazione non hanno voluto scatenare l’allarme o hanno sottovalutato gli effetti delle raffiche divento sulle case decrepite della capitale. Paula ha reso evidente che le autorità non vogliono aggiungere neanche un pizzico di malessere alla già critica realtà. In altre circostanze ci avrebbero detto di rinforzare le finestre e seguire i comunicati ufficiali.

Oggi, per le strade, le battute contro l’istituto di meteorologia si mescolano alle critiche contro la protezione civile, che non ha sospeso le lezioni a scuola. Alla vigilia dell’arrivo di Paula i tg hanno dedicato più di 25 minuti alla quarta parte di una riflessione di Fidel Castro. L’ex presidente ha snocciolato dettagli interni della politica statunitense, mentre tutti ci aspettavamo notizie sulla tempesta tropicale. Chi ha ordinato alla stampa di non alimentare l’allarme ha ancora un tetto. Ma molte altre persone si ricorderanno di Paula come del giorno in cui hanno visto crollare la loro casa o hanno perso definitivamente la fiducia nei mezzi d’informazione ufficiali.

Internazionale n.871 del 5 novembre 2010

dall’Avana Yoani Sànchez

PEPITO

La risata e lo sberleffo sono terapie dì gruppo a Cuba. Qui la frustrazione è esorcizzata con l’umorismo. Ridiamo di noi, ma anche di chi ci governa, nell’intimità della famiglia o nella cerchia ristretta degli amici. Inventiamo dei soprannomi, cerchiamo buffe analogie tra i personaggi pubblici e raccontiamo barzellette. Insomma, ci sganasciamo dalle risate anche se avremmo più motivi per piangere che per essere contenti.

Questa vocazione nazionale alla battuta si manifesta anche in Pepite, un eterno scolaro che pone domande scomode. Il bambino, dalla lingua affilata e le tasche bucate, è il personaggio principale di molti dei nostri racconti satirici. Le sue storie circolano in clandestinità, passando di bocca in bocca. Sento parlare di questo bambino immaginario da quando ho l’uso della ragione. Pepito è andato sulla Luna quando l’Unione Sovietica e Cuba hanno lanciato la loro prima missione nello spazio, è stato a fianco di papa Giovanni Paolo II durante la sua visita all’Avana ed è entrato nel bunker segreto in cui Fidel Castro ha passato la convalescenza. È stato ovunque e in nessun luogo.

Ma proprio quando pensavamo che non ci avrebbe mai abbandonati, Pepito ha cominciato a languire. Oggi è difficile sentire qualche nuova storia su di lui. Io mi sveglio ogni mattina sperando nel suo ritorno. Prima o poi le battute torneranno nelle nostre vite sotto forma di un bambino ribelle che non ha rispetto di niente e di nessuno.

Internazionale n. 872 del 12 novembre 2010

dall’Avana Yoani Sànchez

SCARPETTE DA BALLO NELLA NOTTE

Sul palcoscenico danza una figura in scarpette e tutù, una delle più importanti dell’American ballet theater in tournée all’Avana. Il pubblico applaude in delirio un corpo di ballo che è stato assente da Cuba per cinquant’anni. Abbiamo vissuto una settimana glamour di applausi prolungati dalle poltrone del teatro e di grida di incitamento davanti a ogni fouetté. Abbiamo trattato sul prezzo di un biglietto al mercato nero per farci trasportare dalle luci e dalla musica.

Il festival di danza ci ha fatto dimenticare le preoccupazioni quotidiane, soprattutto quelle per i licenziamenti che colpiscono decine di migliaia di persone in tutto il paese. Lo Schiaccianoci, Coppelia e II lago dei cigni ci hanno distratto anche da altre questioni scottanti, come il mancato rispetto dei termini per la liberazione dei prigionieri politici: tredici sono ancora in carcere. Tra le coreografie e un fitto programma di presentazioni, la prima settimana di novembre ci è sembrata irreale, avulsa dal contesto preoccupante in cui viviamo.

Mi sono decisa a vedere la versione del Don Chisciotte nella sala Garcia Lorca e ho assistito a una bellissima festa di luci, costumi e musica. Alla fine dello spettacolo sono stata una delle ultime persone a uscire dalla sala piena di poltrone di velluto rosse. Sono rimasta anche quando il sipario si era chiuso e nei camerini i ballerini si toglievano il trucco. Uscendo da lì era tutto molto diverso: l’oscurità era calata intorno al campidoglio e ormai era ora di tornare a casa.

Internazionale n.873 del 19 novembre 2010

dall’Avana Yoani Sànchez

SESTO CONGRESSO

Sono nata nel 1975, l’anno del primo congresso del Partito comunista cubano. Nel 1986, quando il Pcc si è riunito per la terza volta, è cominciato il processo di rettifica degli errori. Nel 1991 il piatto forte è stata la flessibilizzazione che ha permesso ai religiosi di en­trare nel partito, anche se la percentuale di credenti entrati nel Pcc è stata più bassa di quella degli iscritti che si sono tolti pubblicamente la ma­schera dell’ateismo.

A causa del periodo speciale, abbiamo dovuto aspettare fino al 1997 per vedere la quinta riunione dell'”avanguardia organizzata della nazione cubana”. Questa volta per redigere un documento intitolato “Per la democrazia e i diritti umani che difendiamo”. Un’ironia non da poco in un paese da cui non si può uscire senza un permesso e dove sono punite l’associazione e l’espressione del dissenso.

Pochi giorni fa sono state pubblicate le linee guida del sesto congresso del Pcc. La piattaforma rafforza l’iniziativa privata e si prefigge di dare più libertà ai lavoratori autonomi.

La questione più scottante poteva essere la rielezione di Fidel Castro come eterno leader del Pcc o la sua sostituzione. Ma le aspettative sono sfumate con l’annuncio di una conferenza nazionale parallela al congresso, dove si affronteranno le questioni interne al partito. Il vero congresso, di cui non si conoscono né luogo né data, sarà questo e segnerà le nostre vite con la stessa cecità del passato

Internazionale n.874 del novembre 2010

dall’Avana Yoani Sànchez

PATTO SOCIALE

In un centro scientifico dell’Avana l’economista Juan Triana ha tenuto una conferenza sulla crisi del paese. Mentre spiegava lo stato delle finanze cubane, il pubblico tossiva per il nervosismo e rideva delle nostre assurdità finanziarie. Alla fine è calato un silenzio sepolcrale. L’economista ha mostrato dei grafici che illustravano il calo della produzione, la dipendenza dai mercati stranieri e il bisogno di rendere efficiente l’industria nazionale. Ha parlato del disastro della raccolta dello zucchero, che nell’ultimo anno ha superato di poco il milione di tonnellate, in questo paese che un tempo era lo zuccherificio del mondo.

L’intervento è stato registrato da una telecamera e nel giro di poche settimane è stato diffuso attraverso le reti d’informazione alternativa. Le parole erano dure, lontane dai toni trionfalistici dei mezzi d’informazione ufficiali. L’economista ha analizzato le caratteristiche della crisi bancaria ed è arrivato a sostenere che, se il problema non si risolverà in breve tempo, il governo potrebbe portare “i carri armati in strada”. La conferenza ha raggiunto migliaia di cubani che non hanno studiato economia e che non sanno cosa sia il deficit di bilancio. Ma tutti hanno ascoltato con attenzione, perché si parlava di cose che conoscono bene.

Molti continuano a pensare ad alcune frasi dette dall’economista, una delle quali si riferiva alla possibilità che si “rompa il patto sociale” tra le autorità e i cittadini, una frattura che oggi tutti vogliamo evitare.

Internazionale n.875 del 3 dicembre 2010

dall’Avana Yoani Sànchez

OMBRE LUNGHE

Ci sono due uomini all’angolo della strada. Uno ha un auricolare, l’altro fissa il portone del palazzo. Tutti quelli che vivono in zona sanno benissimo perché sono lì. In uno degli appartamenti vive un dissidente: i due poliziotti politici tengono sotto controllo chi entra e chi esce, e lì vicino hanno una macchina per seguirlo ovunque vada.

Non cercano di nascondersi. Vogliono far capire a tutti che quel soggetto è schedato, per spingere gli amici ad allontanarsi ed evitare di finire nella ragnatela della vigilanza. A Cuba chiunque dissenta ha un’ombra che lo segue ovunque. Si chiamano segurosos e usano tecniche sofisticate di supervisione, dalle intercettazioni telefoniche o ambientali alla localizzazione attraverso il segnale del cellulare. Gli effetti sulla vita personale di operazioni di questo genere sono tali che i cubani chiamano la sicurezza di stato con nomi terribili come “Apparato”, “Armageddon” o “Trituratrice”

Una frase illustra la smisurata proporzione di poliziotti politici che si aggirano intorno a ogni oppositore. A bassa voce e guardandosi alle spalle, molti dicono con sarcasmo: “Quante braccia rubate all’agricoltura, guarda questi, passano le giornate a controllare chi la pensa diversamente”. Quanto sarebbe diverso se invece di proiettare la loro lunga ombra sui critici del sistema la lasciassero cadere su un cesto di lattuga o una piantina di pomodoro, su quel solco – oggi vuoto – che potrebbero aiutare a seminare.

Internazionale n.876 del 10 dicembre 2010

dall’Avana Yoani Sànchez

PASSAPORTO O SALVACONDOTTO

Ha solo 32 pagine e una sobria copertina blu: il passaporto cubano sembra più un salvacondotto che un documento d’identità. Indispensabile per uscire dall’isola, averlo non garantisce però di poter prendere un aereo. Viviamo nell’unico paese al mondo in cui per avere questo documento di viaggio bisogna pagare in una valuta diversa da quella dei nostri stipendi. Costa 55 pesos convertibili, e un lavoratore medio deve mettere da parte lo stipendio di tre mesi.

All’inizio del ventunesimo secolo non è più così insolito incontrare un cubano con un passaporto, ma negli anni settanta e ottanta solo pochi eletti ne avevano uno. Eravamo diventati un popolo immobile, e i pochi che andavano all’estero erano in missione per il governo (o cercavano di raggiungere l’esilio). Attraversare la barriera del mare era un premio concesso ai più fedeli, mentre gli altri restavano a guardare. Per fortuna le cose sono cambiate, forse grazie all’arrivo dei turisti, che ci hanno contagiato con la loro curiosità.

Oggi quando ottengono la cittadinanza di un altro paese i miei compatrioti tirano un sospiro di sollievo: sanno che presto proveranno un senso di appartenenza per un altro luogo. Poche pagine, una copertina foderata di pelle e l’emblema di un altro paese possono fare la differenza. Nel frattempo, il libretto blu con l’emblema di Cuba rimane nascosto in un cassetto, in attesa che diventi una ragione di orgoglio e non di dolore

Internazionale n.877 del 17 dicembre 2010

dall’Avana Yoani Sanchez

LA TRIBUNA DELLO SCHERMO

Quest’anno festeggiamo il sessantesimo anniversario dell’arrivo della tv nella nostra vita nazionale, orgogliosi di essere stati i primi latinoamericani ad aver conosciuto uno dei prodigi del novecento. Nei primi dieci anni di vita il piccolo schermo ci ha offerto spazi informativi, eventi sportivi, telenovela e altri prodotti importati come cartoni animati, film d’avventura, telefilm e ovviamente pubblicità.

Nel 1959, quando la rivoluzione trionfò, l’ingresso dei ribelli all’Avana fu trasmesso in tutto il paese.Poco tempo dopo quei guerriglieri trasformarono i canali televisivi in una proprietà dello stato. La tv diventò la tribuna più importante della rivoluzione per pronunciare arringhe, condannare e convincere in assenza di concorrenza. Scomparvero le pubblicità, sostituite da messaggi in cui si raccomanda ai cittadini di risparmiare l’elettricità e l’acqua, mescolati agli appelli a sfilare il i maggio, a brevi note biografiche sugli eroi della Sierra Maestra e a promemoria storici.

L’improvviso cambiamento non è sfuggito alle frecciate umoristiche. Come la battuta sul Nobel per la chimica assegnato al presidente dell’istituto di radio e televisione per aver trasformato la tv cubana in spazzatura. Quando il lider maximo occupava lunghe ore della programmazione si diceva che qualcuno avesse fatto riparare il suo televisore per una macchia verde che non voleva andarsene dallo schermo. Prima ci divertivamo con la televisione e ora ridiamo di lei.

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