Usa, perché ha vinto la Destra

conservative_partyIl Corriere del Sud n.2 del 25 febbraio 2011

La differenza tra conservatori e progressisti, quindi tra destra e sinistra, è che i primi credono in Dio, i secondi invece credono di essere Dio

di Giovanni Formicola

Da poche settimane, la Camera dei Rappresentanti, uno dei rami del Parlamento degli Stati Uniti, ha un nuovo Speaker: al posto della molto liberal Nancy Pelosi c’è ora John Boehner. Se la sua carica è omologa a quella del nostro Presidente della Camera, la stessa cosa non si può dire dei rispettivi temperamenti e delle visioni del mondo.

Tanto per dare un’idea, ecco che cosa ha fatto Boehner il giorno in cui è stato eletto a tale incarico e ha prestato giuramento: è andato a Messa – una Messa cattolica, si intende – poi a pranzo con la moglie, le figlie e dieci dei suoi undici fratelli (ma nessun cognato). Boehner non è ateo, né futurista, né vagheggia una destra «europea» (cioè una destra non «di destra»), piuttosto è dichiaratamente pro life e non rifiuta l’etichetta di hard-core conservative che gli hanno affibbiato.

L’inizio di questa nuova «legislatura» statunitense rimanda ad un evento recente di assoluta rilevanza che, però, – un po’ per la spaventosa accelerazione del tempo in cui viviamo, un po’ per il dominio mediatico dell’inutile e dell’idiota, un po’ per malizia ideologica – è stato, di fatto, ignorato.

Mi riferisco alle elezioni di mid-term dello scorso 2 novembre negli USA che hanno riguardato il rinnovo dell’intera Camera, di poco più di un terzo del Senato, di più di due terzi dei governatori, i congressi di molti Stati, altre cariche elettive periferiche, e che, infine, hanno chiamato il popolo a esprimersi su varie questioni con la modalità del referendum.

La straordinaria importanza di tali consultazioni può essere riassunta in tre punti.

1. La destra «di destra» ha probabilmente registrato la più grande vittoria elettorale della storia. A vincere, anzi a trionfare, non è stata, infatti, una destra spuria, una destra «a destra» di qualcuno – socialdemocratica, democristiana, liberaldemocratica o fascista che sia –, ma una destra che si avvicina molto a ciò che dovrebbe essere per definizione: alternativa alla sinistra e, perciò, religiosa, patriottica e tradizionale, che difende la persona, la famiglia, la proprietà e l’ordine.

Di questa destra in America, quello che più colpisce è la sua capacità di saldare le tesi contro il big government, la spesa pubblica e la correlativa persecuzione fiscale, con la difesa del diritto alla vita, della famiglia come società naturale basata sul matrimonio tra un maschio e una femmina e quindi la naturalità della filiazione, e la sicurezza dei cittadini. Il trait d’union tra queste posizioni è costituito appunto dalla centralità e dalla libertà vera della persona umana, intesa come irripetibile creatura di Dio.

Una straordinaria polemista statunitense ha scritto che la differenza tra conservatori e progressisti, quindi tra destra e sinistra, è che i primi credono in Dio, i secondi invece credono di essere dio. Se Dio c’è, lo Stato non può tutto: non può ridefinire il matrimonio e la famiglia; non può autorizzare l’aborto, il suicidio e neppure l’eutanasia; deve adeguare la sua dimensione e le sue spese al livello di legittimità della pretesa fiscale che non può superare un certo (minimo) limite, non solo per ovvie ragioni di sviluppo economico, ma anche per il rispetto della libertà individuale e dei corpi sociali.

In altri termini, come la persona e la sua famiglia, e non lo Stato, sono i legittimi titolari dei proventi del proprio lavoro, del proprio ingegno e della propria fortuna, allo stesso modo la vita e il matrimonio sono sottratti ai poteri costitutivi del legislatore, che può solo riconoscere i relativi diritti naturali e proteggerli.

La destra ha trionfato negli States proprio per aver assunto queste posizioni anti-relativiste insieme a un atteggiamento di fermezza contro i nemici degli USA e dell’Occidente: proprio il contrario di un certo irenismo ottimista e dimissionario che sembra caratterizzare la politica del presidente Barack Hussein Obama.

2. Che si sia trattato di un trionfo lo dicono i numeri.

Alla Camera i repubblicani sostenuti dal popolo di destra hanno sottratto 65 seggi su 256 (uno su quattro) ai democratici, e a reggere tra costoro sono stati soprattutto i candidati meno sbilanciati a sinistra.

Al Senato erano in palio 19 seggi democratici: i candidati repubblicani ne hanno conquistati 6 (uno su tre!), confermando i propri. Delle venti cariche di governatore detenute dai democratici, sei sono state portate a casa dai repubblicani, anche in questo caso quasi una su tre.

Considerato il fatto che non tutti i candidati democratici erano progressisti, che non tutti i candidati repubblicani erano indovinati e soprattutto che i senatori eletti – come i deputati, del resto – hanno un fortissimo legame con i loro elettori, sicché spesso durano in carica per decenni, i repubblicani sapevano bene di non poter sperare in una vittoria ancora più ampia.

Ecco perché chi ha provato a ridimensionare il successo elettorale, sottolineando il fatto che i democratici hanno conservato la maggioranza al Senato ha sostenuto una tesi totalmente priva di pregio: per valutare l’effettiva portata del risultato, si provi a pensare in Italia a una forza politica che in un’elezione confermasse i propri e sottraesse all’avversario un senatore su tre!

Non voglio dare i numeri, e quindi tralascio per ora i risultati nei singoli Stati. Dico solo che anch’essi hanno clamorosamente rovesciato i rapporti di forza, o li hanno consolidati a favore dei repubblicani sostenuti dalla destra diffusa.

3. Le elezioni americane del 2010 dimostrano, infine, come un certo radicalismo sui principi non negoziabili e sulla questione della libertà dall’invadenza statale e dalla pressione fiscale non solo non tolgano voti, ma mobilitino militanti ed elettori. E a chi ritiene superate se non dannose le categorie di destra e sinistra – e le loro integrazioni, centrodestra e centrosinistra – non solo la storia sta dando una severa lezione, ma soprattutto va replicato che i significanti hanno fundamentum in re e non sono meramente convenzionali.

Essi corrispondono cioè all’intima natura della realtà umana e della sua libertà, tendente a scelte alternative, drammatiche, ad autentici bivi esistenziali e sociali, tra la mano destra e quella sinistra, che trova riflessi nel lessico («destro», «dritta», «diritto», «right», «recht», «addestrato» etc., e per converso «maldestro», «sinistro», etc.) e persino nelle Sacre Scritture, cui inevitabilmente non possono non corrispondere precisi significati.

Di quanto sintetizzato, naturalmente, non tutto è esportabile, ma nessuno può negare il ruolo di avanguardia degli Stati Uniti almeno da un secolo a questa parte, anche nel male (dal dirigismo socialdemocratico rooseveltiano alla rivoluzione culturale all’insegna di sex, drugs and rock ‘n roll). E più che dai partiti classici , la spinta viene dalle fondazioni culturali e dai movimenti civici e culturali diffusi. Esemplari da questo punto di vista, e stavolta a mio avviso in positivo, tra gli altri sono il movimento pro-life e i recentissimi Tea Party.

Anche qui, non deve mancare il discernimento, perché non tutto è oro quel che riluce, ma è innegabile che il partito repubblicano – cui il PDL tende sempre più a somigliare, oltre le stesse intenzioni, per la forza delle cose – se n’è giovato tanto quanto ha saputo assecondare questa destra «di destra» diffusa, che è stata importantissimo, se non principale, fattore dei suoi successi elettorali.