Il Sinodo al servizio dell’agenda neo-pagana

dal sito Pan Amazon Synod watch

16 Giugno 2019

José Antonio Ureta

Il giornalista Edward Pentin, del National Catholic Register, è stato così gentile da chiedere le mie prime impressioni sull’Instrumentum laboris della prossima Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi pubblicato questo lunedì (17 giugno). Lo faccio con molto piacere come editoriale per questo osservatorio.

A mio parere, l’Instrumentum laboris della prossima Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, reso pubblico questa mattina, rappresenta lo spalancamento totale delle porte del Magistero alla Teologia India e alla Ecoteologia, due derivati latinoamericani della Teologia della Liberazione, i cui corifei, dopo il crollo dell’URSS e il fallimento del “socialismo reale”, attribuirono ai popoli indigeni e alla natura il ruolo storico di forza rivoluzionaria, in chiave marxista.

Come la TL, anche l’Instrumentum laboris basa le sue elucubrazioni, non sulla Rivelazione di Dio contenuta nella Bibbia e nella Tradizione, ma sulla realtà della supposta “oppressione” a cui sarebbe soggetta l’Amazzonia la quale, da semplice area geografica e culturale, passa ad essere “interlocutore privilegiato”, “luogo teologico”, “luogo epifanico” e “fonte della rivelazione di Dio” (n° 2, 18 e 19).

Dal punto di vista teologico, l’Instrumentum laboris non raccomanda soltanto che la Teologia India venga insegnata “in tutte le istituzioni educative” per “una migliore e maggiore comprensione della spiritualità indigena” e di “prendere in considerazione i miti, le tradizioni, i simboli, i saperi, i riti e le celebrazioni originarie” (n° 98), ma, in tutto il documento, ripete tutti i suoi postulati.

Ovvero, che i “semi del Verbo” non solo sono presenti nelle credenze ancestrali dei popoli aborigeni ma che questo seme è “cresciuto e ha dato frutti” (n° 120), per cui la Chiesa, invece della tradizionale evangelizzazione che cerca la conversione, deve limitarsi a “dialogare” con essi giacché “Il soggetto attivo dell’inculturazione sono gli stessi popoli indigeni” (n° 122). In questo dialogo interculturale, la Chiesa deve inoltre arricchirsi con elementi chiaramente pagani e/o panteisti di tali credenze, come “la fede in Dio Padre-Madre Creatore”, i “rapporti con gli antenati”, la “comunione e l’armonia con la terra” (n° 121) e la connessione con “le varie forze spirituali” (n° 13).

Neppure la stregoneria rimane al margine di questo “arricchimento”. Secondo il documento, “La ricchezza della flora e della fauna della foresta contiene vere e proprie ‘farmacopee viventi’ e principi genetici inesplorati” (n° 86). In questo contesto, “I rituali e le cerimonie indigene sono essenziali per la salute integrale perché integrano i diversi cicli della vita umana e della natura. Creano armonia ed equilibrio tra gli esseri umani e il cosmo.

Proteggono la vita dai mali che possono essere causati sia dagli esseri umani che da altri esseri viventi. Aiutano a curare le malattie che danneggiano l’ambiente, la vita umana e altri esseri viventi” (n° 87).

Sul piano ecclesiologico l’Instrumentum laboris è un vero terremoto per la struttura gerarchica che la Chiesa ha per mandato divino. In nome della “incarnazione” nella cultura amazzonica, il documento invita a riconsiderare “l’idea che l’esercizio della giurisdizione (potere di governo) deve essere collegato in tutti gli ambiti (sacramentale, giudiziario, amministrativo) e in modo permanente al Sacramento dell’Ordine” (n° 127).

Risulta inconcepibile che il documento di lavoro del Sinodo possa mettere in discussione una dottrina di fede, come è la distinzione, nella struttura della Chiesa, tra clero e laici, affermata sin dal Primo Concilio di Nicea in poi e basata sulla differenza essenziale tra il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale dei chierici, che ha la sua radice nella successione apostolica ed è dotata di un potere sacro.

In questa diluizione del sacerdozio cattolico, simile in qualcosa a un pastore protestante, si inserisce la chiamata a riconsiderare l’obbligatorietà del celibato (n° 129 § 2) e, peggio ancora, la richiesta di identificare che tipo di “ministero ufficiale” può essere conferito alla donna (§ 3).

Il cardinale Joseph-Albert Malula, dello Zaire, e Mons. Samuel Ruiz della diocesi del Chiapas si saranno rivoltati nelle loro tombe vedendo che i progetti che hanno cercato di realizzare (e che sono stati rapidamente bocciati dal Vaticano) ora vengono proposti da un Sinodo che, secondo i loro organizzatori, ha una certa dimensione universale.

Dal punto di vista ecologico, l’Instrumentum laboris rappresenta l’accettazione da parte della Chiesa della divinizzazione della natura promossa dalle conferenze dell’ONU sull’ambiente. Infatti, già nel 1972, a Stoccolma, nei suoi atti ufficiali si diceva che l’uomo ha amministrato male le risorse naturali principalmente a causa di “una determinata concezione filosofica del mondo”.

Mentre “le teorie panteiste … attribuivano agli esseri viventi una parte della divinità… le scoperte della scienza condussero… a una sorta di desacralizzazione degli esseri naturali”, la quale ribadisce la sua migliore giustificazione “nelle concezioni giudeo-cristiane, secondo cui Dio avrebbe creato l’uomo a sua immagine e gli avrebbe dato la terra per sottometterla”.

Al contrario, diceva l’ONU, le pratiche del culto degli antenati “costituivano un baluardo per l’ambiente, in quanto gli alberi, o i corsi di acqua, erano protetti e venerati come reincarnazione degli antenati” (Aspects éducatifs, sociaux et culturels des problèmes de l’environnement et questions de l’information, ONU, Assemblea Generale, Stoccolma, 5-6 giugno 1972, A/CONF.48.9, p. 8 y 9).

E nel discorso conclusivo di Eco92, a Rio de Janeiro, il Segretario Generale dell’ONU, Boutros Boutros-Ghali, dichiarò che “per gli antichi, il Nilo era un Dio che si venerava, così come il Reno, fonte infinita di miti europei, o la foresta amazzonica, madre di tutte le foreste.

Dappertutto, la natura era l’abitazione delle divinità. Esse conferivano alla selva, al deserto, alla montagna, una personalità che imponeva adorazione e rispetto. La Terra aveva un’anima. Ritrovarla, risuscitarla, tale è l’essenza [della Conferenza Intergovernativa] di Rio” (A/CONF.151/26, vol. IV, p. 76).E questa agenda neo pagana dell’ONU ora è proposta da una Assemblea Sinodale della Chiesa Cattolica!

L’Instrumentum laboris, citando un documento della Bolivia afferma che “la foresta non è una risorsa da sfruttare, è un essere o più esseri con cui relazionarsi” (n° 23) e prosegue affermando che “La vita delle comunità amazzoniche non ancora colpite dall’influenza della civiltà occidentale [sic], si riflette nelle credenze e nei riti in merito all’agire degli spiriti, della divinità – chiamata in tantissimi modi – con e nel territorio, con e in relazione alla natura.

Questa cosmovisione è raccolta nel ‘mantra’ di Francesco: “tutto è collegato” ” (n° 25). Dal punto di vista economico-sociale, l’Instrumentum laboris è un’apologia del comunismo, mascherato da “comunitarismo”. E si tratta della peggiore forma di comunismo, cioè il collettivismo delle piccole comunità. Difatti, secondo il documento, il progetto del “buon vivere” (sumak kawsay) degli aborigeni suppone che “esiste un’intercomunicazione tra tutto il cosmo, dove non esiste chi esclude né chi è escluso”.

La nota esplicativa del vocabolo indigeno rinvia a una dichiarazione di diverse entità indigene, intitolata “Il grido del sumak kawsay in Amazonia”, la quale afferma che detto vocabolo “è una Parola più antica e attuale” (con la P maiuscola nel testo; cioè, una Rivelazione divina) che ci propone “uno stile di vita comunitario con uno stesso SENTIRE, PENSARE e AGIRE” (anche qui le maiuscole sono del testo).

Questa frase ci rammenta la denuncia fatta da  Plinio Corrêa de Oliveira, nel 1976, del tribalismo indigeno come nuova tappa, ancora più radicale, della Rivoluzione anarchica: “Lo strutturalismo vede nella vita tribale una sintesi illusoria tra l’apice della libertà individuale e il collettivismo consentito, in cui quest’ultimo finisce per divorare la libertà.

In tale collettivismo, i vari ‘io’ e le persone individuali, con il loro pensiero, le loro volontà, le loro sensibilità e modi di essere, caratteristici e discrepanti, si fondono e si sciolgono, secondo lo strutturalismo, nella personalità collettiva della tribù generatrice di un pensiero, di un volere, di uno modo di essere densamente comuni”.

Quello che l’Instrumentum laboris propone non è altro che un invito all’umanità a dare l’ultimo passo verso l’abisso finale della Rivoluzione anticristiana: l’anarco-primitivismo di John Zerzan e del terrorista Unabomber.