L’antifascismo spazzatura (1)

da Il Sabato n.43

28 Ottobre 1989

A quasi mezzo secolo dalla caduta del regime, il ventennio resta un tabù. Chi ha ancora paura che si faccia piena luce su quel capitolo di storia?

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Fasci d’insulti

di Antonio Socci

Un passato da anarchico, origini popolari e oggi socialista di ferro. Giampaolo Sodano, direttore di Raidue, non avrebbe mai pensato di diventare un giorno, nel volgere di due minuti, un mostro fascista. E’ capitato invece.

Il 10 ottobre, nella conferenza stampa di presentazione del palinsesto di Raidue, parlando del film Il gioco perverso, ambientato negli anni Trenta, Sodano, conversando con i giornalisti, dice fra l’altro: «Io non ero nato, ma i miei genitori, che ritengo non siano due pazzi, mi hanno parlato del periodo ’35 -’40 come di un periodo felice.

Giampaolo Sodano

C’era il dopolavoro, il primo benessere reale, si faceva molto cinema. Non era un’epoca felice per lo Stato, per il regime, per le istituzioni e le idee, ma per alcuni uomini e donne si». Insomma, quasi un’ovvietà. Considerazioni che si trovano perfino nei libri di Amendola e nelle Lezioni sul fascismo di Togliatti.

Anche Renato Guttuso dichiarava nel marzo ’76 all’Europeo: «la cosa strana è, poi, che le cose migliori che abbiamo prodotto, le cose veramente nostre, le abbiamo fatte sotto il fascismo. Perché sia Vittorini con Conversazioni in Sicilia, sia Luchino Visconti con Ossessione, sia, se permettete, io con la Crocefissione, abbiamo dato il meglio di noi sotto il fascismo».

Ma per quelle parole di Sodano scoppia uno scandalo. Il più imbarazzato è Italo Moscati, lo sceneggiatore del film in questione Il gioco perverso. Moscati ha lavorato con la Cavani, con Montaldo, con Squitieri. C’è la sua firma sotto Il portiere di notte, I cannibali, Al di là del bene e del male. Lui stesso, che si dice «di sinistra», è vicino al Pci.

E’ sconcertato da tanto can can: «Dopo mezzo secolo ormai quelli che non erano ancora nati sono la maggioranza e vogliono capire. Basta con gli schematismi e la propaganda politica. Mi pare abbiamo il diritto di capire com’è stato il fascismo, come si viveva; perché intellettuali di prim’ordine, la quasi totalità, aderirono al fascismo, che tipo di attrattiva ebbe su di loro. Penso ad artisti come Ungaretti, Pirandello, Soffici, Govoni. Intellettuali e opere a cui la sinistra dedica studi».

Eppure negli stessi giorni si accendevano le micce per un’altra sceneggiata. Protagonista stavolta Nicola Tranfaglia, docente di Storia contemporanea a Torino, editorialista de l’Unità e collaboratore alla Repubblica. In una intervista a Panorama Tranfaglia ha messo alla gogna Renzo De Felice, qualificandolo fascista per un libro che, fra l’altro, deve ancora uscire e nessuno ha letto.

Lo scandalo De Felice ha quasi trent’anni. Nel ’61, quando pubblicò la Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, scatenò un putiferio per aver rivelato i trascorsi antisemiti di qualche santone del pensiero liberal. Clamoroso il caso di Leopoldo Piccardi, leader del Partito radicale (fondato tra l’altro da Scalfari), che – fu rivelato – ebbe a che fare con la politica antisemita del regime.

Renzo De Felice

Poi cominciò la pubblicazione di una monumentale biografia di Mussolini che fin dall’inizio polverizzò la storia ufficiale della retorica antifascista. I comunisti gliel’hanno giurata perché è un «rinnegato» uscito dal Pci al tempo dell’Ungheria. E anche perché, si dice, i primi fondi del Cnr per la sua grande ricerca storica, avrebbero avuto anche l’avallo del Pci. Evidentemente si aspettavano un po’ di riconoscenza.

Ora, fra pochi mesi, arriverà in libreria il sesto volume della biografia  del duce, che copre il periodo giugno 1940 – 25 luglio 1943, L’Alleato. Forse per parare il colpo Tranfaglia ha accusato De felice di voler distruggere l’antifascismo, di avere stretto rapporti di «profonda amicizia» con vecchi gerarchi come Grandi e perfino di un uso scorretto dei documenti. Insomma, un concentrato di odio ideologico e invidia accademica.

Piero Melograni, studioso di Storia contemporanea fra i più autorevoli, segnala la differenza con l’analogo linciaggio a cui De Felice fu sottoposto quindici anni fa: «Allora c’era Amendola (che ne prese le difese). Oggi è peggio, sono attacchi sbagliati, suggeriti da preconcetti politici. Forse i comunisti sentono che sta crollando tutto e allora si attaccano almeno alla mitologia. Forse è la paura di fare i conti con la realtà».

Proprio questo è il punto. La storia ufficiale del Ventennio e della guerra è piena di pesanti episodi oscuri. Quali potrebbero essere gli scheletri nell’armadio del Pci? De Felice nell’intervista a La Stampa del 5 settembre (che ha scatenato la nuova guerra) anticipa il capitolo più clamoroso del suo prossimo volume: ci sono documenti che provano che nel ’43 Stalin e Hitler furono ad un soffio dal concludere una nuova alleanza (come quella del ‘39) e che nel ’42 lo stesso Mussolini «cominciò a sperare e adoperarsi per un nuovo accordo fra Hitler e Stalin».

L’enigma più oscuro è probabilmente l’uccisione di Mussolini. Per quarant’anni è stata accettata una versione ufficiale, che faceva acqua da tutte le parti. Poi la verità è cominciata a venire a galla col libro di Bandini Vita e morte segreta di Mussolini. Il nome che ha cominciato a emergere è quello del leader comunista Luigi Longo.

Un’accurata opera di depistaggi e disinformazia allestita dal Pci ha bloccato le ricerche. Senonché attorno all’episodio storico si sono verificate una quantità di «morti sospette», perlopiù di partigiani testimoni dei fatti di Giulino di Mezzegra, quasi sempre uccisi da altri partigiani comunisti.

Giulino di Mezzegra. Luogo di esecuzione del Duce

C’è un episodio chiave nella storia del fascismo, l’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti nel 1924, che determina il naufragio del progetto di Mussolini  di allearsi con i vecchi compagni socialisti e la svolta totalitaria. Mussolini, che poi si assunse tutte le responsabilità politiche del fatto, denunciò subito il delitto come concepito da «una mente diabolica» contro di lui.

Sia Croce, che Turati, che Nenni non cedettero ad un ordine impartito dal duce, ma la versione ufficiale per sessant’anni, restò quella. Una versione di comodo.Poi dal 1986 una serie  di ricerche clamorose di Franco Scalzo pubblica Matteotti, l’altra verità, un’accuratissima ricerca  d’archivio che documenta l’esistenza di un movente affaristico dell’omicidio, dove a tirare le fila si trovano  la corrente massonica del Pnf, petrolieri, faccendieri e servizi segreti stranieri.

Giacomo Matteotti

Quindi il libro del figlio, Matteo Matteotti, Quei vent’anni, con una famosa intervista che chiamò in causa perfino ambienti della monarchia. Infine, nuovi documenti sulla pista affaristica scoperti da Francesco Colucci.

La nuova pista  viene autorevolmente approvata da De Felice, anche con la pubblicazione di nuovi documenti.Ma in due occasioni lancia allusioni a personaggi che sarebbero in possesso di documenti risolutivi, ma hanno «il timore di essere coinvolti».

Nel giugno dello scorso anno, in una conversazione con altri storici, peraltro riportata dall’Avanti!, De Felice racconta di aver scoperto qualcosa di «molto più grosso», di aver avuto documenti scottanti «dalla figlia di un personaggio del tempo», che portano dentro «ben altre persone». Ma anche di non poterli usare per il timore della donna che «vuole morire tranquilla». Di cosa potrebbe trattarsi?

Nel documentatissimo libro di Scalzo emerge, ad esempio, anche uno sconcertante coinvolgimento sovietico nel delitto attraverso l’ambasciata a Roma e il misterioso agente segreto Otto Tierschwakld. Il Partito comunista era il più tenace oppositore del patto d’alleanza fra  Pnf e socialisti.

E’ curioso ricordare peraltro che solo il Pci non partecipò alla rivolta dell’Aventino e che nei giorni di maggiore isolamento del duce per il delitto, nel luglio ’24, l’ambasciatore sovietico a Roma, Jurenev, offrì un clamoroso pranzo all’Ambasciata a Mussolini.C‘è, al proposito, una storia emblematica.

Un italiano, il comunista Nicola Bombacci, si trovava a Pietroburgo, nello studio di Lenin durante l’assedio dei «bianchi» e prepara la fuga di Lenin. Tornato in Italia è lui che impone al Partito socialista il nuovo simbolo del Soviet, falce e martello. Nel 1921 è uno dei fondatori del Partito comunista.

Poi, inspiegabilmente, passa con Mussolini, diventa uno degli stretti collaboratori. Lo segue a Salò e non lo abbandona neanche a Dongo, dove finirà anch’egli fucilato.Pochi mesi prima, con il varo della Repubblica sociale, scrive a Mussolini: «Duce, finalmente adesso possiamo costruire i Soviet». Un pazzo? Ma non era stato Lenin a definire Mussolini «l’unico che può fare la rivoluzione in Italia»

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CASO DE FELICE

Anche Togliatti gli darebbe ragione

di Salvatore Sechi

Gli studi di Storia contemporanea in Italia soffrono del deficit di un preciso statuto scientifico. Sono i dolori del parto, cioè della sua giovane costituzione. L’endemica rissosità nasce dalle divisioni politiche sottese agli stessi temi della ricerca (socialismo, fascismo, comunismo, violenza polivalente eccetera).

Il pericolo denunciato da Ernesto Galli della Loggia sul Mulino è di scadere nella morta gora di una storiografia dell’irrilevanza.Nelle mani degli storici antifascisti il fascismo è diventato il terreno su cui perpetuare, con altri mezzi, la guerra civile degli anni Venti-Quaranta.

Ha così prevalso la volontà del Pci di usare l’apporto dato alla lotta antifascista e alla Costituzione come principale strumento di legittimazione democratica. Renzo De Felice, reduce di un’esperienza nelle file del Pci finita nel 1956 di fronte al massacro del popolo ungherese, col primo tomo della biografia su Mussolini ha provato invece a rileggere la storia del fascismo.

Dal punto di vista dei documenti e non degli accusatori. Ne è emerso un quadro poco in sintonia con le patrie memorie.Il «movimento» e il «regime» non furono solo una reazione di classe, agraria e industriale, né un fenomeno esclusivamente anti-democratico, di rivolta extraparlamentare.

Parlare (come fa la Storia d’Italia edita dalla Nuova Italia a cura di Nicola Tranfaglia) di una rivoluzione preventiva dall’alto della borghesia, unificata dalle camicie nere, per la prima volta nella sua storia, nella forma di un partito unico (il Pnf) significa soverchiare lo svolgimento dei fatti con un paradigma ideologico.

Che il regime mussoliniano abbia saputo combinare il ricorso degli strumenti di prevenzione e di repressione (propri di uno stato totalitario) e quelli del consenso, non estorto forzosamente,  fu del resto proprio Togliatti a documentarlo nelle mirabili (mirabili per un funzionario del Comintern) Lezioni sul fascismo, tenute a Mosca a metà degli anni Trenta.Le tesi di De Felice possono essere contenute (lo hanno fatto Valiani, Vivarelli, Santomassimo, eccetera).

Ma se per contestare De Felice si ricorre al metodo ripugnante della diffamazione, come ha fatto di recente Panorama, bisogna dire che ci troviamo in presenza di teppismo storiografico. E il classico mostro che segue ai sonni della ragione. (continua)

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Bandini: che falsi

Trombadori: quel ‘43