Se Istanbul val bene una moschea…

da Il Populista

2 Aprile 2019

Il voto di domenica nella grandissima metropoli sul Bosforo (conta oltre 15 milioni di abitanti) va visto come una sorta di referendum su Erdogan. Quando ancora non sono stati resi i risultati ufficiali, Istanbul salvo sorprese dell’ultima ora sembra sia passata all’opposizione kemalista. Ormai è chiaro che in Turchia si sta aprendo una nuova pagina di storia

di Giuseppe Brienza

Se ripetiamo ancora sui banchi di scuola la frase attribuita a Enrico IV di Borbone, “Parigi val bene una messa”, forse dopo le elezioni di domenica scorsa in Turchia varrebbe la pena di ricordare anche quella altrettanto ipoteticamente pronunciata da Recep Tayyip Erdogan: “Istanbul val bene una moschea”.

Questa volta pare però che il cinismo non abbia funzionato. Pur avendo infatti promesso pochi giorni fa di ritrasformare la storica Basilica cristiana di Santa Sofia in moschea (ricordiamo che fu costruita nel 537 dall’imperatore bizantino Giustiniano), il dittatore turco ha perso le elezioni amministrative in questa (e altre) città.

Secondo gli ultimi dati diffusi dall’agenzia ufficiale Anadolu dopo lo spoglio del 98% delle schede, il candidato di Erdogan ha raggiunto a Istanbul solo il 48,51% dei consensi, contro il 48,79% dell’opposizione.

Memore del motto “chi vince a Istanbul vince nel Paese”, il presidente si era impegnato in prima persona per la tornata elettorale e, se si considera che gran parte dei media ha tifato smaccatamente per il partito al potere, l’Akp, si capisce allora tutta la portata della sconfitta subita domenica dall’attuale leader filo-islamista.

Il suo “Partito per la Giustizia e lo sviluppo” (Akp), al potere ininterrottamente da 25 anni, sembra ormai stia cedendo il passo all’opposizione del Chp, il “Partito popolare repubblicano”, guidato da Kenal Kiricdaroglu, diretto erede del modernizzante e laicista “padre della Patria” Kemal Atatürk (1881-1938).

Durante gli spogli della nottata di domenica, infatti, il candidato dell’Akp Binali Yildirim, è apparso scuro in volto davanti alle telecamere annunciando la sua improbabile vittoria con un margine di 4 mila voti… Pochi in una città da 15 milioni di abitanti! Il candidato del Chp Ekrem Imamoglu, invece, ha proclamato la sua ben più presumibile affermazione con un margine di 28.000 voti in più, dati sostanzialmente confermato dagli ultimi aggiornamenti elettorali.

Imamoglu ha anche accusato l’agenzia di Stato di aver imposto un poco democratico silenzio stampa sui risultati nella più grande città del Paese, Istanbul appunto. Chissà perché… Ci vorranno ancora alcune ore prima che le autorità annuncino i risultati ufficiali ma l’attuale situazione nella “patria di Erdogan” è segnale sufficiente a far comprendere come l’attuale regime abbia ormai i giorni contati.

La grandissima metropoli sul Bosforo (conta come detto oltre 15 milioni di abitanti) rappresenta la città-simbolo non solo della politica turca ma anche di tutta la carriera politica di Erdogan. Qui il dittatore è nato nel 1954 e qui ha intrapreso la sua ascesa facendosi eleggere sindaco all’età di soli quarant’anni.

All’opposizione, oltre all’incarico di sindaco di Istanbul, sarà probabilmente ufficializzata a breve anche l’affermazione alle municipali di Smirne ed Antalya. Le ragioni del successo del Chp si rinvengono non solo nel fatto di aver proposto volti nuovi come candidati (ad esempio Imamoglu a Istanbul e Tunc Soyer a Smirne), ma anche nell’aver intercettato l’insoddisfazione di molti per il cattivo stato dell’economia nazionale.

La disoccupazione al 12 per cento, l’inflazione sopra al 20 per cento, la lira turca in caduta libera sui mercati valutari, hanno infatti messo in ginocchio fin troppe famiglie ed imprese. A ciò si aggiunga la circostanza, resa poco nota dai media internazionali, dei gravi episodi di violenza che soprattutto nel sud-est del Paese hanno accompagnato il voto.

Gli scontri, che hanno provocato almeno quattro morti e decine di feriti, sono la conseguenza della campagna di Erdogan tutta puntata sull’accusa di “terrorismo” agli avversari e sulla necessaria “sicurezza” da perseguire durante le elezioni. Se sarà mandato a casa crediamo che il tasso di democrazia e libertà nel Paese sia destinato a crescere…