Sulla questione di un papa eretico

da Corrispondenza Romana 21 Marzo 2019

Pubblichiamo una traduzione italiana, autorizzata dall’autore, di un importante studio di S. E. Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana dedicato all’ipotesi del Papa eretico, nella certezza che esso possa arricchire il dibattito e offrire utili elementi di orientamento

Sulla questione di un papa eretico

La questione di come comportarsi con un papa eretico, in termini concreti, non è stata ancora trattata, nell’intera tradizione cattolica, in modo tale da avvicinarsi a qualcosa che assomigli a un vero consenso generale. Finora, né un papa né un Concilio ecumenico hanno formulato dichiarazioni dottrinali rilevanti né hanno emanato norme canoniche vincolanti sull’eventualità di come avere a che fare con un papa eretico durante il mandato del suo ufficio.

Non vi è alcun caso storico di perdita del pontificato da parte di un papa, durante il suo mandato, a causa di eresia o presunta eresia. Papa Onorio I (625-638) fu scomunicato postumo da tre Concili ecumenici (il Terzo Concilio di Costantinopoli del 681, il Secondo Concilio di Nicea del 787 e il Quarto Concilio di Costantinopoli dell’870) poiché sosteneva la dottrina eretica di quanti promuovevano il Monotelismo, contribuendo così a diffondere questa eresia.

Nella lettera con cui confermò i decreti del Terzo Concilio di Costantinopoli, Papa San Leone II (682-683) lanciò l’anatema su Papa Onorio (“anathematizamus Honorium“), affermando che il suo predecessore “non illuminò questa Chiesa apostolica con la dottrina de la tradizione apostolica, ma cercò di sovvertire l’immacolata fede con un empio tradimento” (Denzinger-Schönmetzer, 563).

Il Liber Diurnus Romanorum Pontificum, una raccolta eterogenea di formulari usati nella cancelleria papale fino all’XI secolo, contiene il testo del giuramento papale, secondo il quale ogni nuovo papa, al suo insediamento, doveva giurare di aver “riconosciuto il Sesto Concilio Ecumenico che colpì con eterno anatema i creatori dell’eresia (monotelita), Sergio, Pirro, ecc., insieme con Onorio” (PL 105, 40-44). In alcuni Breviari fino al XVI o XVIII secolo, Papa Onorio fu menzionato come eretico nelle lezioni del Mattutino per il 28 giugno, la festa di San Leone II: “In synodo Constantinopolitano condemnati sunt Sergius, Cyrus, Honorius, Pyrrhus, Paulus et Petrus, nec non et Macarius, cum discipulo suo Stephano, sed et Polychronius et Simon, qui unam voluntatem et operationem in Domnino Jesu Christo dixerunt vel praedicaverunt“.

La presenza di questa lettura in alcuni Breviari lungo molti secoli mostra che molte generazioni di cattolici non hanno considerato scandaloso che un papa particolare, e in un caso molto raro, sia stato giudicato colpevole di eresia o di sostegno all’eresia. In quei tempi, i fedeli e la gerarchia della Chiesa potevano chiaramente distinguere tra l’indistruttibilità della Fede cattolica divinamente garantita dal Magistero della Sede di Pietro e l’infedeltà e il tradimento di un singolo papa nell’esercizio concreto del suo magistero.

Dom John Chapman, nel suo libro “The Condemnation of Pope Honorius” (Londra 1907), spiega che lo stesso Terzo Concilio Ecumenico di Costantinopoli, che lanciò l’anatema su Papa Onorio, determinò una chiara distinzione tra l’errore di un singolo papa e l’inerranza nella fede della Sede Apostolica come tale. Nella lettera con cui chiedevano a papa Agatone (678-681) di approvare le decisioni conciliari, i Padri del Terzo Concilio Ecumenico di Costantinopoli affermano che Roma ha una fede indefettibile, autorevolmente promulgata per tutta la Chiesa dai vescovi della Sede Apostolica, i successori di Pietro.

Ci si può chiedere: come è stato possibile per il Terzo Concilio Ecumenico di Costantinopoli affermare ciò e nello stesso tempo condannare un papa come un eretico? La risposta è abbastanza chiara. Papa Onorio I era fallibile, si sbagliava, era un eretico, proprio perché non aveva ribadito autorevolmente, come avrebbe dovuto, la tradizione petrina della Chiesa romana.

A quella tradizione non aveva fatto appello, ma aveva semplicemente approvato e ampliato una dottrina errata. Ma una volta riprovate dai suoi successori, le parole di papa Onorio I si resero innocue di fronte al dato dell’intransigenza nella fede della Sede Apostolica. Erano ridotte al loro vero valore, ovvero alla mera espressione della sua personale visione.

Papa San Agatone non si lasciò confondere e scuotere dal comportamento deplorevole del suo predecessore Onorio I, che aveva contribuito a diffondere l’eresia, ma mantenne la sua visione soprannaturale sull’inerranza della Sede di Pietro nell’insegnare la fede, come scrisse agli imperatori a Costantinopoli: “Questa è la regola della vera fede, che questa madre spirituale del tuo molto pacifico impero, la Chiesa Apostolica di Cristo (la sede di Roma) ha sempre sostenuta e difesa con energia sia nella prosperità che nell’avversità; che, sarà dimostrato, per grazia di Dio Onnipotente, non ha mai deviato dal sentiero della tradizione apostolica, né è stata depravata cedendo alle innovazioni eretiche, ma fin dall’inizio ha ricevuto la fede cristiana dai suoi fondatori, i principi degli Apostoli di Cristo, e rimane incontaminata fino alla fine, secondo la promessa divina dello stesso Signore Salvatore, che egli annunciò nei santi Vangeli al principe dei suoi discepoli dicendo: “Simone, Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Ep. “Consideranti mihi” ad Imperatores).

Dom Prosper Guéranger diede una breve e lucida spiegazione teologica e spirituale di questo caso concreto di un papa eretico, dicendo: “Ma quale tattica in questa campagna di Satana! Quale plauso nell’abisso allorché un giorno il rappresentante [Papa Onorio I] di Colui che é la luce apparve complice delle potenze delle tenebre per recare la notte! Previeni, o Leone, il ripetersi di situazioni così penose!” (L’Anno Liturgico, Alba (Cuneo) 1956, vol. 2, pag. 828).

Vi è, inoltre, il fatto che durante duemila anni non vi è mai stato un caso in cui un papa durante il mandato del suo ufficio sia stato dichiarato deposto a causa del reato di eresia. Papa Onorio I fu anatemizzato solo dopo la sua morte. L’ultimo caso di un papa eretico o semieretico fu il caso di Papa Giovanni XXII (1316-1334), secondo cui i santi avrebbero goduto della visione beatifica solo dopo il Giudizio Universale, nella seconda venuta di Cristo.

La questione delle teorie papali erronee venne così affrontata: ci furono ammonizioni pubbliche (dell’Università di Parigi e di Re Filippo VI di Francia) e una confutazione diffuse attraverso diverse pubblicazioni teologiche e una correzione fraterna da parte del Cardinale Jacques Fournier, che poi succedette a Giovanni XXII con il nome di Papa Benedetto XII (1334-1342).

La Chiesa, nei rarissimi casi concreti di un pontefice che commette gravi errori teologici o eresie, potrebbe sicuramente continuare a vivere. La pratica della Chiesa fino ad ora è stata quella di lasciare il giudizio finale su un papa eretico regnante ai suoi successori o ad un futuro Concilio ecumenico, come nel caso di Papa Onorio I.

Lo stesso sarebbe probabilmente accaduto con Papa Giovanni XXII, se non avesse ritrattato il suo errore. I pontefici furono deposti diverse volte da poteri secolari o da gruppi criminali. Ciò avvenne specialmente durante il “saeculum obscurum”, il cosiddetto secolo buio (X e XI secolo), quando gli imperatori tedeschi deposero diversi papi indegni, non a causa della loro eresia, ma per la loro scandalosa vita immorale e per il loro abuso di potere.

Tuttavia, non furono mai deposti secondo una procedura canonica, poiché ciò è impossibile a causa della struttura divina della Chiesa. Il papa ottiene la sua autorità direttamente da Dio e non dalla Chiesa; perciò la Chiesa non può deporlo, per nessuna ragione. È un dogma di fede che il papa non possa proclamare un’eresia quando insegna ex cathedra. Questa è la garanzia divina che le porte dell’inferno non prevarranno contro la cathedra veritatis, che è la Sede Apostolica dell’apostolo San Pietro.

Dom John Chapman, esperto sulla storia della condanna di papa Onorio I, scrive: “L’infallibilità è, per così dire, il vertice di una piramide. Più solenni sono le espressioni della Sede Apostolica, più possiamo essere certi della loro verità. Quando raggiungono il massimo della solennità, cioè quando sono rigorosamente ex cathedra, la possibilità di errore viene completamente eliminata.

L’autorità di un papa, anche in quelle occasioni in cui non è effettivamente infallibile, deve essere implicitamente seguita e riverita. Che possa essere dalla parte sbagliata è una contingenza che la storia e la fede mostrano come possibile” (The Condemnation of Pope Honorius, London 1907, pag. 109). Se un papa diffonde errori dottrinali o eresie, la struttura divina della Chiesa fornisce già un antidoto: la supplenza ministeriale dei rappresentanti dell’episcopato e l’invincibile sensus fidei dei fedeli. In questa materia il fattore numerico non è decisivo.

È sufficiente avere anche solo un paio di vescovi che proclamino l’integrità della fede e correggano in tal modo gli errori di un papa eretico. È sufficiente che i vescovi istruiscano e proteggano il loro gregge dagli errori di un papa eretico e che i loro sacerdoti e i genitori delle famiglie cattoliche facciano lo stesso. Inoltre, poiché la Chiesa è anche una realtà soprannaturale, un mistero, un unico organismo soprannaturale, ovvero il Corpo mistico di Cristo, i vescovi, i sacerdoti e i fedeli laici – oltre a correzioni, appelli, professioni di fede e resistenza pubblica – devono necessariamente compiere anche atti di riparazione e di espiazione alla Divina Maestà per le eresie di un papa.

Secondo la Costituzione dogmatica Lumen gentium(cfr 12) del Concilio Vaticano II, l’intero corpo dei fedeli non può errare nella fede, quando dai vescovi fino all’ultimo fedele laico, mostrano un consenso universale in questioni di fede e morale. Anche se un papa sta diffondendo errori teologici ed eresie, la Fede della Chiesa nel suo complesso rimarrà intatta a causa della promessa di Cristo circa l’assistenza speciale e la presenza permanente dello Spirito Santo, lo Spirito della verità, nella sua Chiesa (cfr Gv 14,17; 1 Gv 2,27).

Quando, per un imperscrutabile permesso di Dio, in un certo momento della storia e in un caso molto raro, un papa diffonde errori ed eresie attraverso il suo magistero quotidiano o non infallibile, la Divina Provvidenza risveglia allo stesso tempo la testimonianza di alcuni membri del collegio episcopale e anche i fedeli, per compensare i fallimenti temporanei del Magistero pontificio. Si deve dire che una tale situazione è molto rara, ma non impossibile, come dimostra la storia della Chiesa.

La Chiesa è davvero un unico corpo organico, e quando c’è una infermità o una mancanza nella testa (il papa), il resto del corpo (i fedeli) o parti eminenti dello stesso (i vescovi) suppliscono i temporanei errori papali. Uno degli esempi più famosi e tragici di una simile situazione si verificò durante la crisi ariana del IV secolo, quando la purezza della fede fu mantenuta non tanto dall’ecclesia docens(papa ed episcopato) ma dall’ecclesia docta (fedeli), come ha affermato il beato John Henry Newman.

La teoria o l’opinione della perdita dell’ufficio papale per deposizione o ipso factoimplicitamente identifica il papa con tutta la Chiesa o manifesta l’atteggiamento malsano di un “centrismo papale”, in ultima analisi, della papolatria. I sostenitori di tale opinione (specialmente alcuni santi) manifestavano un esagerato ultramontanismo o “centrismo papale”, rendendo il pontefice una sorta di semi-dio, che non può commettere errori, nemmeno in materie fuori dell’oggetto dell’infallibilità papale.

Quindi, un papa che commette errori dottrinali – il che include teoreticamente e logicamente anche la possibilità di commettere l’errore dottrinale più grave, ovvero un’eresia – è per i seguaci di questa opinione (cioè la deposizione di un papa e la perdita del suo ufficio a causa dell’eresia) insopportabile o impensabile, anche se si tratta di temi estranei all’infallibilità papale.

La teoria o l’opinione teologica secondo la quale un papa eretico può essere deposto o perdere l’ufficio era estranea al primo millennio. Ha avuto origine solo nell’alto medioevo, in un periodo in cui il papo-centrismo arrivò a un certo apice, quando inconsapevolmente il papa fu identificato con la Chiesa in quanto tale.

Ciò presagiva già, nella sua radice, l’atteggiamento mondano di un principe assolutista secondo il motto: “L’État, c’est moi!” o, in termini ecclesiastici: “Io sono la Chiesa!”. L’opinione che sostiene che un papa eretico perde il suo ufficio ipso facto, è diventata comune a partire dall’alto Medioevo fino al XX secolo.

Rimane un’opinione teologica e non un insegnamento della Chiesa e quindi non può rivendicare il titolo di un costante e perenne insegnamento della Chiesa in quanto tale, poiché nessun Concilio ecumenico e nessun papa hanno sostenuto esplicitamente tale opinione.

La Chiesa, tuttavia, condannò un papa eretico, ma solo dopo la morte e non durante il mandato del suo ufficio. Anche se alcuni santi Dottori della Chiesa (ad esempio S. Roberto Bellarmino e S. Francesco di Sales) sostengono una tale opinione, essa non prova la sua certezza o un consenso dottrinale generale.

Si sa che anche i Dottori della Chiesa hanno errato; questo è il caso di San Tommaso d’Aquino sulla questione dell’Immacolata Concezione, sulla questione della materia del sacramento dell’Ordine o sul carattere sacramentale dell’ordinazione episcopale. C’è stato un periodo nella Chiesa in cui si aveva, per esempio, un’opinione teologica comune oggettivamente sbagliata secondo la quale la consegna degli strumenti era materia del sacramento dell’Ordine; un’opinione, tuttavia, che non poteva invocare antichità né universalità, anche se fu per un tempo limitato supportata da un papa (dal decreto di Eugenio IV) o da libri liturgici (anche se per un breve periodo).

Questa opinione comune fu tuttavia corretta da Pio XII nel 1947. La teoria – di deporre un papa eretico o della perdita del suo ufficio ipso facto a causa dell’eresia – è solo un’opinione, che non soddisfa le necessarie categorie teologiche dell’antichità, dell’universalità e del consenso (semper, ubique, ab omnibus).

Non ci sono state dichiarazioni del Magistero ordinario universale o del Magistero pontificio che avrebbero sostenuto le teorie della deposizione di un papa eretico o della perdita del suo ufficio ipso facto a causa dell’eresia. Secondo una tradizione canonica medievale, poi raccolta nel Corpus Iuris Canonici (la legge canonica valida nella Chiesa latina fino al 1918), un papa potrebbe essere giudicato in caso di eresia: “Papa a nemine est iudicandus, nisi deprehendatur a fide devius“, cioè “il papa non può essere giudicato da nessuno, a meno che non sia stato trovato deviante dalla fede” (Decretum Gratiani, Prima Pars, dist. 40, c. 6, 3. pars).

Il Codice di Diritto Canonico del 1917 tuttavia, eliminò la norma del Corpus Iuris Canonici, che parlava di un papa eretico. E nemmeno il Codice di Diritto Canonico del 1983 prevede tale norma. La Chiesa ha sempre insegnato che anche una persona eretica, automaticamente scomunicata a causa dell’eresia formale, può tuttavia amministrare validamente i sacramenti e che un prete eretico o scomunicato può in un caso estremo esercitare anche un atto di giurisdizione impartendo a un penitente l’assoluzione sacramentale.

Le norme dell’elezione papale, valide fino a Paolo VI incluso, ammettevano che anche un cardinale scomunicato poteva partecipare all’elezione ed essere eletto papa: “Nessun Cardinale elettore potrà essere escluso dall’elezione, attiva e passiva, del Sommo Pontefice, a causa o col pretesto di qualunque scomunica, sospensione, interdetto o di altro impedimento ecclesiastico; queste censure dovranno ritenersi sospese soltanto agli effetti di tale elezione” (Paolo VI, Costituzione Apostolica Romano Pontifice eligendo, 35).

Questo principio teologico deve essere applicato anche al caso di un vescovo eretico o di un papa eretico, che nonostante le loro eresie possono validamente compiere atti di giurisdizione ecclesiastica e quindi non perdere ipso facto l’ufficio a causa dell’eresia.

La teoria o opinione teologica che consente la deposizione di un papa eretico o la perdita del suo ufficio ipso facto a causa dell’eresia è in pratica inattuabile. Se fosse applicata nella pratica, creerebbe una situazione simile a quella del Grande Scisma, che la Chiesa già sperimentò disastrosamente alla fine del XIV e all’inizio del XV secolo. Infatti, ci sarà sempre una parte del collegio cardinalizio e una parte considerevole dell’episcopato mondiale e anche dei fedeli che non saranno d’accordo nel considerare un concreto errore papale (errori) come eresia formale (eresie), e di conseguenza continueranno a considerare il papa regnante come l’unico papa legittimo.

Uno scisma formale, con due o più pretendenti al trono pontificio – che sarà una conseguenza inevitabile anche di una deposizione canonica di un papa – causerà necessariamente più danni alla Chiesa nel suo complesso che un periodo relativamente breve e molto raro in cui un papa diffonde errori dottrinali o eresie.

La situazione di un papa eretico sarà sempre relativamente breve rispetto ai duemila anni di esistenza della Chiesa. In questo caso raro e delicato bisogna lasciare spazio a un intervento della Divina Provvidenza. Il tentativo di deporre un papa eretico ad ogni costo è segno di un comportamento troppo umano, che alla fine riflette una riluttanza a sopportare la croce temporale di un pontefice eretico.

Forse riflette anche l’emozione troppo umana della stizza. In ogni caso, offrirà una soluzione eccessivamente umana e, in quanto tale, in qualche modo simile al comportamento nella politica. La Chiesa e il Papato sono realtà non puramente umane, ma anche divine. La croce di un papa eretico – anche quando è di durata limitata – è la più grande croce immaginabile per tutta la Chiesa.

Un altro errore nell’intenzione o nel tentativo di deporre un papa eretico consiste nell’identificazione indiretta o subconscia della Chiesa con il papa o nel fare del papa il punto focale della vita quotidiana della Chiesa. Ciò significa in definitiva e subconsciamente un cedimento a un ultramontanismo malsano, al papo-centrismo e alla papolatria, cioè un culto della personalità papale.

Ci sono stati effettivamente periodi nella storia della Chiesa quando, per un tempo considerevole, la Sede di Pietro rimase vacante. Ad esempio dal 29 novembre 1268 al 1° settembre 1271, non ci fu nessun papa e nemmeno alcun anti-papa. Pertanto, i cattolici non dovrebbero rendere il pontefice, le sue parole e le sue azioni il proprio punto focale quotidiano. Si può diseredare i figli di una famiglia.

Tuttavia non si può diseredare il padre di una famiglia, per quanto sia colpevole o si comporti mostruosamente. Questa è la legge della gerarchia che Dio ha stabilito anche nella creazione. Lo stesso vale per il papa, che durante il suo mandato è il padre spirituale dell’intera famiglia di Cristo sulla terra. Nel caso di un padre criminale o mostruoso, i bambini devono ritirarsi da lui o evitarne il contatto.

Tuttavia, non possono dire: “eleggeremo un nuovo e buon padre per la nostra famiglia”. Sarebbe contrario al buon senso e alla natura. Lo stesso principio dovrebbe essere applicabile quindi alla questione del deporre un papa eretico. Il papa non può essere deposto da nessuno; solo Dio può intervenire e lo farà a suo tempo, poiché Egli non sbaglia nella sua provvidenza (“Deus in sua dispositione non fallitur“).

Durante il Concilio Vaticano I, Mons. Zinelli, Relatore della commissione conciliare sulla Fede, parlò in questi termini della possibilità di un papa eretico: “Se Dio permette un male così grande (cioè un papa eretico), i mezzi per porre rimedio a tale la situazione non mancheranno” (Mansi 52, 1109). La deposizione di un pontefice eretico finirebbe per favorire l’eresia del conciliarismo, del sedevacantismo e un atteggiamento mentale simile a quello di una comunità puramente umana o politica.

Promuoverebbe anche una mentalità simile al separatismo del mondo protestante o all’autocefalismo nella comunità delle chiese ortodosse. La teoria o opinione che permette la deposizione e la perdita dell’ufficio si rivela inoltre essere nelle sue radici più profonde – sebbene inconsciamente – anche una sorta di “donatismo” applicato al ministero papale. La teoria donatista identificava i sacri ministri (sacerdoti e vescovi) quasi con la santità morale di Cristo stesso, richiedendo quindi per la validità del loro ufficio l’assenza di errori morali o di cattiva condotta nella loro vita pubblica.

In un modo simile, la suddetta teoria esclude la possibilità che un papa possa commettere errori dottrinali, cioè eresie, dichiarando per questo stesso fatto il suo ufficio invalido o vacante, proprio come fecero i donatisti, che dichiaravano l’ufficio sacerdotale o episcopale invalido o vacante a causa di errori nella vita morale. Si può immaginare che in futuro l’autorità suprema della Chiesa (il Papa o il Concilio ecumenico) potrebbe stabilire le seguenti o simili norme canoniche vincolanti per il caso di un papa eretico o manifestamente eterodosso:

  • Un papa non può essere deposto in nessuna forma e per nessun motivo, neppure per ragioni di eresia.
  • Ogni nuovo papa eletto che prende possesso del suo ufficio è obbligato, in virtù del suo ministero di maestro supremo della Chiesa, a prestare il giuramento di proteggere l’intero gregge di Cristo dai pericoli delle eresie e di evitare nelle sue parole e azioni ogni apparenza di eresia, nel rispetto del suo dovere di rafforzare nella fede tutti i pastori e i fedeli.
  • Un papa che diffonde evidenti errori teologici o eresie o contribuisca alla loro diffusione con le sue azioni e omissioni dovrebbe essere debitamente corretto in una forma fraterna e privata dal Decano del Collegio cardinalizio.
  • Dopo le correzioni private infruttuose, il Decano del Collegio dei Cardinali è tenuto a rendere pubblica la sua correzione.
  • Insieme alla correzione pubblica, il Decano del Collegio cardinalizio deve fare un appello alla preghiera per il papa affinché possa riacquistare la forza per confermare in modo inequivocabile l’intera Chiesa nella Fede.
  • Allo stesso tempo il Decano del Collegio dei Cardinali dovrebbe pubblicare una formula di Professione di Fede, in cui verrebbero respinti gli errori teologici che il Papa insegna o tollera (senza necessariamente nominare il Papa).
  • Se il Decano del Collegio dei Cardinali dovesse omettere o non fare la correzione, l’appello alla preghiera e la pubblicazione di una Professione di Fede, ogni cardinale, vescovo o un gruppo di vescovi dovrebbe farlo e, se anche i cardinali e i vescovi omettono o non riescono a farla, qualsiasi membro dei fedeli cattolici o qualsiasi gruppo di fedeli cattolici dovrebbe farlo.
  • Il Decano del Collegio cardinalizio o un cardinale, o un vescovo o un gruppo di vescovi, o un fedele cattolico o un gruppo di fedeli cattolici che hanno fatto la correzione, appello alla preghiera, e la pubblicazione della Professione di Fede non possono essere sottoposti a sanzioni canoniche o accusati di mancanza di rispetto verso il papa per questo motivo.

Nel caso estremamente raro di un papa eretico, la situazione spirituale della Chiesa può essere descritta con le parole usate da Papa San Gregorio Magno (590-604), che parlava della Chiesa del suo tempo come di “una vecchia nave tristemente danneggiata; perché le acque stanno entrando da tutte le parti, e le giunture, colpite dalle scosse quotidiane della tempesta, stanno diventando marce e preannunciano il naufragio” (Registrum I, 4, Ep. ad Ioannem episcopum Constantinopolitanum).

Gli episodi evangelici di Nostro Signore che calma il mare tempestoso e salva Pietro, che stava affondando nell’acqua, ci insegnano che anche nella situazione più drammatica e umanamente disperata di un papa eretico, tutti i Pastori della Chiesa e i fedeli dovrebbero credere e confidare che Dio, nella Sua Provvidenza, interverrà e Cristo calmerà la furiosa tempesta e restituirà ai successori di Pietro, suoi Vicari sulla terra, la forza di confermare tutti i Pastori e fedeli nella Fede cattolica e apostolica.

Papa San Agatone (678-681), che ebbe il difficile compito di limitare il danno causato da papa Onorio I all’integrità della Fede, lasciò parole vivide in un ardente appello a ciascun successore di Pietro, che deve essere sempre consapevole del suo grave dovere di custodire intatta la purezza verginale del Deposito della Fede: “Guai a me se trascuro di predicare la verità del mio Signore, che ha sinceramente predicato.

Guai a me, se copro con il silenzio la verità che sono tenuto a dare al mio gregge, cioè di insegnare e convincere il popolo cristiano. Che cosa dirò nel futuro giudizio di Cristo stesso, se arrossisco – Dio non lo voglia! – nel predicare qui la verità delle sue parole? Quale soddisfazione potrò dare per me stesso, circa le anime che mi sono state affidate, quando Egli chiederà un rigido resoconto dell’ufficio che ho ricevuto? “(Ep. “Consideranti mihi” ad Imperatores).

Quando il primo Papa, San Pietro, si trovava materialmente in catene, tutta la Chiesa implorò la sua liberazione: “Pietro dunque era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui” (Atti 12,5). Quando un papa diffonde errori o persino eresie, è in catene spirituali o in una prigione spirituale. Pertanto, l’intera Chiesa deve pregare senza sosta per la sua liberazione da questa prigione spirituale.

L’intera Chiesa deve avere una perseveranza soprannaturale in tale preghiera e una fiducia soprannaturale nel fatto che in fondo è Dio che governa la Sua Chiesa e non il Papa. Quando papa Onorio I (625-638) adottò un atteggiamento ambiguo sulla diffusione della nuova eresia monotelita, san Sofronio, Patriarca di Gerusalemme, mandò un vescovo dalla Palestina a Roma, dicendogli: “Vai alla Sede Apostolica, dove sono le fondamenta della santa dottrina, e non cessare di pregare finché la Sede Apostolica non condanni la nuova eresia”.

Nel trattare il tragico caso di un pontefice eretico, tutti i membri della Chiesa, a cominciare dai vescovi, fino ai semplici fedeli, devono usare tutti i mezzi legittimi, come le correzioni private e pubbliche al papa errante, costanti e ardenti preghiere e professioni pubbliche della verità, affinché la Sede Apostolica possa di nuovo professare con chiarezza le verità divine, che il Signore ha affidato a Pietro e a tutti i suoi successori.

“Lo Spirito Santo infatti, non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede” (Primo Concilio Vaticano, Costituzione dogmatica Pastor aeternus, cap. 4)

Ogni Papa e tutti i membri della Chiesa devono ricordare le parole sagge e senza tempo che il Concilio Ecumenico di Costanza (1414-1418) ha pronunciato sul Papa, visto come la prima persona nella Chiesa ad essere vincolata dalla Fede, di cui deve scrupolosamente custodirne l’integrità: “Poiché il Romano Pontefice esercita un così grande potere tra i mortali, è giusto che sia sempre più legato dai vincoli incontrovertibili della fede e dai riti che devono essere osservati riguardo ai sacramenti della Chiesa.

Perciò decretiamo e ordiniamo, affinché la pienezza della fede possa risplendere in un futuro Romano Pontefice con singolare splendore fin dal primo momento del divenire papa, che da quel momento in poi chi sarà eletto Romano Pontefice farà la seguente confessione e professione pubblica” (Trentanovesima sessione del 9 ottobre 1417, ratificata da papa Martino V).

Nella stessa sessione, il Concilio di Costanza decretò che ogni nuovo papa eletto dovesse fare un giuramento di fede, proponendo la seguente formula, di cui citiamo i passaggi più cruciali: “Io, N., papa eletto, con cuore e bocca confesso e professo a Dio onnipotente, che crederò fermamente e conserverò la Fede Cattolica secondo le tradizioni degli Apostoli, dei Concili Generali e degli altri Santi Padri.

Conserverò questa fede immutata fino all’ultimo punto e confermerò, difenderò e predicherò fino alla morte e allo spargimento del mio sangue, e allo stesso modo seguirò e osserverò in ogni modo il rito tramandato dei sacramenti ecclesiastici della Chiesa Cattolica”.

Quanto sarebbe urgente mettere in pratica un simile giuramento del papa, soprattutto ai nostri giorni! Il pontefice non è un monarca assoluto, che possa fare e dire ciò che gli piace, che possa cambiare la dottrina o la liturgia a sua discrezione.

Sfortunatamente, nei secoli passati – contrariamente alla tradizione apostolica dei tempi antichi – il comportamento dei papi come monarchi assoluti o semi-divinità divenne comunemente accettato nella misura in cui influenzava le visioni teologiche e spirituali della maggioranza dei vescovi e dei fedeli, e specialmente della pia gente.

Il fatto che il papa debba essere il primo nella Chiesa a dover evitare novità, obbedendo in modo esemplare alla tradizione della Fede e della Liturgia, a volte è stato dimenticato nella coscienza dei vescovi e dei fedeli da una cieca e pia accettazione di un assolutismo papale.

Il giuramento pontificio del Liber Diurnus Romanorum Pontificum considerava come obbligo principale e qualità più distinta di un nuovo papa, la sua incrollabile fedeltà alla Tradizione, così come gli è stata tramandata da tutti i suoi predecessori: “Nihil de traditione, quod a probatissimis praedecessoribus meis servatum reperi, diminuere vel mutare, aut aliquam novitatem admittere; sed ferventer, ut vere eorum discipulus et sequipeda, totis viribus meis conatibusque tradita conservare ac venerari” (“Non cambierò nulla della Tradizione ricevuta, e nulla di ciò che ho trovato prima di me custodito dai miei venerandi predecessori, né intaccherò, altererò, o permetterò qualsiasi innovazione in essa; anzi riverentemente la salvaguarderò con ardente affetto come un vero e fedele discepolo, trasmettendola con tutta la mia forza e il massimo sforzo”).

Lo stesso giuramento papale ha definito, in termini concreti, la fedeltà alla lex credendi (la regola della fede) e alla lex orandi (la regola della preghiera). Per quanto riguarda la lex credendi (la regola della fede), il testo del giuramento dice: “Verae fidei rectitudinem, quam Christo autore tradente, per successori tuos atque discipulos, usque ad exiguitatem meam perlatam, in tua sancta Ecclesia reperi, totis conatibus meis, usico ad animam et sanguinem custodire, temporumque difficultates, cum tuo adjutorio, toleranter sufferre” (“Prometto di mantenere con tutte le mie forze, fino alla morte e allo spargimento del mio sangue, l’integrità della vera fede, il cui autore è Cristo, e che, attraverso i suoi successori e discepoli, è stata trasmessa alla mia umile persone e che io ho trovato nella Sua Chiesa. Prometto anche di sopportare con pazienza le difficoltà dei tempi”).

Per quanto riguarda la lex orandi, il giuramento del Papa afferma: “Disciplinam et ritum Ecclesiae, sicut inveni, et a sanctis praecessoribus meis traditum reperi, illibatum custodire” (“Prometto di mantenere inviolata la disciplina e la liturgia della Chiesa come le ho trovate e come sono state trasmesse dai miei santi predecessori”).

Negli ultimi cento anni, ci sono stati alcuni esempi spettacolari di un assolutismo papale. Quando consideriamo la lex orandi, furono drastici e radicali i cambiamenti operati dai Papi Pio X, Pio XII e Paolo VI e, riguardo alla lex credendi, da Papa Francesco. Pio X divenne il primo papa nella storia della Chiesa latina a compiere una riforma tanto radicale dell’ordine della salmodia (cursus psalmorum), che portò alla creazione di una forma di un nuovo Ufficio Divino riguardo alla distribuzione dei salmi. Poi ci fu Papa Pio XII, che approvò per l’uso liturgico una versione latina radicalmente modificata del millenario e melodioso testo del Salterio della Vulgata.

La nuova traduzione latina, il cosiddetto “Salterio Piano”, era un testo fabbricato artificialmente dagli accademici ed era, nella sua ricercatezza, difficilmente pronunciabile. Questa nuova traduzione latina, giustamente criticata con il proverbio “accessit latinitas, recessit pietas“, venne di fatto respinta da tutta la Chiesa sotto il pontificato di Papa Giovanni XXIII.

Papa Pio XII cambiò anche la liturgia della Settimana Santa, un tesoro liturgico millenario della Chiesa, introducendo rituali inventati parzialmente ex novo. Un cambiamento liturgico, tuttavia, fu eseguito da Papa Paolo VI con una riforma rivoluzionaria del rito della Messa e degli altri sacramenti, una riforma liturgica, che nessun papa prima ha osato eseguire con tale radicalità.

Un cambiamento teologicamente rivoluzionario è stato fatto da Papa Francesco in quanto egli approvò le norme in alcune chiese locali che prevedano di ammettere alla Sacra Comunione in casi singolari e eccezionali adulteri sessualmente attivi (che convivono nelle cosiddette “unioni irregolari”). Anche se queste norme locali non rappresentano una norma generale nella Chiesa, tuttavia costituiscono una negazione pratica della verità dell’assoluta indissolubilità del matrimonio sacramentale rato e consumato.

Altro cambiamento radicale nelle questioni dottrinali è la modifica della dottrina biblica e del Magistero bimillenario della Chiesa riguardo alla legittimità in via di principio della pena di morte. Un successivo mutamento dottrinale è stata l’approvazione di Papa Francesco della frase contenuta nel documento interreligioso di Abu Dhabi del 4 febbraio 2019, secondo cui, la diversità dei sessi e delle razze insieme con la diversità delle religioni corrisponde alla sapiente volontà di Dio.

Questa formulazione in quanto tale richiede una correzione papale ufficiale, altrimenti costituirebbe una evidente contraddizione del Primo Comandamento del Decalogo e dell’inequivoco ed esplicito insegnamento di Nostro Signore Gesù Cristo, dunque, costituirebbe in ultima istanza una contraddizione della Rivelazione Divina.

Su questo sfondo si staglia e fa riflettere un fatto impressionante della vita di Papa Pio IX: di fronte alla richiesta di un gruppo di vescovi di introdurre un piccolo cambiamento nel Canone della Messa per inserirvi il nome di San Giuseppe, rispose: “Non posso farlo. Io sono solo il Papa!”.

La seguente preghiera di Dom Prosper Guéranger, in cui elogia Papa San Leone II per la sua strenua difesa dell’integrità della Fede all’indomani della crisi causata da Papa Onorio I, dovrebbe essere pregata assiduamente da ogni papa e da tutti i fedeli, specialmente nel nostro tempo: “San Leone, mantieni il pastore al disopra della zona delle maleiche brume che si levano dalla terra; conserva nel gregge quella preghiera che deve salire continuamente a Dio per lui dalla Chiesa (Atti 12, 5): e Pietro, fosse anche sepolto nel profondo delle più oscure prigioni, non cesserà di contemplare il puro splendore del Sole di giustizia; e l’intero corpo della santa Chiesa si troverà nella luce. Il corpo infatti – dice Gesù – è rischiarato dall’occhio: se l’occhio è semplice, tutto il corpo risplende (Mt. 6, 22).

Ammaestrati da te sul valore del beneficio che il Signore ha elargito al mondo quando lo stabilì sull’ insegnamento infallibile dei successori di Pietro, conosciamo ora la forza della roccia che sostiene la Chiesa; sappiamo che le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa (ibid. 16, 18). Mai infatti lo sforzo di quelle potenze dell’abisso andò tanto oltre come nella funesta crisi [di Papa Onorio] alla quale tu ponesti termine.

Del resto, il loro successo, per quanto doloroso, non andava contro le promesse divine: non già al silenzio di Pietro [di Papa Onorio e al suo sostegno all’eresia], ma al suo insegnamento é stata promessa l’immancabile assistenza dello Spirito di verità” (L’Anno liturgico, Alba (Cuneo) 1956, vol. 2, p. 829).

Il caso estremamente raro di un papa eretico o semi-eretico deve alla fine essere sopportato e sofferto alla luce della fede nel carattere divino e nell’indistruttibilità della Chiesa e dell’ufficio petrino. Papa San Leone Magno formulò questa verità, affermando che la dignità di San Pietro non si attenua nei suoi successori, per quanto indegni possano essere: “Cuius dignitas etiam in indigno haerede non deficit” (Serm. 3, 4). Potrebbe verificarsi la situazione davvero stravagante di un papa che pratica abusi sessuali su minori o subordinati in Vaticano.

Cosa dovrebbe fare la Chiesa in questa circostanza? La Chiesa dovrebbe tollerare un pontefice predatore sessuale di minori o subordinati? Per quanto tempo la Chiesa dovrebbe tollerare un tale papa? Dovrebbe perdere il papato ipso facto a causa di tali abusi? In tale situazione potrebbe sorgere una nuova teoria o opinione canonica o teologica che consenta la deposizione di un papa e la perdita del suo ufficio a causa di mostruosi crimini morali (ad esempio i suddetti abusi sessuali su minori e subordinati).

Tale opinione sarebbe analoga al parere che ritiene possibile la deposizione di un papa e la perdita del suo ufficio a causa dell’eresia. Tuttavia, una tale nuova teoria o opinione (deposizione di un papa e la perdita del suo ufficio a causa di mostruosi reati sessuali) non corrisponderebbe sicuramente alla perenne mente e pratica della Chiesa.

La tolleranza di un papa eretico come una croce non significa passività o approvazione della sua condotta erronea. Si dovrebbe fare tutto il possibile per rimediare a tale situazione. Sopportare la croce di un papa eretico, in nessun caso significa acconsentire alle sue eresie o essere passivo.

Proprio come la gente deve sopportare, per esempio, un regime iniquo o ateo come una croce (molti cattolici hanno vissuto sotto un tale regime in Unione Sovietica, sopportando questa situazione come una croce, in spirito di espiazione), o come i genitori debbono portare la croce di un figlio adulto, divenuto un miscredente o immorale, o come i membri di una famiglia devono portare come una croce per esempio un padre alcolizzato.

I genitori non possono “deporre” il figlio errante dall’appartenenza alla famiglia, così come i bambini non possono “deporre” il padre in errore dall’appartenenza alla famiglia o dal titolo di “padre”. È più sicuro e conforme a una visione più sovrannaturale della Chiesa non deporre un papa eretico.

Fare così, con tutte le contromisure pratiche e concrete da prendere, non significa in nessun caso passività o collaborazione con gli errori papali, ma un impegno molto attivo e una vera compassione con la Chiesa, che, nel tempo di un papa eretico o semi-eretico, vive le sue ore di Golgota.

Più un papa diffonde ambiguità dottrinali, errori o persino eresie, più nella Chiesa risplenderà brillantemente la pura Fede cattolica dei piccoli: la Fede dei bambini innocenti; delle suore religiose; in particolare la fede delle gemme nascoste della Chiesa: le monache di clausura; la fede dei fedeli laici eroici e virtuosi di ogni condizione sociale; la fede dei singoli sacerdoti e vescovi.

Questa pura fiamma di fede cattolica, spesso alimentata da sacrifici e atti di espiazione, brucerà più intensamente della codardia, dell’infedeltà, della rigidità spirituale e della cecità di un papa eretico. La Chiesa ha un carattere così divino che può esistere e vivere per un periodo di tempo limitato nonostante un papa regnante eretico, proprio a causa della verità che il papa non è sinonimo o identico alla Chiesa.

La Chiesa ha un carattere così divino che nemmeno un papa eretico è in grado di distruggerla; anche se ne danneggia pesantemente la vita, però la sua azione ha una durata limitata. La fede di tutta la Chiesa è più grande e più forte degli errori di un papa eretico e questa fede non può essere sconfitta.

La costanza di tutta la Chiesa è maggiore e più duratura del disastro relativamente breve di un papa eretico. La vera roccia su cui risiede l’indistruttibilità della Fede e della santità della Chiesa è Cristo stesso, essendo il papa solo il suo strumento, proprio come ogni sacerdote o vescovo è solo uno strumento di Cristo Sommo Sacerdote.

La salute dottrinale e morale della Chiesa non dipende esclusivamente dal papa, poiché per legge divina questa è garantita nella situazione straordinaria di un papa eretico dalla fedeltà dell’insegnamento dei vescovi e in ultima analisi anche dalla fedeltà dell’intero corpo dei fedeli laici, come sufficientemente dimostrato dal beato John Henry Newman e dalla storia.

La salute dottrinale e morale della Chiesa non dipende in misura tale dagli errori dottrinali relativamente brevi di un singolo papa da rendere la Sede Papale vacante. Come la Chiesa può sopportare un tempo senza papa (è già accaduto nella storia per un periodo di diversi anni), allo stesso tempo è per costituzione divina così forte che può anche reggere un papa eretico di breve durata.

L’atto di deporre un pontefice o il dichiarare vacante la sua cattedra per la perdita del papato ipso facto dovuta ad eresia, sarebbe una novità rivoluzionaria nella vita della Chiesa, che atterrebbe a una questione molto importante della sua costituzione e della sua vita. La via più sicura (via tutior) da seguire in una materia così delicata, anche quando non è di natura pratica o strettamente dottrinale, è quella che si orienta secondo il senso perenne della Chiesa.

Nonostante tre Concili Ecumenici successivi (il Terzo Concilio di Costantinopoli nel 681, il Secondo Concilio di Nicea nel 787 e il Quarto Concilio di Costantinopoli nell’870) e papa San Leone II nel 682 abbiano scomunicato papa Onorio I per eresia, essi non hanno nemmeno implicitamente dichiarato che Onorio avesse perso il papato ipso facto a causa dell’eresia.

Infatti, il pontificato di Papa Onorio I fu considerato valido anche dopo aver sostenuto l’eresia nelle sue lettere al Patriarca Sergio nel 634, poiché regnò altri quattro anni fino al 638. Il seguente principio, formulato da papa Santo Stefano I (+ 257), anche se in un contesto diverso, dovrebbe essere una linea guida nel trattare la delicatissima e rara questione di un papa eretico: “Nihil innovetur, nisi quod traditum est“, cioè “Non ci sia innovazione rispetto a ciò che è stato tramandato”.

+ Athanasius Schneider, vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Santa Maria ad Astana