L’ambientalista è nudo

Il Foglio 20 Gennaio 2019

L’industria petrolifera deve difendersi per fermare il grande inganno dell’imminente progresso green. Il saggio di Alex Epstein

di Alex Epstein

Pubblichiamo stralci di “In difesa dei combustibili fossili” (IBL Libri, 262 pp, 20 euro). Alex Epstein ha fondato il Center for Industrial Progress, istituto di ricerca che offre una filosofia ambientalista alternativa a quella dominante

In questo libro, ho fatto ampio riferimento a citazioni di alcuni leader ambientalisti – come Paul Ehrlich, Al Gore, Bill McKibben, Amory Lovins, John Holdren – proprio perché sono leader di pensiero, e hanno esercitato un’incredibile influenza sulla cultura popolare. Abbiamo visto come tali leader non solo giungano a elaborare conclusioni e politiche mortali, ma continuino anche a fare ricorso al solito erroneo modo di pensare: ingigantiscono gli aspetti negativi dei combustibili fossili e ignorano o sottostimano incredibilmente i lati positivi.

Si noti come loro, e praticamente tutti gli altri leader Verdi o ambientalisti, manifestino poco entusiasmo per il valore di un’energia economica, abbondante e affidabile o per la capacità unica dell’industria dei fossili di fornire tale risorsa. Al contrario, continuano a sostenere, senza alcuna prova a supporto, che energie costose, inaffidabili e incapaci di espandersi possano in qualche modo diventare economiche, affidabili e abbondanti, senza preoccuparsi di cosa accadrebbe se e quando avessero torto e nulla potesse più rimediare al danno da loro procurato.

Allo stesso modo, non riescono a scorgere i lati positivi del nucleare e dell’idroelettrico. Sostengono di avere a cuore il clima, ma sono indifferenti all’abilità di governarlo che i combustibili fossili ci hanno conferito. Ciononostante, sono pronti a impiegare qualsiasi fallacia esistente per terrorizzarci dei cambiamenti climatici generati dai combustibili fossili. Sostengono di avere a cuore la salubrità dell’ambiente, ma non provano altro che disprezzo per quell’industria che ci ha dato la capacità di generare l’ambiente più pulito e salubre della storia.

Sostengono di avere a cuore l’abbondanza delle risorse, ma sono indifferenti al fatto che proprio l’industria fossile produce nuove risorse e aiuta ogni altro settore a crearne di nuove, e al fatto che limitare il consumo di combustibili fossili ci riavvicinerebbe a quella condizione di scarsità di risorse che ha contraddistinto tutta la storia del genere umano, tranne quella piccola parte in cui viviamo. I leader di pensiero sono solitamente uomini e donne estremamente acuti, e tutti quelli citati lo sono.

Allo stesso tempo, però, a tutti loro sono stati sottoposti, in un modo o nell’altro, i dati che ho riportato in questo volume. Ciononostante, continuano ad affermare che i combustibili fossili abbiano effetti catastrofici e sembra che non abbiano assolutamente alcuna paura dell’incredibile rischio che consiste nel non usarli in questa epoca storica. Perché? Per trovare una risposta, occorre tornare alla questione del valore morale supremo.

L’avversione dei leader ambientalisti per i combustibili fossili non è un tentativo di preservare la vita umana come valore supremo ma andando per il verso sbagliato. […] Con più energia, abbiamo la capacità di alterare maggiormente la natura, e lo faremo certamente, perché trasformare l’ambiente è il nostro modo per sopravvivere e prosperare. Per gli “anti-umanisti”, è proprio questo il problema. Avete mai sentito parlare del genere umano come di un cancro per il pianeta?

Il Principe Filippo, Duca di Edimburgo, ex capo del Wwf, ha dichiarato: “Nell’eventualità che mi reincarnassi, mi piacerebbe rinascere come un virus mortale, in modo da contribuire a risolvere il problema della sovrappopolazione”. […] E’ questa la conclusione logica a cui si perviene se si ha come valore cardine l’assenza di impatto degli uomini sull’ambiente. Il modo migliore per raggiungere tale obiettivo è non fare nulla, non esistere proprio. La nostra cultura ha assimilato dosi elevate di un principio così tossico per via della rassicurante etichetta che lo spaccia per “verde”.

Il silenzio (complice) dei petrolieri

Concentriamoci ora sulla nostra cultura. Quanto siamo diversi dalle persone che la influenzano? Sono convinto che i nostri intenti siano decisamente migliori dei loro, ma anche noi abbiamo adottato molti dei loro erronei modi di ragionare e condividiamo parzialmente il loro principio riguardante il non-impatto. Si noti come, infatti, per qualsiasi questione che riguardi i combustibili fossili, crediamo tutti troppo facilmente agli aspetti negativi, senza riuscire a scorgere quelli positivi.

Quanti di noi hanno mai riflettuto su e poi apprezzato quel miracolo che è l’energia economica, abbondante e affidabile creata dall’uomo? Quanti di noi apprezzano veramente le persone che la producono, anziché demonizzarle ed elogiare fantasiose sue sostituzioni con il solare e l’eolico? Quanti di noi considerano la possibilità che gli esseri umani possano agire come forza positiva sul clima, fertilizzando l’atmosfera o creando un ambiente che massimizzi i benefici climatici e ne minimizzi i rischi?

Quanti di noi considerano la possibilità che l’uomo stia migliorando l’ambiente grazie al consumo di combustibili fossili? Per la mia esperienza personale, nemmeno l’industria fossile la prende in considerazione. A livello culturale, siamo costantemente inclini a percepire l’industria fossile come negativa, specialmente per quel che riguarda l’ambiente. Perché? Forse perché non ci è stata offerta la verità dei fatti? Non è una spiegazione soddisfacente. Perché, per esempio, non cerchiamo aspetti positivi in termini di impatto ambientale del settore dei fossili, anziché dare per assodato che non esistano?

Perché crediamo che essere buoni con l’ambiente, rispettare tale principio, significhi essere “Verdi” e non avere alcun impatto sulle cose. La posizione ecologista è spesso associata all’assenza di inquinamento e di altri pericoli ambientali, ma è un ragionamento troppo semplicistico e altamente fuorviante. Si pensi a tutte le azioni che ricadono sotto la bandiera dei Verdi. Per loro è giusto opporsi a qualsiasi piano industriale di fondamentale importanza – sia che si tratti di centrali elettriche, dighe o complessi edilizi – sulla base del fatto che ciò sortirà un effetto su qualche pianta o animale; piante e animali, si intende, che hanno la precedenza sugli esseri umani che desiderano o hanno bisogno di tali opere.

E’ considerato giusto fare ricorso il meno possibile a tutto ciò che è frutto dell’industria: che si tratti di guidare, volare, fare lavatrici, consumare pannolini usa e getta o qualsiasi altro prodotto della modernità (ora è in corso un attacco diretto agli iPhone perché non sono considerati sufficientemente rispettosi dell’ambiente, visti i materiali che devono essere estratti per costruirli). L’essenza della locuzione “diventare Verdi”, il comune denominatore di tutte le sue accezioni, è il credo secondo cui gli uomini dovrebbero minimizzare il loro impatto sulla natura non umana.

La differenza tra la nostra cultura e il movimento ecologista è che noi crediamo che non si possa essere sempre buoni con l’ambiente e percepiamo quello dei Verdi come uno dei tanti ideali esistenti, da bilanciare con gli altri. Tuttavia, tale tentativo di bilanciare il principio che pone al centro l’essere umano con quello che non ha l’uomo come riferimento, è come tentare di creare una dieta equilibrata che contenga nella stessa misura cibo e veleno. Perché accettiamo l’ideale degli ecologisti, che ci induce a odiare la più grande tecnologia energetica di sempre e le persone che la producono?

In gran parte, perché i leader ambientalisti sono stati capaci di farci associare l’ideale del non-impatto con qualcosa di molto positivo: la riduzione dell’inquinamento, cioè degli impatti negativi sull’ambiente. Tuttavia, se si è contrari all’inquinamento, essere ecologisti e fautori del non-impatto è un modo di approcciare la questione confuso e pericoloso perché, associando l’impatto a qualcosa di negativo, si giunge alla conclusione che ogni intervento che produce l’uomo sull’ambiente sia in qualche modo negativo per l’ambiente stesso. E’ proprio questo che gli ambientalisti vogliono farvi credere.

Anziché riconoscere che trasformare l’ambiente è un servizio che si rende alla vita e che può comportare rischi ed effetti collaterali indesiderati, il movimento dei Verdi vuole che consideriate tutte le trasformazioni dell’ambiente negative per l’ambiente stesso. Infatti, la peggior cosa che possiamo fare, a livello ambientale, è non trasformare l’ambiente, perché in tal caso vivremmo in un luogo colmo di pericoli e povero di risorse, tipico di una società sottosviluppata. Un’altra ragione per cui ci beviamo la retorica ecologista è perché la nostra cultura non è mai stata interamente a suo agio con l’industria.

Ci viene insegnato che la ricerca del profitto è sbagliata, che il capitalismo è sbagliato e che dovremmo sentirci in colpa per la nostra ricchezza e il nostro tenore di vita. Accettare la mancanza di impatto come ideale ci fa abboccare a qualsiasi argomentazione secondo cui l’impatto ambientale di un’industria è troppo alto e ci induce a dare per scontato che le conseguenze di un qualsiasi intervento sull’ambiente debbano essere sbagliate – benché ci svegliamo ogni giorno nel miglior ambiente che la storia abbia mai avuto.

E’ questo il potere del pregiudizio – pregiudizio, si intende, che deriva da una filosofia sbagliata che non sappiamo nemmeno di accettare e che verrebbe totalmente rifiutata dalla maggior parte di noi, se ne scorgessimo il vero significato. Ora che conosciamo tale significato, possiamo cercare – e fare nostra – una filosofia nuova, a favore di un ambiente a misura d’uomo. Un nuovo ideale: il progresso industriale. Fin quando accetteremo che il non-impatto è il nostro ideale da perseguire, non potremo lottare strenuamente contro coloro che si oppongono all’energia per noi vitale, perché non considereremo la sua essenza – la trasformazione della natura al servizio della vita umana – come un ideale morale.

La trasformazione, al contrario, è un ideale morale, che io definisco come “progresso industriale” – ossia il progressivo miglioramento dell’ambiente facendo ricorso all’operosità umana, che comprende l’uso di energia e tecnologia, al servizio della vita umana. E’ per questo che ho chiamato il mio think tank Center for Industrial Progress. Volevo dare vita a un’alternativa al movimento ambientalista dei Verdi, per rimpiazzare l’ideale nefasto del non-impatto con l’ideale positivo del progresso industriale. Non vogliamo “salvare il pianeta” dagli esseri umani, ma migliorarlo per gli esseri umani.

Dobbiamo dirlo forte e chiaro. Dobbiamo dire che la vita umana è il nostro unico vero principio morale. E dobbiamo dire che la trasformazione dell’ambiente, alla base della nostra sopravvivenza, è una virtù suprema. Benché lo neghiamo, dobbiamo riconoscere che, in nome di un dogma contrario agli esseri umani, siamo realmente disposti a causare danno a uomini in carne e ossa. Difendere le ragioni morali di qualcosa significa fissare i propri principi: nel nostro caso, la vita umana. Significa ricondurre tutto, compreso ogni aspetto positivo e negativo dei combustibili fossili, alle sue ricadute per la vita umana.

Se è questo il vostro modo di ragionare, credo che giungerete a conclusioni simili alle mie. Se vi comporterete così nel comunicare con gli altri, sarete in credibilmente efficaci, perché risulterete chiari e sinceri. Se insieme riusciremo a fare tutto ciò, potremo realizzare il sogno di una rivoluzione energetica che darà il via a nuove rivoluzioni in tutti gli altri settori. Potremo rendere giustizia ai milioni di uomini e donne dell’industria dei combustibili fossili che lavorano ogni giorno per mantenere operative le nostre macchine; con loro siamo stati troppo poco riconoscenti. Per la mia esperienza, posso dire addirittura che queste persone non comprendono nemmeno loro, in pieno, l’importanza del proprio lavoro. Spero che questo libro le aiuti ad accorgersene.

Questa industria è morale nel senso più profondo. Alcune persone al suo interno fanno cose immorali, certo, ma trasformare antiche piante morte in energia di vitale importanza in un modo che massimizza i benefici e minimizza i rischi è un’attività di cui l’industria dovrebbe andar fiera, e dovremmo essere fieri di utilizzare ciò che produce. Sfortunatamente, negli ultimi decenni, l’industria dei combustibili fossili non ci ha più creduto o, quanto meno, si è rifiutata di rivendicarlo. Ha confessato ai suoi oppositori ambientalisti che i combustibili fossili danno una “dipendenza”, seppur temporanea e necessaria.

Lo scorso anno, scrissi una lettera aperta ai dirigenti delle aziende di settore, criticandoli per questa condotta e chiedendo loro di unirsi a me nello schierarsi in difesa della moralità del loro operato. Voglio riportarne di seguito una versione abbreviata, perché quello che dicono della loro stessa industria non sortisce un effetto soltanto su di essi, ma su tutti noi. Cosa deve fare l’industria dei combustibili fossili Ai leader dell’industria di settore.

Consigli per colmare il deficit di coraggio

Ecco il vostro tipico piano di comunicazione per ingraziarvi l’opinione pubblica: spiegare alla gente che contribuiamo alla crescita economica; spiegare alla gente che creiamo molti posti di lavoro; spiegare che la nostra industria è parte della nostra identità nazionale; spiegare alla gente che abbiamo recepito le preoccupazioni dei nostri detrattori e abbiamo ridotto le emissioni; spendere milioni di dollari in campagne mediatiche all’avanguardia. Perché tutto ciò non funziona? Immaginate lo stesso piano messo in atto da un’azienda produttrice di tabacco. Vorrebbe dire ricondurre la crescita economica, la creazione di posti di lavoro, l’identità nazionale e la riduzione della quantità di catrame all’aumento delle vendite di tabacco.

Vi convincereste che sarebbe una cosa buona se gli americani consumassero molto più tabacco? Ne dubito, perché nessuna di queste strategie fa nulla per affrontare il problema fondamentale di tale industria, cioè il fatto che il consumo del suo prodotto è percepito come una dipendenza autolesionista. Essendo vero, l’industria del tabacco sarà sempre considerata immorale per sua natura. E ancora, essendo vero, a prescindere da quali azioni intraprenda tale industria, i suoi detrattori saranno sempre posti su un piano moralmente più elevato. Potreste dire che è offensivo paragonare l’industria dei fossili a quella del tabacco, e avreste ragione.

Tuttavia, nella battaglia per la conquista del cuore e della mente delle persone, siete visti molto peggio dell’industria del tabacco. I vostri detrattori sono riusciti con successo a dipingere il vostro prodotto di punta, l’energia da combustibili fossili, come una dipendenza nociva che sta distruggendo il pianeta, e la vostra industria come qualcosa di fondamentalmente immorale. Sostengono che in un mondo migliore, il tipo di mondo a cui dovremmo tutti aspirare, la vostra industria non dovrebbe proprio esistere. C’è solo un modo per sconfiggere le ragioni degli ambientalisti contro i combustibili fossili, ed è quello di confutare la tesi secondo cui stiamo distruggendo il pianeta.

Non rigettare tale idea equivale ad accettarla, e se accettiamo l’idea che i combustibili fossili stanno distruggendo il pianeta, l’unica conclusione logica a cui si può giungere è quella di fermarne lo sviluppo e diminuirne subito l’uso. Sfortunatamente, l’industria non ha respinto le argomentazioni di tipo morale contro i combustibili fossili. Al contrario, gran parte della sua comunicazione rinforza tale aspetto. Si prenda, ad esempio, la pratica molto diffusa di promuovere pubblicamente le rinnovabili come tecnologie ideali. Le compagnie petrolifere e del gas mostrano con orgoglio turbine eoliche sui loro siti internet e sui loro report annuali, benché queste siano fondamentalmente inefficaci e largamente inefficienti da un punto di vista economico.

Ciò lascia palesemente intendere che le rinnovabili siano l’obiettivo da perseguire, mentre il petrolio e il gas rappresentino dei mali necessari ma temporanei. Un altro modo in cui questa industria nuoce a se stessa è quello di non andare in modo diretto al nocciolo della questione, preferendo parlare di posti di lavoro, crescita economica o patriottismo. Benché si tratti di obiettivi importanti, non ha alcun senso tentare di raggiungerli attraverso i combustibili fossili, se è vero che questi stanno distruggendo il nostro pianeta.

E’ per questo che gli ambientalisti rispondono prontamente: vogliamo una crescita economica stimolata dal veleno? Vogliamo più posti di lavoro in settori in cui i lavoratori possono causare danni? Vogliamo che la nostra identità nazionale continui a essere associata a qualcosa che sappiamo essere di natura distruttiva? […] Ho scritto questa lettera come parte del mio tentativo in questi ultimi anni di convincere l’industria dei combustibili fossili a difendere le ragioni morali del suo lavoro.

Storicamente, è stata la più grande benefattrice delle organizzazioni ambientaliste. Ad esempio, tra il 2007 e il 2010, l’industria del gas naturale ha elargito 25 milioni di dollari al Sierra Club. Infatti, ho detto loro: “Come posso lottare per la libertà di usare il vostro prodotto se siete voi i primi a non farlo?”. Sono contento che la cosa abbia iniziato a funzionare, e ora dedico parte del mio tempo a lavorare con alcune compagnie per migliorare la loro comunicazione. E’ nel loro interesse, perché possono farsi approvare progetti in fretta se riescono a spiegare l’importanza di quello che fanno.

Per me, l’idea di utilizzare le risorse dell’industria per mettere in piedi un’argomentazione convincente è più che allettante. Probabilmente, essendo un capitalista che si fa pagare per i propri servizi, sarò criticato per essere al soldo dell’industria dei fossili. Ed ecco che ritorna il pregiudizio di cui parlavamo poco fa. Perché si dovrebbe dare per scontato che chi lavora per queste compagnie sia corrotto, mentre, ad esempio, chi usufruisce di contributi pubblici non lo sia?

Come consiglio di dire agli operatori del settore, non sostengo che questa industria sia giusta perché ci lavoro, ma ci lavoro perché credo che sia giusta. Questa industria ha a disposizione un enorme megafono che può utilizzare nel modo corretto o in quello sbagliato. E’ nell’interesse di tutti che lo usi nel modo giusto.