Politicamente corretto. L’effetto farfalla

da Il Nuovo Arengario 29 Dicembre 2018

Il politicamente corretto è una deriva ideologica nutrita della retorica neo progressista, in realtà regressiva, di una precisa classe sociale, i vincenti della post modernità, cosmopoliti e globalisti, ma è qualcosa di più. E’ la liquidazione coatta “a fin di bene” dell’intera civiltà europea in base al presupposto della sua natura sopraffattrice e violenta, frutto del dominio di una minoranza di maschi eterosessuali.

di Roberto Pecchioli

L’effetto farfalla è un concetto enunciato dal matematico Edward Lorenz nell’ambito della fisica, ponendo una domanda paradossale: può il battito d’ali di una farfalla in Brasile determinare un tornado nel Texas? La risposta, all’interno della teoria del caos, è sì. Piccoli cambiamenti nelle condizioni iniziali di un sistema sono in grado di produrre conseguenze di grande portata.

L’irruzione nell’immaginario europeo e occidentale del linguaggio politicamente corretto ne è una dimostrazione. La correttezza politica, nata come quasi tutte le follie dell’ultimo mezzo secolo nelle università americane con l’intento di proteggere le minoranze attraverso l’uso di espressioni verbali più appropriate e rispettose, ha generato un mostro e modificato in profondità la percezione della realtà e il giudizio collettivo. Capita ai sogni della ragione malintesa, destinati a trasformarsi in incubi.

Il politicamente corretto corrode la libertà di espressione, diventa un rizoma che si espande in ogni direzione, cellule impazzite che accecano sino ad abbattere i pilastri della libertà di pensiero e di espressione, orgogliose conquiste del pensiero europeo. Va addirittura oltre, poiché riconfigura le parole non solo nei significati, ma soprattutto nei giudizi che contengono, con espressioni imposte e altre proibite. E’ dunque una vera e propria ideologia, in cui confluiscono elementi della linguistica, della sociologia, della psicologia di massa e delle tecniche di persuasione come la programmazione neuro linguistica.

La lingua è la realtà immediata del pensiero, osservò Karl Marx. Si può pensare, quindi giudicare, solo con le parole, suoni associati a immagini e significati. Per questo le parole dominano il mondo e le idee appartengono ai termini che le definiscono. Le parole, in determinati momenti, possono diventare fatti, disse Benito Mussolini in un discorso del 1929. Lo comprese anche il pensiero positivista di Wittgenstein, che prescriveva di non chiedere il significato, ma l’uso delle parole. Ne sono esempi illuminanti termini come razzismo, tolleranza, progresso, democrazia, che hanno perduto il senso iniziale e, attraverso un trasbordo ideologico indotto dai padroni della cultura di massa, significano adesso ciò che ha voluto il pensiero dominante.

Il politicamente corretto è una deriva ideologica nutrita della retorica neo progressista, in realtà regressiva, di una precisa classe sociale, i vincenti della post modernità, cosmopoliti e globalisti, ma è qualcosa di più. E’ la liquidazione coatta “a fin di bene” dell’intera civiltà europea in base al presupposto della sua natura sopraffattrice e violenta, frutto del dominio di una minoranza di maschi eterosessuali.

Il p.c. diventa quindi un’anti cultura che nega cittadinanza a ciò che non riconosce in base al suo “a priori”, un relativismo radicale fondato sull’idea di uguaglianza declinata come uniformità, negazione delle differenze mascherata da finta avalutatività. Il nucleo fondante del politicamente corretto è l’adesione a un bigottismo dell’equivalenza qualitativa di idee, persone, civiltà, religioni, principi, un plumbeo nichilismo in salsa etica certo della propria superiorità in quanto unica verità è l’Identico.

Il p.c, giudicando in base a criteri aprioristici, svaluta e nega. E’ una forma di oscurantismo orientato alla sostituzione delle parole e dei significati, al divieto, all’ espulsione “etica” dalle università e dalle biblioteche (quindi dall’orizzonte comune) di libri, idee e autori in base a un grottesco interdetto preventivo che non risparmia Shakespeare, Kant, Dante e la stessa Bibbia, tolta dagli scaffali di un’università gallese. La sua accanita ansia totalitaria non è diversa da quella del califfo Omar dinanzi alla biblioteca di Alessandria summa della cultura antica. “In quei libri o ci sono cose già presenti nel Corano, o ci sono cose che non ne fanno parte: nel primo caso sono inutili, nell’altro sono dannose e vanno distrutte”.

Attraverso la messa all’indice di parole e concetti “sensibili”, il p.c. nega nei fatti la libertà, che è ricerca e dubbio fecondo, e persino il progresso in nome del quale afferma di agire. Cresciuto nelle università, ne è la negazione radicale, poiché chiude la conoscenza in un recinto soffocante, dove la mente istruita a metà diventa la più propensa alle utopie e a nuovi fanatismi. Scriveva il grande cardinale John Newman che non la cultura o l’acquisizione, ma il pensiero e la ragione esercitati sulla conoscenza sono l’obiettivo di quello che chiamava allenamento intellettuale.

Al contrario, il p.c. agisce attraverso scomuniche preventive il cui esito è l’indebolimento progressivo della mente europea e occidentale. L’effetto paradosso è l’adesione alla cosiddetta teoria sociologica dell’etichettatura, (labelling) secondo la quale è la società a decretare quali comportamenti sono devianti. L’atto deviante – pronunciare determinate parole, esprimere certi giudizi – produce una reazione sociale in quanto la cultura dominante ne postula e impone il (pre)giudizio negativo. Il relativismo culturale diventa il punto di forza: il nuovo deviante politicamente scorretto viene etichettato come malvagio, colpevolizzato nei suoi stessi sentimenti espressi con le parole, un diverso da isolare in un mondo di identici.

La qualifica di deviante, secondo il labelling, è un’etichetta affibbiata da gruppi di potere; dunque il p.c. è un potere teso a esercitare la censura conformista e pregiudiziale che rimprovera ai bersagli della sua azione. Il significato delle parole ha sempre dato origine a discussioni. Per la linguistica, il significato non è la cosa, ma la sua rappresentazione psichica. L’intento del p.c. è quello di mutare i significati, una sorta di neolingua al servizio del bispensiero (Orwell), ma soprattutto proibire l’uso di una serie di parole, i “significanti”. L’obiettivo è riconfigurare l’universo mentale di chi pensa e parla, neutralizzando le parole affinché perdano le vecchie caratteristiche e assumano il nuovo senso/significato: opinioni indotte che sostituiscono la realtà.

Tuttavia, sembra sorgere una reazione contro il politicamente corretto e il suo travolgente effetto farfalla. I dubbi si stanno diffondendo in vari settori di opinione, le librerie cominciano a offrire testi di analisi e di aperta contestazione, come il recente Politicamente corretto. Storia di un’ideologia di Eugenio Capozzi. Si registrano interventi di intellettuali di fama mondiale, come il premio Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa, che ha definito il p.c. una nuova inquisizione.

Il direttore della Reale Accademia della Lingua Spagnola, Darìo Villanueva, lo considera una insidiosa forma di censura. “Una censura perversa cui non eravamo preparati, poiché non la esercita lo Stato, il governo, il partito e la Chiesa, ma frammenti diffusi di quella che chiamiamo società civile”. Altri segnalano che il p.c. nega la razionalità e fomenta l’autocensura, la peggiore forma di coartare la creatività e la libera espressione. Avanza una società che proscrive ogni dissidenza in nome del comfort di qualsiasi minoranza, nella quale non può sussistere il pensiero libero se si comprime il confronto delle idee, derubricato a inventario di parole offensive o moralmente riprovevoli.

L’elenco delle follie è ormai sterminato. Nei campus delle università anglosassoni sono stati creati luoghi detti spazi sicuri dove ogni studente può esprimersi “liberamente”, ossia, a detta dei sostenitori dell’esperimento, “senza timore di non sentirsi a proprio agio o non sicuro per il suo sesso, razza, etnia, orientamento sessuale, genere, biografia, bagaglio culturale, religione, età o identità fisica e mentale “.

Esseri senza volto e identità partecipano a dibattiti in cui non è permesso applaudire, in quanto il battito delle mani potrebbe risultare aggressivo per qualche spettatore. All’applauso si sostituisce un movimento delle mani levate in alto, chiamato jazz hands. In diversi spazi pubblici si realizzano bagni neutri per non offendere i transessuali.

Il nuovo credo conta con potenti alleati. I giganti tecnologici di Silicon Valley, Hollywood e mezzi di informazione influenti come il New York Times e la rivista The Atlantic sono paladini della sottocultura politicamente corretta. Non va meglio in Inghilterra, dove all’università di Oxford, tempio della cultura britannica, è stato interrotto un dibattito sull’aborto perché tra gli intervenuti figuravano degli uomini.

Facebook censura classici della storia dell’arte che rappresentano figure umane nude, ma il puritanesimo di ritorno non si estende ai manuali che insegnano come costruire una bomba. In giro per il mondo, rettori sono tacciati di fascismo per il suo esatto contrario, ossia incoraggiare il libero confronto delle idee, lo scambio intellettuale che tanto irrita i giovani delicati conosciuti come “generazione fiocchi di neve”. Nel nord dell’Inghilterra, abusi sessuali di giovani di origine pachistana nei confronti di ragazzine bianche povere sono stati ignorati dall’amministrazione comunale laburista per timore di essere tacciata di razzismo e xenofobia, i peccati massimi nel nuovo inferno asettico, inodore e insapore dominato dalla correttezza politica.

Ciononostante, monta l’opposizione. In un dibattito di grande impatto mediatico organizzato dalla catena americana Abc, i sostenitori del politicamente corretto sono stati travolti dalla disapprovazione del pubblico presente e di quello televisivo. Un sondaggio di The Atlantic ha rilevato l’ottanta per cento di sì alla domanda se negli Stati Uniti il p.c. sia un problema.

Il dato interessante è la maggioranza schiacciante di rifiuto del p.c. tra le minoranze asiatiche e ispaniche. E’ evidente che si tratta di una costruzione intellettuale a cui la gente comune si sente estranea e, finalmente, avversa. Non si può negare per sempre il senso comune o censurare un’istituzione come la famiglia, risalente all’origine dell’umanità, definita con fastidio “tradizionale”.

Nel dibattito di Abc ha trionfato un attore, presentatore e saggista londinese, Stephen Fry. Presentatosi come uomo di sinistra “della vecchia scuola” e candidato perfetto per essere protetto dal p.c. in quanto ebreo e omosessuale, ha parlato di una cultura del risentimento che deve finire. “Rabbia, ostilità e intolleranza, questa certezza assoluta che si è con noi o contro di noi deve finire. Siamo entrati in una dinamica binaria, tossica e a somma zero, una pazzia che ci distruggerà se non la fermiamo”. Fry ha aggiunto che è in errore chi preferisce ottenere ragione piuttosto che ricercare la verità, poiché la correttezza politica “vuole essere corretta senza pensare se è efficace e veritiera”.

Chi ha fatto avanzare la civiltà sono gli eretici, i sognatori, i ribelli e gli scettici, proprio quelli espulsi dai campus in cui gli studenti, con il sostegno dei docenti, non vogliono confrontarsi con idee diverse dalle loro; ma hanno idee, poi, se tutto si equivale e l’unica affermazione diventa la negazione? Lo stesso capita nelle reti sociali, i nuovi media che a colpi di mi piace, non mi piace, contribuiscono a riaffermare gli stessi pregiudizi. Un pensatore caro alla sinistra, Bertrand Russell, scrisse che i possessori di certezze assolute sono generalmente gli sciocchi, mentre i dubbi appartengono a chi ha immaginazione e capacità di comprendere.

Conformismo saccente di ceti agiati ma di mediocre cultura (le classi medie semicolte descritte da Costanzo Preve), il politicamente corretto ci sta sfuggendo di mano. Vargas Llosa lo considera il principale nemico della libertà; si comincia a prendere atto che molti reprimono se stessi per timore della correzione petulante dei chierici progressisti e vivono nella paura di avere pensieri eterodossi, sbagliati, moralmente riprovevoli. La dittatura dei buoni rende fragili e insicuri i milioni che non la condividono ma ne temono le conseguenze.

Il politicamente corretto, infatti, porta a esprimersi non come si pensa davvero, ma trascinati dalla frivolezza, dalla viltà e dall’opportunismo, allineando le proprie opinioni a quelle più conformiste. E’ una mancanza di sincerità e di autenticità che trasforma tutta la vita politica, sociale e culturale in una caricatura, in qualcosa di forzato, una falsità sistematica nella quale non si esprimono convinzioni genuine, ma solo banalità, pose, luoghi comuni. Il p.c. ha a che vedere con la sinistra culturale, poiché è lei che ha stabilito i parametri da cui non deve uscire chi non voglia incorrere in impopolarità, discredito, e non intenda essere considerato inadeguato sotto il profilo ideologico, morale, sessuale e così via.

Sta contagiando un numero sempre più grande di ambiti, la conoscenza si riempie di pregiudizi, risulta poco creativa, per nulla originale e non rappresentativa delle esperienze reali, un manierismo mediocre quanto obbligato.

Si tratta di un meccanismo che impone una censura discreta, dissimulata, che non dice il suo nome e non castiga (ancora) fisicamente, ma sanziona con l’isolamento in nome di una correttezza supposta e mai davvero definita. In larga misura, è la moderna inquisizione che induce al silenzio.

Se ti esprimi non per convinzione, ma per paura, ti trasformi nel censore di te stesso, temi di dire cose “scorrette”, diventi elusivo, eviti di pronunciarti e di ragionare con la tua testa. Il rischio è specialmente grave per chi non ha idee ferme e principi radicati, la maggioranza nel mondo liquido a cui è indirizzato il devastante messaggio del politicamente corretto, sistema apparentemente fluido basato sul rispetto dell’altro, in realtà potente meccanismo di decostruzione e di riduzione dell’uomo a essere eterodiretto, sostanzialmente non pensante.

Una volta ancora nella storia, i responsabili sono i portatori insani di ideologie il cui obiettivo è ri-costruire l’uomo per realizzare la felicità in terra. Nel caso dell’ideologia della correttezza politica, attraverso la neutralizzazione prima, l’abolizione poi delle differenze e delle distinzioni, considerate fonti di conflitto tra gli uomini. E’ un perverso costruttivismo utopistico, assai diffuso nei periodi di crisi delle civiltà; Augusto Del Noce lo chiamava “virtuismo”.

La diagnosi è definita; la prognosi, in una società dominata dal politicamente corretto, è infausta per il nichilismo che diffonde e la debolezza intrinseca di chi sa solo negare. Non esiste differenza qualitativa tra gli uomini, le loro idee, le loro civiltà; tutto si equivale, non c’è il bene e il male se non a partire da quella negazione iniziale.

Fine dei giochi, game over. Il politicamente corretto risulta falso nelle premesse, distruttivo nelle azioni e portatore di una spaventosa incultura. Che sia nato e abbia conseguito potere nelle università una volta simboli del sapere è una prova raggelante dell’agonia, della condizione terminale della nostra civiltà. Si manifestano tuttavia anticorpi, dubbi e reazioni. Forse l’effetto farfalla non ha ancora vinto la partita e, parafrasando Curzio Malaparte, non tutto è perduto finché non è tutto perduto.

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