Droga tra i ragazzi: la prevenzione non è nei programmi in metà degli istituti

Messaggero Veneto 11 Ottobre 2018

Questa guerra non si combatte solo con la repressione. Finanziati progetti per il contrasto con appena 6 milioni

Paolo Ermano

Uno studente delle superiori mi ha raccontato della perquisizione che ha subito il giorno dopo la morte della povera Alice: «Sono arrivate le pattuglie, si sono piazzate all’ingresso e hanno fermato gli studenti all’uscita per controlli». Poi aggiunge: «Tanto cosa vuoi che cambi: ne fermano uno, ne ricompare un altro». Il risultato dei controlli, stante quanto riportato dal Messaggero Veneto, è E fermo di uno studente con dell’erba. Uno studente su oltre 14.000 iscritti sarebbe un bel risultato se fosse una reale fotografìa del fenomeno. Peccato che sia falsato dalla fretta di dare un segnale alla collettività, per tranquillizzare l’emotività del momento.

Che la guerra alla droga non si combatta con la repressione lo dice dal 2011 la Global Commission on Drug Policy, un gruppo di lavoro internazionale formato da esperti, suggerendo un approccio legato ad una visione meno stigmatizzata del consumatore, a forme alternative al carcere, all’investimento in politiche sociali e sanitarie e alla regolamentazione dell’uso di sostanze psicotrope. Da noi non solo è difficile parlare di droga, un concetto dove mettiamo dentro ciò che riteniamo illegali basandoci su scelte legate più alla cultura che alle questioni, ad esempio, sanitarie (es.: cannabis sì, vino no), ma non sembra nei fatti utile visto E trattamento che il tema riceve dalla collettività.

Si fa tanto rumore intorno al tema ma poi si scopre che, ad esempio, solo E 50% degli istituti scolastici fa attività di prevenzione e che nel 2016 il Dipartimento Politiche Antidroga ha finanziato progetti di prevenzione per 6 milioni di euro. Una cifra irrisoria se confrontata con un mercato da 14 miliardi all’anno, poco superiore a quello delle bevande alcoliche e tabacchi e ben 3 volte quello della spesa delle famiglie in istruzione.

L’European Drug Report 2017 evidenzia che il 23% dei giovani fra i 15 e 24 anni ha assunto almeno una sostanza illegale nell’ultimo anno, la stragrande maggioranza cannabis. Parliamo quindi di un fenomeno diffuso fra i giovani la cui rilevanza decresce con l’età, con una media dell’11% fra la popolazione dai 15 ai 64 anni, quasi 4 milioni di persone. Proporzionalmente, in regione avremmo circa 100.000 consumatori, ma sono 4.000 gli utenti presi in carico dai servizi per problemi di tossicodipendenza, di cui 3.000 legati all’eroina. E molti (9 su 10 si stima per gli alcolisti) non si avvicinano ai servizi per paura dello stigma sociale o per mancanza di consapevolezza.

Guardando poi alla popolazione carceraria è da notare come addirittura 1 detenuto su 3 è dentro per reati collegati al traffico di stupefacenti (1 su 5 fra i minori) ma il 98,6% di questi è uno spacciatore, non un membro di un’associazione finalizzata allo spaccio. Prendiamo i piccoli ma non fermiamo i grandi. E li teniamo in carcere: solo 1 su 4 acce­de a misure alternative, ma in regione Friuli Venezia Giulia chi è sottoposto a misure di affidamento ai servizi ha una recidività del 19%, chi sta in carcere del 68%.

Non sappiamo nemmeno se la strada della regolamentazione, che buoni risultati ha portato in molti paesi nel mondo, sia efficace visto che subito si è intervenuti per limitarla.

E alla fine si torna li: è la prevenzione, non la repressione, la chiave per riconoscere, contenere e gestire il fenomeno. Prevenzione ad ogni livello. L’ultima Relazione annuale al Parlamento del Dipartimento Politiche Antidroga mette in luce quali fattori siano legati al consumo di sostanze fra gli studenti delle superiori. Fra i fattori associati positivamente, aver un pessimo rapporto con i genitori è solo 9° e viene dopo all’essersi ubriacato nell’ultimo mese, aver speso più di 60 euro senza il controllo dei genitori o uscire spesso la sera; avere buoni rapporti con i genitori, con la scuola, con se stessi e non sentirsi economicamente a disagio riduce il rischio. Sembra proprio che un contesto che previene il disagio sia più efficace delle politiche per la sicurezza.

Vicende tragiche come quella di Alice dovremmo obbligarci a riflettere e a parlare di tutto questo a viso aperto.