La politica del «buon cristiano e onesto cittadino» nell’insegnamento di san Giovanni Bosco

Cristianità n. 375 (2015)

Testo annotato della relazione tenuta il 1°-3-2014 a San Mauro Torinese in occasione della Giornata di Alleanza Cattolica dedicata a La buona politica. La dottrina sociale della Chiesa; la crisi della politica in Italia e in Piemonte e la crisi della giustizia. La fonte principale è il saggio del salesiano Pietro Braido (1919-2014),Buon cristiano e onesto cittadino. Una formula dell’«umanesimo educativo» di don Bosco (in Riviste Storiche Salesiane, anno XIII, n. 1, gennaio-giugno 1994, LAS. Libreria Ateneo Salesiano, Roma, pp. 7-75). Don Braido è stato professore di Storia del Catechismo presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma e rettore del medesimo ateneo dal 1974 al 1977.

Ferdinando Leotta

San Giovanni Bosco (1815-1888) fu scelto, nei primi anni 1970, quale santo protettore di una «croce» — cioè l’unità organizzativa minima — di Alleanza Cattolica che si andava formando in Torino. La scelta fu determinata, oltre che dalla devozione a don Bosco e dalla venerazione a Maria Ausiliatrice, dalla volontà di non cedere ad atteggiamenti romantici da parte di chi aveva trovato nella cultura cattolica contro-rivoluzionaria i riferimenti per resistere alla rivoluzione del Sessantotto. Contribuì alla scelta la sensazione di complicità storico-culturale suscitata in chi scrive da una semplice scorsa de La Storia d’Italia raccontata alla gioventù dai suoi primi abitatori sino ai nostri giorni (1), alla quale don Bosco lavorò intorno al 1855.

J. Da Maistre

L’opera, infatti, senza troppo concedere agli spunti polemici del tradizionalismo cattolico nei confronti del riformismo settecentesco, come scrive lo storico Francesco Tranello (2), conteneva riferimenti alla Rivoluzione come esito di un vasto complotto di forze occulte anticristiane, raccolte nelle società segrete. Vi riecheggiava — nota Traniello — la tesi diffusa negli ambienti contro-rivoluzionari dalla Storia del giacobinismo di padre Augustin Barruel S.J. (1741-1820) (3).

Particolarmente significativo il fatto che, fra i dodici profili d’italiani illustri contemporanei contenuti nell’opera, il santo avesse collocato Joseph de Maistre (1753-1821), il cui ritratto risulta incondizionatamente positivo, sia come politico, sia come scrittore e filosofo. Di Maistre don Bosco scriveva: «[…] amava la patria e la religione; e mentre le sue fatiche tendevano a beneficiare altrui, co’ suoi scritti faceva una costante opposizione ai principi della moderna falsa filosofia, ovvero dell’incredulità» (4).

1. Don Bosco e la politica

Il sito Internet della parrocchia di San Giovanni Bosco in Roma contiene un interessante aneddoto: don Bosco, invitato dal marchese liberale Massimo Taparelli d’Azeglio (1798-1866) a partecipare con i suoi giovani alla festa dello Statuto del Regno di Sardegna, declinò l’invito dicendo: «In fatto di politica io non sono né a favore né contro» (5). Ciò non significa — commenta il parroco, don Giancarlo Manieri — che egli non facesse politica, tutt’altro. I suoi scritti, i suoi interventi e le sue attività erano comportamenti politici.

Criticato da d’Azeglio «per troppa religione», don Bosco non volle mai rinunciare alla visione religiosa del mondo, né all’educazione religiosa e morale dei suoi ragazzi, che esortava spesso a essere «buoni cristiani e onesti cittadini». Un’esortazione che solo apparentemente era limitata alla dimensione personale e alla sfera della morale individuale, ma aveva di fatto una potenziale rilevanza sociale e politica.

L’invito del santo a essere buoni cristiani e buoni cittadini suscita un interrogativo, legittimo e d’indubbia attualità, da più parti formulato, cioè se si possa «fare politica» — forma elevatissima di carità, come ha ricordato Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (6) — anche senza iscriversi a partiti politici, operando sul piano civico-culturale e dell’animazione cristiana dell’ordine temporale, secondo l’espressione contenuta nel decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem (7). Questa forma di politica, altrimenti denominata della società civile, interesserebbe in Italia quattrocentomila persone, impegnate in associazioni, comitati, movimenti, che si danno da fare per concorrere alle scelte quotidiane degli amministratori pubblici.

Se per politica s’intende la ricerca e la promozione del bene comune, della cura e del bene della propria polis, queste centinaia di migliaia di persone fanno politica anche senza i partiti (8) e possono applicare al loro operato la definizione secondo cui «politico» significa tutto ciò che si riferisce alla città, e quindi cittadino, civile, pubblico e anche socievole e sociale (9). D’altronde la politica, prima della sua professionalizzazione e della sua costituzione in scienza separata, propria dell’epoca moderna, coincideva con il sociale.

La domanda se si possa fare politica senza entrare in un partito se l’era già posta, in un certo senso, san Giovanni Bosco, che così si esprimeva: «Se vuolsi, noi facciamo anche della politica, ma in modo affatto innocuo, anzi vantaggioso ad ogni Governo. La politica si definisce la scienza e l’arte di ben governare lo stato. Ora l’opera dell’Oratorio in Italia, in Francia, nella Spagna, nell’America, in tutti i paesi, dove già si è stabilita, esercitandosi specialmente a sollievo della gioventù più bisognosa, tende a diminuire i discoli e i vagabondi; tende a scemare il numero de’ piccoli malfattori e dei ladroncelli; tende a vuotare le prigioni; tende in una parola a formare dei buoni cittadini, che lungi dal recare fastidii alle pubbliche Autorità saranno loro di appoggio, per mantenere nella società l’ordine, la tranquillità e la pace» (10).

L’esigenza di affiancare alla rappresentanza politica una partecipazione popolare è stata significativamente colta anche in occasione del Convegno Europeo Buoni cristiani, onesti cittadini, «veri» europei, organizzato nel 2005 dalla Confederazione degli ex allievi e delle ex allieve e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Si legge negli atti: «La democrazia rappresentativa deve andare di pari passo con una democrazia partecipativa. Il coinvolgimento dei cittadini “europei” non dev’essere realizzato unicamente attraverso i rappresentanti politici eletti; la società civile deve avere la possibilità di partecipare all’Europa mediante associazioni di cittadini: partner sociali, sindacati, associazioni di consumatori, ecc. Questo tipo di partecipazione democratica deve essere riconosciuto ed organizzato» (11). «È l’oggetto del capitolo 6 della Costituzione. L’articolo 52 indica anche la consultazione delle chiese, delle organizzazioni filosofiche e non confessionali» (12).

Alla luce di queste considerazioni non si dovrebbe disconoscere valore politico in senso lato alla stessa religione che, oltre a garantire la salvezza eterna, costituisce il presidio più sicuro della vita sociale e politica (13). Fin dagli albori dell’età cristiana era evidente che la religione forniva, proprio in vista della salvezza eterna, norme regolatrici della vita terrena, sociale e politica.

Ne è testimonianza la Lettera a Diogneto, nella quale si legge, a proposito dei cristiani: «Come tutti gli altri uomini si sposano ed hanno figli, ma non ripudiano i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il letto. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi» (14).

Che la religione, oltre a garantire la salvezza eterna, costituisse un presidio sicuro della vita sociale e politica, in un momento in cui l’ideologia socialista si andava diffondendo in tutta l’Europa con sempre maggior virulenza, era un principio molto familiare a don Bosco, il quale così si rivolgeva, nel 1884, al Circolo Cattolico di Prato: «Chi crea una contrapposizione tra religione e benessere materiale e dice di promuovere questo combattendo quella è un ingannatore […]. Io confido che codesto Circolo Cattolico andrà ognora più allargandosi e raccogliendo al suo centro molti altri operai di buon volere, salvandoli così dalle insidie dei nemici della religione e della civile società, che col pretesto di migliorare la loro sorte la peggiorano invece di gran lunga, togliendo loro la pace della coscienza e la speranza di beni imperituri al di là della tomba» (15).

In quest’ottica, l’approfondimento della formula «buon cristiano e onesto cittadino» diventa elemento essenziale per definire in termini rigorosi non solo la visione umanistico-cristiana dell’educazione proposta dal santo salesiano, ma anche, e in particolare, la dimensione sociale e politica di essa. Entra in gioco il problema capitale dei due millenni cristiani: il rapporto fra valori eterni e valori temporali, fra la religione e le altre forme di cultura, fra evangelizzazione e umanizzazione, fra salvezza eterna e presenza nel mondo, fra fede e politica, fra appartenenza e fedeltà alla Chiesa e impegno nella società civile e nella comunità politica (16).

Tale rapporto è tratteggiato con straordinaria lucidità ed efficacia da don Bosco, il quale affermava che quanti, religiosi e laici, predicano con la parola e con l’esempio il Vangelo, si rendono altamente «[…] benemeriti della stessa civile società e degli Stati, perché dal canto loro promuovono tra i cittadini la moralità, la virtù, il buon ordine; e per tal modo cooperano al benessere morale e materiale del popolo più che non possano fare gli eserciti, le leggi, i tribunali, le prigioni» (17).

Al binomio «buon cristiano-onesto cittadino» corrisponde logicamente un altro binomio: «religione-civiltà». Di qui la possibile equazione «il buon cristiano sta al buon cittadino come la religione sta alla civiltà», che spiegherebbe, secondo don Bosco, perché i barbari erano«[…] uomini senza leggi, senza politica e quasi senza religione. In ogni loro questione la forza teneva luogo di ragione, che valeva per ogni diritto» (18).

Il binomio «buon cristiano-onesto cittadino» può essere formulato anche invertendo i termini e divenendo così: «buon cittadino perché buon cristiano» (19). In questo modo, come per nesso di causalità, se ne sottolinea il valore apologetico e positivo. In un secolo che eredita la critica illuministica della religione cristiana come mitica e oscurantistica, don Bosco, senza ricorrere a toni polemici, rivendicava alla fede la dignità di veicolo privilegiato di umanizzazione e di civilizzazione (20).

Tale pacifica rivendicazione era particolarmente significativa in Italia, dove, per più motivi, si era creato uno stato di profonda antitesi e reciproca diffidenza fra autorità civile e società ecclesiastica, fra laici e credenti, fra Paese reale e Paese legale. Il binomio esprime, comunque, un’affermazione di principio: la religione cattolica, religione «salvifica», si rivolge a tutto l’uomo; non si ferma all’anima, non mira solo alla città celeste, vuole l’uomo «salvo» anche nel corso dell’esistenza terrena, compresa l’essenziale dimensione sociale.

Il buon cristiano può, dev’essere ed è anche buon cittadino. Non è un «alienato» o perché tutto proteso al cielo, o perché scarsamente interessato ai beni terreni, o perché più o meno patologicamente assillato dalla salute eterna oppure unicamente preoccupato dei «diritti» della Chiesa e del Papa. Egli è insieme «buon cristiano e onesto cittadino» (21).

2. L’umanesimo educativo di Don Bosco

Don Braido ha definito l’espressione «buon cristiano e onesto cittadino» una «formula» dell’umanesimo educativo di don Bosco.

Egli ha stilato un elenco pressoché completo della formula quale ricorre nella penna e nella bocca di don Bosco. La formula — reiterata con lievi differenze nelle circolari destinate alla comunità salesiana, nelle lettere a varie personalità e negl’innumerevoli discorsi — sempre sottolinea la relazione inscindibile fra l’evangelizzazione della persona e il suo comportamento sociale ed è utilizzata costantemente dal 1857 fino alla morte.

Ripetuta, si direbbe oggi, come un mantra, l’affermazione esortativa diventa, in un certo senso, un’invocazione, quasi una giaculatoria. Con questo spirito si possono ripercorrere, sotto la guida di don Braido, alcuni degl’innumerevoli richiami e inviti di don Bosco a educare i giovani, affinché diventino buoni cristiani e onesti cittadini:

«Farli onesti cittadini e buoni cristiani» (22).

«Possano diventar tutti buoni cittadini e buoni cristiani» (23).

«Fare tutti buoni cristiani ed onesti cittadini» (24).

«Educare la gioventù all’onore del cristiano ed al dovere del buon cittadino» (25).

«Fare quel po’ di bene che posso ai giovanetti abbandonati, adoperandomi con tutte le forze affinché diventino buoni cristiani in faccia alla religione, onesti cittadini in mezzo alla civile società» (26).

«Preparare buoni cristiani alla Chiesa, onesti cittadini alla civile società  (27).

«Farne buoni cittadini e buoni cristiani è lo scopo che ci proponiamo» (28).

«Farne buoni cristiani ed onesti cittadini» (29).

«Sono […] utili cittadini e buoni cristiani» (30).

«Entrando un giovane in quest’Oratorio deve persuadersi che questo è luogo di religione, in cui si desidera di fare dei buoni cristiani ed onesti cittadini» (31).

«Ridonarli alla civile società buoni cristiani e buoni cittadini» (32).

«Educati a virtù cristiane e civili […] farne buoni cristiani ed onesti cittadini» (33).

«Si tratta di renderli onesti Cittadini e buoni Cristiani» (34).

«Sont maintenant de bons chrétiens et d’honnêtes citoyens» (35).

«Io godo assai nel sapere che voi […] vivete da buoni cristiani, da cittadini onorati […]. Dovunque vi troviate mostratevi sempre buoni cristiani e uomini probi» (36).

«Scopo dei nostri collegi è di formare dei buoni cristiani, e degli onesti Cittadini» (37).

«Per essere poi ridonati alla civile Società buoni cristiani, onesti cittadini» (38).

«Escono buoni Cristiani e bravi cittadini» (39).

«Ritornarli alla Società buoni cristiani ed onesti cittadini» (40).

«Educarli in modo da farne buoni cittadini e veri cristiani» (41).

«Apprendendo a vivere da buoni cristiani e da savii cittadini» (42).

«Ammaestrati a vivere da buoni cristiani e savii cittadini» (43).

«Diventano buoni cristiani, savii cittadini» (44).

«Rendendoli buoni cristiani ed utili cittadini» (45).

«Continuate dunque ad essere buoni cristiani e savii cittadini» (46).

«Dare alla civile società dei membri utili, alla Chiesa dei cattolici virtuosi, al Cielo dei fortunati abitatori» (47).

«Ridonarli […] alla civile società buoni cristiani, onesti cittadini» (48).

«Faran vedere al mondo come si possa […] essere Cristiani e nello stesso tempo onesti e laboriosi cittadini» (49).

«Istruirli, educarli e farne così dei buoni cristiani ed onesti cittadini» (50).

«Quanti buoni figliuoli, quanti padri cristiani ed onesti, quanti migliori cittadini di più non potremmo dare alle famiglie, alla Chiesa, alla società!» (51).

«Rendersi buoni cristiani ed onesti cittadini» (52).

«Restituirli alla famiglia, alla società, alla Chiesa buoni figliuoli, savii cittadini, esemplari cristiani» (53).

«Non mancherò di raccomandare ai giovani beneficati che invochino le benedizioni del cielo sopra di chi coopera così efficacemente per farli onesti cittadini e buoni cristiani» (54).

Se, come si è detto, è lecito percepire l’esortazione, ricorrente in circostanze diverse, come una forma di preghiera, l’insistenza con cui il Santo la proponeva attribuisce all’esortazione stessa, inserita in un preciso contesto storico, anche una valenza culturale e apologetica.

Don Braido rammenta che, a partire dalla rivoluzione del 1848, si fa più insistente, da parte dei laicisti e dei cattolici, il dibattito sulla compatibilità delle nuove idee di libertà e democrazia con la visione cristiana della vita (55) e menziona la nota contesa giurisdizionalistica che aveva portato, già nell’Impero d’Austria di Giuseppe II d’Asburgo-Lorena (1741-1790), alla soppressione degli ordini religiosi considerati inutili e socialmente dannosi.

Lo studioso rilegge, inserendola in quel contesto, l’azione di un protagonista laico, anzi laicista, della politica ecclesiastica, prima del regno sardo e poi del Regno d’Italia: Urbano Rattazzi (1808-1873), impegnato nella discussione delle leggi eversive sulle corporazioni religiose, presentate a partire dal 1855 nello Stato sabaudo. Si trattava, secondo il ministro, di «una questione di principii» (56), di «una lotta tra il potere civile ed il potere ecclesiastico», di «una lotta d’indipendenza» (57).

Il progetto di legge, spiegava Rattazzi nel medesimo discorso parlamentare del 1855, «[…] era inteso a sopprimere la personalità civile, ossia quella ragione di legale esistenza che la legge civile accorda a certe determinate corporazioni o società religiose». La soppressione era «[…] subordinata al giudizio dell’autorità civile sui bisogni dello Stato e sulla conformità o meno di siffatte corporazioni a tali bisogni, sulla loro utilità sociale», essendo il potere civile «il solo giudice competente dei bisogni e delle utilità dello Stato» (58).

La «dannosità» (59) che il ministro rinveniva negli enti e nelle corporazioni religiose era legata a due fattori: i membri godevano di particolari privilegi, grazie ai quali si sottraevano ai doveri imposti agli altri cittadini, e i beni delle stesse corporazioni, essendo «di manomorte», erano «[…] posti fuori del commercio» (60).

Urbano Rattazzi

Il danno non riguardava soltanto la vita sociale, ma anche la sfera religiosa. In un discorso del 24 gennaio 1855, il ministro affermava: «Io non dico che debbano sopprimersi le comunità religiose aventi per istituto la vita ascetica e contemplativa, perché siano più ricche, ma perché sono le più inutili» (61).

Non è da escludere che le insistenze di don Bosco sull’utilità sociale della religione, in particolare dell’educazione religiosa della gioventù, possano avere qualche riferimento a questa controversia. Ma prima di lui e poi con lui erano scesi in campo numerosi pubblicisti cattolici, tendenti a dimostrare un vincolo indissolubile fra religione e civiltà, fra contemplazione religiosa e bene della società, tra funzione salvifica e utilità civile delle istituzioni religiose (62).

Don Braido nota che l’espressione «buon cristiano buon cittadino», propria della tradizione cristiana e cattolica, all’epoca era stata più volte ripresa dai giornali L’Armonia della Religione colla Civiltà e L’Unità Cattolica, nonché dal vescovo di Parma, mons. Domenico Villa (1818-1882).

Il 4 luglio 1848 veniva pubblicato a Torino il primo numero de L’Armonia. Il giornale era espressione di un gruppo d’intellettuali facenti capo al marchese Carlo Emanuele Birago di Vische (1797-1862), a mons. Luigi Moreno (1800-1878), vescovo d’Ivrea e al teologo don Guglielmo Audisio (1802-1882), rettore della Regia Accademia Ecclesiastica di Superga. Fra i collaboratori, oltre al sacerdote e giornalista Giacomo Margotti (1823-1887), figurano il teologo Gaetano Alimonda (1818-1891), futuro arcivescovo di Torino e cardinale, il marchese Fabio Invrea (1812-1889), il marchese Gustavo Benso di Cavour (1806-1864), fratello di Camillo (1810-1861), e il beato don Antonio Rosmini Serbati (1797-1855).

Così scriveva il marchese Gustavo di Cavour sul primo numero della rivista, il 4 luglio 1848: «Qualunque sia il mutamento avvenuto nelle condizioni di un popolo, perdura sempre nel vero cristiano l’obbligo costante ed immutabile di regolare la sua condotta secondo quello spirito di universale benevolenza, che con nome speciale si appella CARITÀ […]. Nell’esercizio pratico un tal sentimento deve regolarsi secondo l’ordine di prossimità, e così l’amor di patria, anzi una special predilezione per la medesima trovasi necessariamente implicato e compreso nella carità cristiana. Indi nasce la natural conseguenza, che il vero cristiano sarà sempre zelante ed ottimo cittadino, mentre più assai dei proprii gli staranno a cuore gl’interessi della patria e de’ suoi compaesani» (63).

Sullo stesso giornale si leggeva: «[…] non potrà mai essere buon cristiano chi non è buon cittadino» (64). Con la rivoluzione del 1848 — in particolare dopo il regio decreto del 25 agosto 1848 con cui la Compagnia di Gesù e la corporazione delle Dame del Sacro Cuore venivano definitivamente escluse da tutto lo Stato, ad eccezione della Savoia per quest’ultima —, la formula «buon cristiano e onesto cittadino» subiva un’eclissi, anche se perdurava la certezza che «solo nell’armonia della religione colla civiltà può l’illustre nazione a cui apparteniamo trovare secura tranquillità e felici destini» (65).

Va detto, come indice delle buone relazioni fra ambienti cattolici diversi, che abbondanti notizie e informazioni sull’oratorio di Valdocco si ritrovano nel giornale L’Unità Cattolica, diretta dal teologo don Margotti, che aveva lasciato la direzione de L’Armonia.

Don Braido segnala che formule spesso identiche a quelle utilizzate dal santo torinese si trovano anche negl’interventi di mons. Villa, vescovo di Parma, che si poneva agli antipodi del liberalismo, compreso quello cattolico. Le asserzioni del vescovo si possono così sintetizzare:

1) la religione è l’insostituibile sorgente della felicità sia individuale, sia sociale. I moderni filantropi pretendono di assicurare la felicità al popolo con il programma «istruzione e lavoro», che considerano i fattori della civile prosperità, ma «ogni progresso separato dalla religione è regresso» (66);

2) l’istruzione religiosa è il mezzo più efficace per promuovere la felicità individuale e sociale, temporale ed eterna;

3) frutti naturali dell’istruzione e dell’educazione cristiana sono il buon cristiano e l’onesto cittadino. Rispetto a don Bosco, però, il vescovo enfatizza il nesso di causalità tra i due termini del binomio nel senso che non basta vivere da galantuomo per essere cristiano, ma bisogna vivere da cristiano per essere galantuomo e non può essere onesto il galantuomo che prima non è vero cristiano cattolico;

4) l’idea del buon cittadino cristiano esclude ogni connotazione liberale. Il cattolico liberale, infatti, non sarebbe, secondo mons. Villa, né un autentico buon cristiano né un vero buon cittadino: «Appariscono al di fuori buoni cattolici, onesti cittadini, frequentano le chiese, i sacramenti, le pratiche di pietà, sono savi padri di famiglia, mariti affettuosi, ma il segreto tarlo del liberalismo ha svigorita la loro energia di cattolici […] apparentemente sono cattolici, cattolici per metà, cattolici liberali che è quanto a dire di Dio e del mondo» (67).

In don Bosco l’utilizzo del binomio «buon cristiano e onesto cittadino» non rivela, secondo don Braido, finalità polemiche o di scontro dottrinale, ma evidenzia lo sforzo, da parte del religioso salesiano, di operare nel mondo ancorché impregnato di ideologia risorgimentale. Un rapporto estremamente difficile, complesso, ma obbligatorio, condotto con spirito e atteggiamento profetici, tali da anticipare l’approccio pastorale del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965).

La missione salesiana, inoltre, era rivolta soprattutto ai giovani, in particolare a quelli poveri, abbandonati, «pericolanti e pericolosi» (68), di cui don Bosco si occupava, sottolineando sempre il rapporto fra la loro educazione e la salvezza eterna, e, non meno importante, quello fra la loro educazione e il bene della società civile. Da questa articolazione di interessi individuali e sociali, di obiettivi e di programmi deriva la pluralità altrettanto differenziata di formule: il buon cristiano per l’onesto cittadino, il buon cristiano e l’onesto cittadino, il buon cittadino perché buon cristiano, il buon cittadino frutto di una buona educazione morale e professionale cristiana.

Don Giovanni Bosco nel 1877, in una lettera a Eduardo Carranza Viamont (1812-1887), presidente della conferenza di san Vincenzo de’ Paoli di Buenos Aires:, scriveva: «[…] l’unico mezzo per sostenere la civile società: aver cura dei poveri fanciulli. Raccogliendo ragazzi abbandonati si diminuisce il vagabondaggio, diminuiscono i tiraborse, si tien più sicuro il danaro nella saccoccia, si riposa più quieti in casa, e coloro che forse andrebbero a popolare le prigioni, e che sarebbero per sempre il flagello della civile società, diventano buoni cristiani, onesti cittadini, gloria dei paesi ove dimorano, decoro della famiglia cui appartengono, guadagnandosi col sudore e col lavoro onestamente il pane della vita» (69).

Si può già intuire da quest’ultimo passo che la trasformazione delle strutture sociali non entra direttamente nelle mire di don Bosco, poiché la formazione della coscienza morale e religiosa dei giovani è da lui ritenuta qualitativamente prioritaria rispetto ad ogni possibile riforma delle strutture (70).

3. La memoria del passato per la costruzione del futuro

Dal punto di vista delle strutture sociali e politiche don Bosco «[…] sembra volgere lo sguardo al passato più che al futuro, rievocando l’ideale dello stato confessionale e una società stratificata e ordinata, dove fiorivano il rispetto delle autorità, l’amore alla fatica, il diritto di proprietà; e le dottrine cattoliche e morali e il santo timor di Dio costituivano il principio fondante della fraterna e pacifica convivenza» (71).

La società cui egli fa riferimento non è, pertanto, quella libera, ugualitaria e fraterna, ispirata ai princìpi illuministici, che porteranno al 1789, o quella auspicata dal socialismo

Del resto, il retroterra culturale di don Bosco «[…] è una soda formazione teologica nutrita da vaste letture delle opere dei padri e dei dottori della Chiesa, dei classici antichi e moderni» (72) e «il fondamento della sua pedagogia è la concezione dell’uomo data dalla teologia cattolica, come il fondamento della pedagogia di Rousseau è l’antropologia naturalistica» (73).

L’ancoraggio alla tradizione fonda in don Bosco il coraggioso progetto e­ducativo destinato alle nuove generazioni. Egli vedeva con occhio lungimirante e con trepidazione le trasformazioni in corso e così le descriveva ai collaboratori nel 1878: «Una volta solo nelle grandi città bisognava provvedere all’anima e al corpo di tanti poveri giovani, abbandonati, scandalizzati, vittime infelici del delitto, della miseria, del vizio; ma ora in quanti altri luoghi anche piccoli bisogna provvedere alla gioventù pericolante, se si vuole salvare la società» (74).

Qualche anno dopo ribadiva: «[…] se la gioventù è bene educata avremo col tempo una generazione migliore; se no, fra poco sarà composta di uomini sfrenati ai vizi, al furto, all’ubriachezza, al mal fare» (75). In una conferenza nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Parigi così diceva: «Della gioventù noi dobbiamo intrattenerci. Secondo la parola di uno dei vostri più illustri prelati, monsignor Dupanloup [Félix-Antoine-Philibert (1802-1878), vescovo di Orléans], la società sarà buona, se voi darete una buona educazione alla gioventù» (76).

Sugli effetti positivi dello sforzo educativo il santo non aveva dubbi. Nel 1881 rassicurava i collaboratori di Firenze che i risultati si sarebbero manifestati, oltre che nella sfera religiosa e della morale privata, anche in quella della moralità sociale pubblica e della politica (77).

Di qui il suo vivo interesse, oggi attualissimo, per la politica, in senso lato: «Se vuolsi, noi facciamo anche della politica, ma in modo affatto innocuo, anzi vantaggioso ad ogni Governo» (78). «Se vogliamo una società buona dobbiamo far convergere tutti i nostri sforzi nell’educare cristianamente la gioventù, che fra breve formerà la umana generazione. Se essa sarà bene educata avremo la società domestica e civile costumata; se male, la società andrà ogni dì peggiorando […]. La vostra carità giova alla civile società, giova alle famiglie cristiane, e, diciamolo pure, giova anche alle non cristiane» (79).

Con questa consapevolezza i missionari salesiani varcarono ben presto l’Oceano Atlantico per portare evangelizzazione e civiltà. In una lettera ai cooperatori il santo rammentava le migliaia di «poveri indiani di Patagonia» (80), che avevano ricevuto «col lume della fede i principii di cristiana civiltà», e che, mediante l’opera dei missionari, avrebbero formato «un popolo laborioso, morigerato e savio». E continuava: «[…] in quella vastissima regione del mondo esistono innumerevoli tribù di uomini ancora ignari del vero Dio, di Gesù Cristo e della sua Religione, e perciò privi del benefizio della divina Redenzione e dei frutti della cristiana civiltà. Sui confini di quel regno dell’ignoranza e della barbarie già si sono stabiliti i nostri Missionari e le Suore di Maria Ausiliatrice».

Lo studio del concetto boschiano di «buon cristiano e onesto cittadino» offre rilevanti spunti di riflessione e di azione. Il bicentenario della nascita è una provvidenziale occasione per rinnovare la devozione a san Giovanni Bosco, per richiederne l’intercessione e per studiarne il carisma profetico sempre attuale.

Note:

(1) Cfr. Giovanni Bosco, La storia d’Italia raccontata alla gioventù dai suoi primi abitatori sino ai nostri giorni, Tipografia e Libreria Salesiana, Torino 1888.

(2) Cfr. Francesco Traniello (a cura di), Don Bosco nella storia della cultura popolare, SEI. Società Editrice Internazionale, Torino 1987, p. 96.

(3) Cfr. Augustin Barruel S.J., Mémoires pour servir à l’histoire du jacobinisme, 1797-1798, 2 voll., Éditions de Chiré, Chiré-en-Montreuil 2013 (trad. it. parz. del vol. II in Idem, Gli illuminati di Baviera. Una setta massonica del Settecento tra congiura e mistero, con introduzione di Daniele Sironi, Mondadori, Milano 2004).

(4) G. Bosco, La storia d’Italia raccontata alla gioventù dai suoi primi abitatori sino ai nostri giorni, cit., p. 448.

(5) Don Giancarlo Manieri, Don Bosco e la politica. Massimo d’Azeglio, all’indirizzo Internet http://www.parrocchiadonbosco.it//don-bosco-e-la-politica , consultato il 22-2-2015.

(6) «La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune» (Francesco, Esortazione Apostolica «Evangelii gaudium», del 24-11-2013, n. 205).

(7) Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sull’apostolato dei laici «Apostolicam Actuositatem», del 18-11-1965, n. 7.

(8) Cfr. Giulio Marcon, Come fare politica senza entrare in un partito, Feltrinelli, Milano 2005, p. 9.

(9) Cfr. Dizionario di Politica, diretto da Norberto Bobbio (1909-2004), Nicola Matteucci (1926-2006) e Gianfranco Pasquino, Voce Politica, TEA, Milano 1996, p. 800.

(10) G. Bosco, L’onomastico del Padre e i figli a mensa con lui, 24-6-1883, in Bollettino salesiano, anno VII, n. 8, Torino agosto 1883, p. 127-129 (p. 128), in P. Braido, Buon cristiano e onesto cittadino cit., p. 56.

(11) Cfr. Renée Seghers Dassy, Fare l’Europa oggi, operando insieme, in Linee d’impegno 2005-2007: buoni cristiani, onesti cittadini, veri europei. Atti del convegno europeo, Frisinga-Monaco di Baviera, 21-25 maggio 2005, Confederazione delle Ex allieve e degli Ex Allievi delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Aiello e Provenzano, Bagheria (Palermo) 2005, pp. 33-44 (p. 41).

(12) Cfr. Costituzione Europea, del 29-10-2004, art. I-52, Status delle chiese e delle organizzazioni non confessionali.

(13) Cfr. P. Braido, Buon cristiano e onesto cittadino, cit., p. 60.

(14) Lettera a Diogneto, a cura di Giobbe Gentili, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, ivi 2014, V, 1-10.

(15) G. Bosco, Lettera al Circolo Cattolico di Prato, 31-10-1884, cit. in P. Braido, Buon cristiano e onesto cittadino, cit., p. 61.

(16) Cfr. anche P. Braido, Il progetto operativo di don Bosco e l’utopia della società cristiana, LAS. Libreria Ateneo Salesiano, Roma 1982; Idem, Laici e laicità nel progetto operativo di don Bosco, in Mario Cogliandro e Antonio Martinelli (a cura di), Laici nella Famiglia Salesiana. Atti della XII Settimana di Spiritualità della Famiglia Salesiana, Editrice S.D.B., Roma 1986, pp. 17-34; e Idem, Pedagogia ecclesiale in don Bosco, In Charles Cini e A. Martinelli (a cura di), Con i giovani raccogliamo la profezia del Concilio. Atti della XIII Settimana di Spiritualità della Famiglia Salesiana. Editrice S.D.B., Roma 1987, pp. 23-63.

(17) G. Bosco, Lettera ai Cooperatori e alle Cooperatrici, in Bollettino salesiano, anno XI, n.1, Torino gennaio 1887, pp. 1-7 (p. 6), in P. Braido, Buon cristiano e onesto cittadino, cit., p. 55.

(18) Idem, La storia d’Italia raccontata alla gioventù da’ suoi primi abitatori sino ai giorni nostri, Tipografia Paravia e compagnia, Torino 1855, p. 184, in P. Braido, Buon cristiano e onesto cittadino, cit., p. 61.

(19) Ibidem.

(20) Cfr. ibid., p. 66.

(21) Cfr. ibid., p. 67.

(22) G. Bosco, Circolare, 10-6-1857, ibidem.

(23) Idem, Circolare, 10-10-1862, ibidem.

(24) Idem, Lettera alla contessa G[erolama]. Uguccioni, 28-3-1872, ibidem.

(25) Idem, Al prefetto di Torino, 3-1-1873, ibidem.

(26) Colloquio di don Bosco con il marchese Michele Benso di Cavour,ibidem.

(27) G. Bosco, Ai Cooperatori salesiani ossia un modo pratico per giovare al buon costume ed alla civile società, 1877, ibidem.

(28) Idem, Lettera a Carlo Vespignani, 11-4-1877, ibid., p. 68.

(29) Idem, Ai Cooperatori Salesiani, ibidem.

(30) Idem, Sistema preventivo (Utilità), 1877, ibidem.

(31) Regolamento dell’Oratorio di S. Francesco di Sales per gli esterni(1877), ibidem.

(32) G. Bosco, Promemoria a Leone XIII, marzo 1878, ibidem.

(33) Idem, Conferenza a Roma, ibidem.

(34) Idem, Lettera ai Cooperatori salesiani, ibidem.

(35) Idem, Conferenza a Marsiglia, 20-2-1880, ibidem.

(36) Idem, Discorso a ex-allievi, 24-6-1880, ibidem.

(37) Deliberazioni del secondo Capitolo generale, 1880, ibidem.

(38) Circolare, gennaio 1881, ibidem.

(39) Idem, Conferenza ai Cooperatori di Torino, 20-1-1881, ms. allografo, ibidem.

(40) Idem, Lettera ai Cooperatori, ibidem.

(41) Idem, Conferenza a Firenze, ibidem.

(42) Idem, Lettera ai Cooperatori, ibid., p. 69.

(43) Ibidem.

(44) Idem, Discorso a ex-alunni, 24 giugno 1882, ibidem.

(45) Ibidem.

(46) Idem, Discorso a ex-alunni, 24 giugno 1882, ibidem.

(47) Idem, Lettera ai Cooperatori (1883), ibidem.

(48) Idem, Lettera ai Cooperatori (1884), ibidem.

(49) Idem, Discorso a ex-allievi, ibidem.

(50) Idem, Conferenza ai Cooperatori di Parigi, ibidem.

(51) Idem, Conferenza ai Cooperatori di Torino, ibidem.

(52) Idem, Lettera ai Cooperatori (1886), ibidem.

(53) Idem, Lettera ai Cooperatori (1887), ibidem.

(54) Idem, Circolare per una lotteria, ibidem.

(55) Ibid, p. 30.

(56) «Con la legge di soppressione degli enti morali e di incameramento dei loro beni del 7 luglio 1866 il riconoscimento civile viene sottratto senza eccezioni a tutti gli enti e corporazioni religiose» (Urbano Rattazzi, Discorso del 10 maggio 1855, ibid., nota 104).

(57) Ibidem.

(58) Ibid, p. 31.

(59) Ibid, p. 32.

(60) Ibidem.

(61) Ibid, p. 33.

(62) Cfr. ibid, p. 30.

(63) Gustavo Benso di Cavour, Del progresso in senso cattolico, ibid., p. 33.

(64) Circolare del Vicario Generale di Genova ai parroci e al Clero,ibid., p. 34.

(65) L’Armonia, 17-1-1849 e 19-1-1849,ibid., p. 35.

(66) Mons. Domenico Villa, ibid., p. 39.

(67) Ibid., p. 42.

(68) Ibid., p. 44.

(69) G. Bosco, Al dottor Edoardo Carranza, 30-9-1877, ibid., p. 45. P. Braido scrive in nota: «In altra lettera don Bosco loda i Confratelli della Misericordia per l’accoglienza offerta ai Salesiani, messi in condizione di aprire altre e poi altre case a favore della classe più bisognosa della civile Società; dei pericolanti giovanetti, che se non sono aiutati diventano il flagello della Società, e vanno per lo più a popolare le prigioni».

(70) Cfr. ibid., p. 46.

(71) P. Braido, Il progetto operativo di Don Bosco e l’utopia della società cristiana, cit., pp. 10-11.

(72) Enrico Pederzani (1917-2004), La pedagogia di Don Bosco, Istituto Salesiano Valsalice, ed. extracommerciale, Torino 1988, p. 4.

(73) Ibidem.

(74) G. Bosco, Prima conferenza ai Cooperatori di Torino, 16-5-1878, in P. Braido, Buon cristiano e onesto cittadino, cit., p. 46.

(75) Idem, Conferenza ai Cooperatori di Lucca, 8-4-1882, ibid., p. 47.

(76) Idem, Conferenza nella chiesa della Maddalena a Parigi, 29-4-1883, ibidem.

(77) Cfr. Circolare ai Cooperatori fiorentini, ottobre 1881, ibid., p. 48.

(78) G. Bosco, L’onomastico del Padre e i figli a mensa con lui cit., ibid., p. 28.

(79) Discorso detto da D. Bosco ai Cooperatori e alle Cooperatrici [a Torino], ibid., p. 56.

(80) Lettera di Don Bosco ai Cooperatori e alle Cooperatrici (1886),ibid., p. 57.