Cortigiani della sventura. Il dovere del cattolico in tempi di crisi

Newsletter dell’Associazione Tradizione Famiglia Proprietà — settembre 2018 — 1

di Plinio Corrêa de Oliveira

Prima che il nostro coro intoni le Lamentazioni di Geremia, permettetemi di tessere qualche commento. (*)

Come sapete, il profeta Geremia pianse la caduta di Gerusalemme e, allo stesso tempo, la passione e morte di Nostro Signore Gesù Cristo. In questo senso, egli è forse il profeta più addolorato, più carico di tormenti e di lamenti. A tal punto che, perfino oggi, di qualcuno che piange troppo si dice che è un “Geremia”, e di un lamento terribile si dice che è una “geremiade”. Geremia fu il profeta delle lacrime, colui che profetizzò meglio il pianto e il dolore di Nostro Signore e della Madonna.

Ecco i brani che saranno cantati fra poco: “Ah! Come mai siede solitaria la città un tempo ricca di popolo! È divenuta come una vedova, la Grande fra le nazioni, la Signora delle province, è ridotta a servire e a pagare tributo!” .

Gerusalemme era sovrana e governava province, adesso è costretta a servire e a pagare tributo. Ha perso la sovranità che la adornava ed è soggetta al potere straniero. Ha perso il meglio della sua gloria ed è ridotta in uno stato di somma prostrazione.

Continua Geremia: “In amaro pianto trascorre le notti, le sue lacrime scendono sulle guance; non vi è chi la consoli fra tutti i suoi amanti; tutti i suoi amici l’hanno tradita, le sono divenuti nemici”.

La Principessa è completamente prostrata. Quelli che la amavano l’hanno abbandonata, gli amici adesso la disprezzano. Ed ella piange durante la notte, nell’oscurità e nell’isolamento. Gerusalemme è abbandonata, gli avversari l’hanno espugnata ed hanno ridotto il popolo in schiavitù, nessuno la cerca più, non c’è più culto divino, non c’è più legge, non c’è più commercio, non c’è più vita. La città è un ammasso di rovine…

Questo pianto profetico sopra la città di Gerusalemme si applica anche alle sofferenze della Santa Chiesa Cattolica nel corso dei secoli e, soprattutto, alla più angosciante di tutte le sofferenze della Chiesa dalla Pentecoste ai giorni nostri: il dolore per la terribile crisi che oggi la attanaglia e che diventa sempre più accentuata. Possiamo applicare alla Chiesa di oggi le parole di Geremia: “Ah! Come mai siede solitaria la città un tempo ricca di popolo!”.

La Chiesa cattolica una volta era piena di gente. Tutti la frequentavano, la adoravano, la riverivano, la onoravano. Oggi le chiese sono ancora piene ma la Chiesa è vuota. Si vedono molte persone a Messa, il numero delle comunioni è in aumento. Quando arriva l’ora della comunione, in alcune chiese quasi tutti si accostano alla mensa eucaristica. Si direbbe che è in atto una rifioritura della Fede. Quanto è vana tale fioritura! Quanto sono pochi coloro che, all’interno della Chiesa, si possono considerare veri figli!

Cos’è un vero figlio della Chiesa cattolica? È colui che crede in tutto ciò che la Chiesa crede, ama tutto ciò che la Chiesa ama e, quindi, non dubita di nulla di ciò che la Chiesa insegna. Allo stesso tempo, detesta quanto sia contrario alla Chiesa. È, quindi, un individuo completamente ultramontano, che non dà il suo cuore a nulla che non sia il cuore della Chiesa. Questo è il vero cattolico.

Io mi chiedo: di tutte queste persone che affollano le chiese oggi, quante sono veramente cattoliche? Quante la pensano in tutto come la Chiesa e sono piene del suo spirito?

Una volta le chiese erano strapiene di veri cattolici, di fedeli ciascuno dei quali era un vero tempio dello Spirito Santo. La Chiesa viveva nelle anime dei fedeli che la frequentavano. Oggi la Chiesa ha perso quel dominio, è stata abbandonata dai popoli. Oggi i pastori guidano il gregge in una direzione opposta alla Chiesa.

La Chiesa è completamente sola. Lei che era la Signora delle nazioni, perché governava su tutti. Lei che era la Principessa delle province, perché ogni grande nazione della terra era come una provincia amorevolmente soggetta al suo dominio. Ebbene, questa Principessa giace sola e abbandonata…

Ricordo un quadro medievale che raffigurava una Messa pontificia. Il Papa era accolitato dall’Imperatore del Sacro Impero e dal Re di Francia, mentre il Re di Spagna e quello dell’Inghilterra erano lì a fianco. Questa era la Santa Chiesa, Signora delle province! Il Sacro Impero, la Francia, la Spagna, l’Inghilterra, tutti la adoravano e la servivano!

Come è tutto diverso oggi! Ecco perché la Chiesa piange, piange di notte, piange sola. È la notte dell’incomprensione, nessuno più la capisce, nessuno più la segue. E lei piange. È il pianto della Madonna a Siracusa, il pianto della Madonna a Rocca Corneta. A La Salette e in altri luoghi, la Madonna è apparsa piangendo o mostrando tristezza. È lo stesso pianto della Chiesa, sola e di notte.

Spetta a noi accompagnarla in questo pianto solitario, oggi, stasera. Dobbiamo cercare il dolore della Principessa delle nazioni per consolarla!

Mi viene in mente una bella espressione di Chateaubriand. Parlando della sua fedeltà ai legittimi eredi al Trono di Francia, che lo avevano molto deluso, egli scrisse: “Sono un cortigiano della sventura!”. Noi dobbiamo essere cortigiani della sventura. In questa terribile notte, in cui la Chiesa giace prostrata per terra, abbandonata da tutti, noi dobbiamo avvicinarla con venerazione e con tenerezza. Con i nostri cuori straripando di amore, dobbiamo dire alla Chiesa ciò che ella deve sentire.

Prima di tutto, dobbiamo dire che crediamo nella Chiesa dal fondo delle nostre anime, totalmente, completamente. Vogliamo pensare come ella pensa, sentire come ella sente, volere come ella vuole. Dobbiamo – letteralmente – ubriacarci di amore per la Chiesa, con la casta ebbrezza dello Spirito Santo. Quando gli Apostoli ricevettero lo Spirito Santo, a Pentecoste, la gente diceva che erano ubriachi. Era l’entusiasmo del divino Spirito Santo.

Riempiamoci dello spirito della Chiesa e proclamiamo che, nonostante tutto, noi rimaniamo fedeli: conserviamo l’antica dottrina, manteniamo un Magistero che non cambia, serbiamo gli usi perenni in cui si riflette l’autentico spirito della Chiesa. Noi conserviamo la certezza che la Chiesa è viva, che un giorno ella vincerà. Teniamo i nostri occhi rivolti verso la Chiesa, verso i suoi trionfi futuri, verso il Regno di Maria. La nostra adorazione per la Chiesa arriva così lontano che, proprio quando sta sola e prostrata per terra, offriamo a lei questo atto di suprema obbedienza.

Nel momento in cui tutti sembrano abbandonarla, noi ci inchiniamo davanti a lei. Nella misura del ragionevole, del necessario, e secondo la sua costituzione divina, diciamo che obbediamo alla sua gerarchia e ai suoi legittimi pastori. Questo è il nostro atteggiamento.

Se uno di noi morisse in questo momento, svegliandosi alla vita eterna contemplerà Dio in faccia e sarà accolto dalla Madonna con una tenerezza ineffabile. Udirà da Nostro Signore, con una voce intrisa di amore, queste parole riguardanti il Giudizio Finale: “Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”.

La Santa Chiesa Cattolica, che è il Corpo mistico di Cristo, è in un certo senso nuda. Noi dobbiamo coprirla con il nostro amore, sacrificando per lei tutto il nostro prestigio e tutti i nostri beni terreni, unicamente per esaltarla con gloria agli occhi degli uomini.

Vogliamo poter dire: la Chiesa aveva fame e noi le abbiamo dato da mangiare, portando nel suo gregge figli di una fedeltà perfetta. Era incarcerata, la sua voce non si sentiva più, e noi abbiamo rotto il silenzio proclamando la sua vera dottrina eterna. Se, nel Giudizio Finale, Dio ripagherà in modo magnifico ogni piccola elemosina data al minimo dei mendicanti, come Egli non ripagherà le elemosine fatte a questa sublime, questa regale, questa meravigliosa mendicante! La Santa Chiesa Cattolica è nostra Signora, piena di dolore, coperta di lividi ma Regina come sempre e più bella che mai.

Quando, fra qualche minuto, sentiremo il coro cantare le Lamentazioni di Geremia, dobbiamo far sì che le melodie esprimano i sentimenti della nostra anima, presentati alla Santa Chiesa Cattolica per mezzo della Madonna e di Nostro Signore Gesù Cristo. Dobbiamo dire alla Chiesa che noi condividiamo il suo dolore, condividiamo il suo pianto, che le nostre anime piangono e, piene di amore, bramano per consolarla con un amore riparatore che copra tutto il male e tutto l’odio che le viene lanciato contro in questo momento.

Dobbiamo tener presente che, proprio quando la Chiesa è più perseguitata, se qualcuno le si avvicina per consolarla nella sua sublime solitudine, per lavare la sua vergogna con le proprie lacrime, le grazie e i miracoli zampillano da ogni parte. Dopo l’auge dell’agonia e morte di Nostro Signore Gesù Cristo, è cominciata l’era dei grandi miracoli. È la conversione di Disma, che da ladrone sentenziato e giustiziato è passato a essere un santo: “Tu oggi sarai con me in Paradiso”. Il primo santo della storia fu canonizzato dall’alto della Croce. È la guarigione del centurione Longino, che trapassò il fianco di Nostro Signore con la sua lancia. Egli, che era quasi cieco, fu guarito dal liquido che ne scaturì. Poco prima c’era stato il miracolo della Veronica. Fermatasi per ripulire Nostro Signore, coperto di polvere, sangue, sputi e ogni sorta di sporcizia, vide il Sacro Volto stampato sul velo.

Chiediamo a Nostro Signore Gesù Cristo che, per la nostra fedeltà alla Chiesa in questo momento supremo, ci conceda il miracolo della nostra conversione. Chiediamo che ognuno di noi diventi un apostolo degli ultimi tempi, secondo quanto scrisse san Luigi Maria Grignion de Montfort nella sua “Preghiera infuocata”. Chiediamo che ognuno di noi sia pienamente ciò per cui è stato creato, che diventi quel santo che dovrebbe essere. Chiediamo che su questo velo morale col quale ripuliamo la Santa Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo, si stampi il Suo Sacro Volto. Noi vogliamo, stampato sulle nostre anime, il Sacro Volto del Signore nostro Gesù Cristo, cioè lo spirito di Cristo, perché il volto è il simbolo dello spirito.

E con queste disposizioni di anima, e invocando il patrocinio del profeta Geremia, che adesso ascolteremo le Lamentazioni.

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(*) Da una riunione per soci e cooperatori della TFP brasiliana, 11 agosto 1967. Tratto dalla registrazione magnetofonica, senza revisione dell’autore.