L’ “intelligenza della fede” contro la “fede intellettuale”

dal sito itresentieri.it  

L’esempio dei Magi

re magi

di Corrado Gnerre

Benedetto XVI parla della cosiddetta intelligenza della fede. Ma che cosa vogliono dire queste parole?

La definizione cattolica di fede è: assenso dell’intelletto alle verità rivelate. Dunque, nel concetto cattolico di fede si riconosce il ruolo protagonistico della volontà (assenso), ma nello stesso tempo si riconosce che questa (la volontà) ha bisogno del coinvolgimento dell’intelligenza. Quest’ultima, infatti, laddove non può dimostrare, è sempre comunque chiamata ad indagare i fattori di credibilità che sono alla base delle verità rivelate.

Sant’Agostino amava citare due frasi, che poi diventeranno fondamentali per lo sviluppo del pensiero filosofico e teologico medioevale. Le due frasi sono: intelligo ut credam e credo ut intelligam. Ovvero: ragiono per credere e credo per ragionare. Con queste parole il Santo d’Ippona voleva far capire l’indissolubilità del rapporto tra ragione e fede. Non solo la ragione svolge un ruolo propedeutico -cioè introduttivo- nei confronti della fede (intelligo ut credam), ma essa (la ragione) viene anche alimentata e vivificata dalla fede (credo ut intelligam).

Dunque, nell’ambito della fede cattolica il ruolo dell’intelligenza è insostituibile. Il Concilio Vaticano I, nella sezione III, a proposito dei miracoli dice che essi sono “segni certissimi della Divina Rivelazione adatti all’intelligenza di tutti”. Il che vuol dire che la Divina Rivelazione, anche con i suoi segni miracolosi, è verificabile intellettivamente da parte di qualsiasi intelligenza.

Tornando al concetto di intelligenza della fede, va detto che essa non significa una deriva intellettualistica della fede stessa. L’intelligenza della fede non è la fede intellettuale, piuttosto è il contrario di questa; anzi, possiamo dire che la prima costituisce l’antidoto più sicuro per evitare la seconda. E adesso lo dimostriamo.

Abbiamo detto che cattolicamente intelligenza della fede vuol dire coinvolgere l’intelletto nell’accettazione della Divina Rivelazione. Questo tipo di operazione la possono fare non solo le persone colte, ma anche quelle (e più facilmente!) semplici. Andando a riprendere ciò che il Concilio Vaticano I dice sui miracoli, va ricordato che questi si “adattano all’intelligenza di tutti”. L’intelligenza della fede impone il rendere ragione alle verità in cui si crede, chiedersi cioè se è credibile o no una determinata affermazione.

Ciò implica la verifica, e questa, nella Divina Rivelazione, è a disposizione di tutti. A noi può non esser dato “toccare” e “vedere”, ma dobbiamo comunque affidarci a coloro che hanno “toccato” e “veduto”.

La fede intellettuale, invece, ha un altro tipo di prospettiva. Prescinde volutamente dalla “verifica” per fondarsi unicamente sulla spiegazione intellettuale, la quale, molto spesso, può altrettanto volutamente fare a meno dalla constatazione. Insomma, la fede intellettuale è definibile anche come “fede ideologica”, intendendo per ideologia la pretesa del pensiero di non solo prescindere dall’osservazione, ma addirittura di assorbire e trasformare il reale nel puro esercizio intellettuale. La fede intellettuale è inevitabilmente una fede di tipo spiritualista, dove il “fatto”, i “segni”, la “carnalità” del Divino vengono disprezzati nella presunzione che tutto questo non occorra per fondare la propria convinzione. E’ una fede che possiamo definire anche “autoreferenziale”.

Quando Gesù nel Vangelo loda spesso i piccoli, lo fa proprio per evidenziare l’importanza dello stupore e della meraviglia, elementi questi fondamentali per riconoscere la signoria della Sua Persona. L’intelligenza della fede è nel Vangelo ben espressa dagli umili pastori a cui per primo si manifestò il Divino Bambino. E’ espressa dai tanti semplici che seppero riconoscere il Signore Gesù. Ma è anche espressa dai sapienti Magi.

Proprio su i Magi facciamo qualche riflessione. Essi, pur essendo degli “intellettuali”, decisero di lasciare le proprie dimore per mettersi in cammino, nella consapevolezza che non potevano trovare in se stessi la risposta alla propria vita. Certamente, il rimanere nelle proprie dimore sarebbe stato per loro molto più comodo, ma a cosa sarebbe valso se a questa comodità si fosse inevitabilmente accompagnato il non senso?

Essi si misero in cammino proprio perché constatavano la propria povertà, malgrado fossero ricchi di cultura. Se fossero stati convinti che i loro pensieri e le loro conoscenze fossero state adeguate risposte al senso del vivere sarebbero rimasti dov’erano. Invece, preferirono correre il rischio di mettersi in cammino. Sicuri che li avrebbe attesi la più grande ricchezza che nessuna conoscenza intellettuale avrebbe potuto sostituire.

Ecco: questa posizione, rappresentata dai Magi, è una posizione intelligente ma non intellettuale. E’ la posizione che ci fa capire quanto l’intelligenza della fede non sia la fede intellettuale, ma il suo contrario.