Crociate e inquisizione

Centro culturale “Amici del Timone” Staggia Senese 13 Aprile 2018

Conferenza tenuta da Rino Cammilleri

(trascrizione della conversazione tenuta “a braccio”, rivista dall’autore)

Il titolo di questa sera è abbastanza azzeccato, nel senso che, se ci pensiamo un attimo, la Chiesa ha sempre avuto due nemici: uno interno e uno esterno, spesso in contemporanea. Quello interno sono le eresie, comunque esse si chiamino; quello esterno, dal VII secolo in poi, è sempre e solo uno: l’Islam.

Nel Medioevo la Chiesa si trova a dover rispondere a questi due nemici con due istituzioni: una è l’Inquisizione e l’altra sono le Crociate; ecco perché vanno di pari passo e nel periodo in cui si mossero lo fecero all’unisono, anche se lo fecero indipendentemente l’una dall’altra. I protagonisti dell’una e dell’altra istituzione infatti probabilmente non sapevano di stare combattendo una battaglia su due fronti che non si sarebbe mai arrestata e che non sarebbe mai finita. Ancora oggi, anche se con altro nome, la Chiesa ha gli stessi due nemici: quello interno, le eresie o comunque esse si chiamino, e quello esterno che è ancora una volta l’Islam, anche se con categorie e procedimenti diversi da quelli dei due secoli delle crociate.

La parola “Inquisizione” in effetti, a forza di sentirne parlar male, ha ingenerato soprattutto nei cattolici, un certo complesso di inferiorità, per cui è diventata una brutta parola, anche se di essa non si può fare a meno. Mi spiego: ancora oggi il magistrato che si occupa di effettuare indagini d’ufficio si chiama “magistrato inquirente”. Non lo chiamano “inquisitore” per il semplice motivo che il termine è talmente caricato di senso negativo per cui evocherebbe tutta la leggenda nera che avvolge l’Inquisizione, appunto. Ma è esattamente la stessa cosa.

Premetto che i due argomenti che affronterò questa sera – otto crociate e otto secoli di Inquisizione – sono così vasti che non spero certo di cavarmela nell’oretta in cui parlerò, per cui non potrò farne la storia ma parlerò dell’interpretazione dei due fenomeni, che poi in ultima analisi, è quello che ci interessa.

Parlando allora proprio della interpretazione dell’Inquisizione vediamo che – anche se è duro sentirselo dire – non può esistere società senza Inquisizione, cioè senza un tribunale che giudichi i comportamenti e soprattutto le idee. Questo perché le idee non sono neutre.

Come dice il Vangelo, ne uccide più la lingua della spada. Pensate a quello che ha causato nel XX secolo, non a caso definito il secolo delle idee assassine, un solo libro, Il Capitale di Karl Marx. Ma non c’è solo il libro di Marx ad aver innescato massacri senza fine per tutto il XX secolo; pensate all’altro libro: il Mein Kampf, il vangelo di Hitler, in cui c’era dentro già tutta l’ideologia nazionalsocialista, e a quello che ha prodotto. Lo scorso anno era il cinquecentenario di Lutero, le cui idee misero in fiamme l’Europa, ne scaturirono le guerre di religione e soprattutto la sanguinosissima Guerra dei Trent’Anni.

Ecco che alla fine qualcuno potrebbe dire: se questo Lutero, che era pur sempre un monaco, fosse stato preso dall’Inquisizione e gli fosse stato impedito di fare quello che fece forse il continente europeo si sarebbe risparmiato un bagno di sangue e quella spaccatura della cristianità che mai più si è potuto ricucire. Nella sola Inghilterra e per tutto il tempo dello scisma anglicano i cattolici uccisi per alto tradimento, ovvero lesa maestà in quanto obbedivano al Papa prima che al re o alla regina, sono stati più di 70.000 e le esecuzioni avvenivano in questo modo: si impiccava il malcapitato per tirarlo giù dalla forca appena prima che morisse per cominciare a squartarlo. Dopo averlo sventrato era tagliato in quattro parti e la testa infilzata in una picca ed esposta sul Ponte di Londra. In Inghilterra non c’era l’Inquisizione, ma non ce n’era bisogno perché era il governo l’inquisizione. I gesuiti e i preti cattolici, quelli che dicevano messa clandestinamente, erano presi, processati e giustiziati.

Ancora oggi, nel 2018, se ci pensate, non siete liberi di dire tutto quello che vi pare o di manifestare le vostre idee. Azzardatevi a dire quello che veramente pensate su certe minoranze, tanto per dirne una, e vedete cosa vi succede. Oggi non c’è l’Inquisizione, cioè un vero e proprio tribunale, ma c’è il linciaggio morale e il rischio di perdere tutto, compreso il lavoro, e se non stai attento finisci pure in galera, perché in Italia esiste la Legge Mancino la quale persegue i cosiddetti “crimini di odio”. Tale dizione è così elastica da comprendere tutto il pensiero c.d. politicamente corretto, del quale, piaccia o no, instaura il predominio.

Detto questo vediamo cosa successe per quanto riguarda l’Inquisizione.

L’Inquisizione, intesa come tribunale strutturato, non esiste fino a quando le eresie hanno un nome preciso, ovvero fino a quando vi è un eresiarca che ha i suoi seguaci: gli ariani sono i seguaci dell’eresiarca Ario, i priscilliani sono i seguaci di Priscilliano, i montanisti sono i seguaci di Montano e via elencando. Per far fronte a queste eresie si convocava un Concilio, dove le idee espresse dall’eresiarca venivano giudicate e se trovate eretiche venivano condannate proibendo all’eresiarca di continuare a manifestarle.

Perché questa proibizione? Innanzitutto dobbiamo toglierci dalla testa che le idee siano solo parole o al massimo pezzi di carta e basta. Le idee producono azioni. In Africa ad esempio i seguaci di Donato, i donatisti, spesso e volentieri venivano alle mani, con morti ammazzati, con gli ortodossi e quindi l’autorità civile doveva intervenire.

La chiesa si ritrova ad ereditare l’impero romano, il quale quando si scioglie lascia a Roma come unica autorità il Papa. Non a caso il Papa si chiama Pontefice e ancora oggi conserva un titolo pagano. Il pontefice non era altro che il sommo sacerdote degli antichi pagani, che prima di Augusto era distinto dall’imperatore. Fu Augusto ad assumere in sé le due cariche, divenendo imperator e pontifex e quando l’impero si dissolse e non ci fu più l’imperator, rimase soltanto il pontifex. Pontifex e imperator, ovvero il capo dello Stato e del governo era il garante della pax deorum, cioè era lui che di fronte al popolo doveva garantire che gli dei fossero rispettati, onorati e venerati; altrimenti erano guai perché la divinità si vendicava.

Questa credenza era talmente forte che i romani, e sto parlando del popolo più civile dell’antichità, avevano dei sacerdoti appositi i quali, quando l’esercito andava ad assediare una città, lo precedevano officiando le cerimonie della cosiddetta avocatio per chiamare in campo romano le divinità di quella città.

I romani avevano talmente il terrore di offendere qualche dio sconosciuto che edificarono il Pantheon, che in greco significa tutti gli dei, ovvero tutti gli dei venerati nell’impero erano dentro questo tempio e lì venerati. Questa posizione – il dover garantire la pace con gli dei – era talmente forte per i governanti romani che Tiberio, l’imperatore sotto cui morì Gesù Cristo, quando il cristianesimo cominciò a diffondersi propose al Senato di inserire nel Pantheon una statua di Cristo. Il Senato si oppose per motivi procedurali, anche gli ebrei si opposero perché per loro Gesù non era che un eretico e pure i cristiani non avevano nessuna voglia che il loro Dio finisse alla pari degli altri, e dunque non se ne fece nulla.

Tuttavia questo fa capire quanto fosse forte per i romani questo desiderio di non scontentare nessun dio. Tanto che quando arriva Costantino nel 313 con l’editto di tolleranza non riabilita i cristiani o sceglie di essere lui cristiano; semplicemente afferma che la divinità ha diritto di essere adorata anche al modo dei cristiani. Quindi i cristiani hanno diritto di cittadinanza perché il loro modo di adorare la divinità non è più fuorilegge. Insomma l’editto non fu un favore fatto ai cristiani ma alla divinità, tanto che questa preoccupazione dell’imperatore di essere il garante del suo popolo nei confronti della divinità è tale che lo stesso Costantino, quando diventa imperatore cristiano, è lui medesimo a indire e presiedere i Concili.

Quando arriva qualche eresia nuova è lo stesso Costantino che mette tutti seduti a discutere, perché non può permettere che idee sballate sul modo di adorare la divinità si diffondano acquistando cittadinanza.

Il primo combattimento contro le eresie avviene proprio da parte del governo civile, per intenderci.

Fin qui una vera e propria inquisizione, come la pensiamo noi oggi, non c’è. Questo stato di cosa dura fino a quando spunta la prima eresia popolare e anonima. Parlo del catarismo, che nasce attorno al X secolo. Per la prima volta si diffonde una eresia senza che si sappia chi l’abbia fondata o da dove venga, tanto che i suoi seguaci non avevano neppure lo stesso nome. Oggi si pensa che l’eresia sia nata in Bulgaria, e infatti i seguaci furono chiamati bulgari e bogomili, ma anche patarini o catari.

Quando la Chiesa si accorse di questa eresia, essa era già diffusa e ben radicata addirittura nelle regioni più ricche e colte della cristianità, come la Provenza, la Francia del Sud, e la Lombardia, come allora si chiamava tutta l’Italia del Nord.

il consolamentum

Perché doveva essere perseguita? Perché era pericolosissima e non solo per la religione.

Come abbiamo detto, ogni società ha bisogno di controllare quali idee circolano in essa e ha bisogno di espungere quelle contrarie ai suoi fondamenti. Oggi viviamo in una liberaldemocrazia e tutte le idee che tendono a sovvertire la liberaldemocrazia vengono represse, alcune mediante la legge, altre col diffuso malcontento e la disapprovazione, o addirittura col linciaggio mediatico. Nella Costituzione italiana ad esempio vi è il divieto di apologia del fascismo e del nazismo ed è vietata la loro ricostituzione. Ci sono Paesi che hanno conosciuto il comunismo e hanno messo fuorilegge anche questo. Come dicevo prima, c’è sempre bisogno di un “guardiano” delle idee che attentano al fondamento della società.

Nel periodo medievale l’idea che dava fondamento e struttura alla società era il cristianesimo e quindi le idee che venivano perseguite erano quelle che attentavano, incrinavano o falsificavano il cristianesimo. E’ un po’ come la moneta falsa. Non so se c’è ancora ma sulle banconote vi era la scritta «la legge punisce i fabbricatori e gli spacciatori di moneta falsa», perché far circolare moneta falsa è pericolosissimo, in quanto può far saltare l’intera economia: se questo avviene ripiombiamo nell’età della pietra. Ecco perché una idea falsa, anche se non arriva alle vie di fatto, è pericolosa e deve essere fermata.

Vediamo allora perché il catarismo era così pericoloso.

All’inizio si pensò fosse una semplice eresia, perché i catari riconoscevano Cristo, anche se dicevano che al suo posto era stato crocifisso un fantasma. Solo in un secondo tempo ci si rese conto che invece era una vera e propria religione alternativa. Il catarismo non era una eresia cristiana ma un’altra religione concorrente, molto probabilmente derivante dall’antica setta dei Manichei, cui lo stesso sant’Agostino aveva aderito in gioventù e da cui poi si era distaccato; per cui fu anche chiamato neomanicheismo.

In che cosa consisteva e perché i catari avevano successo? Perché i catari rispondevano in modo semplicistico alla fondamentale domanda: se Dio è buono perché esiste il male? Se Dio è buono, come dicono i cristiani, perché c’è la sofferenza degli innocenti e dei bambini?

Sono domande da cento milioni di dollari, alle quali se ci pensiamo bene non c’è risposta. La croce, nel senso di sofferenza e presenza del male, Cristo non viene a toglierla ma se la addossa, per cui tutto rimane così. Eppure ancora oggi sono molti quelli che si tengono lontani dalla Chiesa proprio perché non riescono a spiegarsi questo problema e a risolvere questo dilemma: se Dio è buono perché c’è il male?

Ebbene i catari rispondevano che il male esiste perché non c’è un solo Dio ma ce ne sono due: uno buono e uno cattivo; quello buono ha creato le anime mentre quello cattivo i corpi, imprigionando le anime nei corpi. Pertanto cosa bisogna fare? Smettere di procreare, perché ogni volta che procreiamo imprigioniamo un’anima in un corpo mentre invece le anime debbono essere liberate.

Al loro interno i catari erano strutturati in “perfetti” e credenti”. I perfetti erano quelli che applicavano fino in fondo queste idee. Essi arrivavano anche al suicidio, lasciandosi morire di inedia per liberare l’anima e farla finalmente tornare al dio buono. Talvolta questo suicidio rituale, che chiamavano endura, lo praticavano dopo aver ricevuto il solo sacramento che avevano: il consolamentum, che poteva essere amministrato una sola volta nella vita, per cui se si peccava dopo il consolamentum si era perduti per sempre non potendo riceverne un altro. Ecco perché molti signori feudali tenevano dei perfetti catari presso di loro per farsi amministrare il consolamentum in caso di pericolo. Certi malati gravi li lasciavano morire, dopo la cerimonia, o li soffocavano con un fazzoletto proprio per non farli peccare di nuovo.

I catari erano vegetariani, per non mangiare tutte quelle sostanze che secondo loro provenivano da accoppiamento, ovvero da procreazione, quindi uova, latticini, ecc. Gli unici animali che mangiavano erano i pesci perché secondo le conoscenze medievali i pesci si riproducevano senza procreazione e poi perché secondo loro era l’animale santo per eccellenza in quanto l’unico ad essere sopravvissuto al diluvio. Questo tra l’altro è il motivo per cui sant’Antonio di Padova fa la famosa predica ai pesci a Rimini, ma non la fa per imitare san Francesco; Rimini era una roccaforte dei catari i quali sapendo che sarebbe arrivato avevano intimidito la città facendogli trovare tutte le piazze vuote.

Come sempre accade infatti il catarismo non era una semplice idea – per cui uno è libero di pensare come vuole – ma non di rado scendeva alle vie di fatto e là dove erano maggioranza i catari erano capaci, come a Rimini, di intimidire una intera città.

Così sant’Antonio trovando le piazze vuote si recò in riva al mare predicando ai pesci, che per ascoltarlo uscirono tutti fuori dall’acqua. In tal modo egli indicò ai catari, che tanto onoravano i pesci, che questi davano retta al santo cristiano e non certo a loro. Fu questo il senso del suo gesto.

Tornando a quello che dicevo prima, le idee non sono qualcosa che resta per aria. Avete mai visto un santino o una icona di san Pietro Martire? E’ quello che ha la testa spaccata da un falcetto. E chi glielo aveva piantato nel bel mezzo del cranio? I catari. Eppure anche lui era stato cataro; solo che studiando le scritture si era convertito al cattolicesimo facendosi domenicano; e siccome conosceva bene i catari fu fatto poi inquisitore per tutta la Lombardia.

Un giorno andando a piedi, secondo quanto prescritto dalla regola del suo ordine, verso Pavia subì una imboscata da parte dei catari che lo uccisero assieme al suo compagno. Morendo scrisse col sangue in terra Credo in unum Deum (non due, come i catari) perdonando gli assassini. Non so come fanno questi santi a perdonare i loro assassini, non per niente sono santi, ma il perdono funzionò e l’omicida, che si chiamava Carino da Balsamo, si convertì e pentito andò ad espiare nel convento domenicano di Forlì, morendo in odore di santità; adesso è venerato come Beato.

La famosa crociata contro gli albigesi, che era un altro nome dei catari, fu provocata dall’assassinio del legato pontificio Pietro di Castelnau inviato dal papa in Provenza nel 1208. Il mandante era probabilmente il conte Raimondo VI di Tolosa, il quale giocava su due tavoli per motivi politici.

L’Inquisizione ancora non c’è, perché a occuparsene deve essere il Vescovo, che è il guardiano della sua diocesi. La parola episcopus viene dal greco e significa “ispettore”; il vescovo tra l’altro era l’unico che all’epoca poteva predicare, i semplici preti non potevano farlo. Questo perché si supponeva che i vescovi avessero un minimo di preparazione in una epoca di ignoranza e analfabetismo diffusi.

Pertanto in presenza di catari il vescovo ricorreva allo strumento tipico del Medioevo: la disputa pubblica, nella quale ciascuno esponeva la sua versione. Spesso e volentieri però che succedeva? I vescovi soccombevano nel confronto coi catari, che erano preparati e studiavano.

Immagino vi sarà capitato che vi siate sentiti suonare il campanello dai Testimoni di Geova. Ebbene, se vi mettete a discutere sappiate che quelli studiano in modo militante ogni tipo di domanda e di risposta, mentre noi è già tanto se ci ricordiamo quel po’ di catechismo che abbiamo fatto da ragazzini.

Qualcosa del genere accadeva allora con i vescovi, i quali spesso erano scelti dal signore locale, che nel suo territorio non voleva un’autorità concorrente alla sua. Badate che questo sistema di scegliere i vescovi da parte del potere civile, in Italia per esempio, è rimasto fino al Concordato del 1929, in quanto il Re doveva dare l’exequatur, ovvero il Papa proponeva un nome e il governo diceva se gli andava bene o meno. Queste cariche episcopali dunque spesso e volentieri erano più che altro politiche e derivanti da situazioni stratificate nei secoli.

Ai tempi delle invasioni barbariche spesso l’unica autorità che sapesse scrivere un trattato, che sapesse portare a termine una ambasceria diplomatica era il vescovo, il quale si era così trovato ad ereditare una carica civile; pensiamo ai vescovi-conti o ai vescovi-principi, come quello di Trento che lo rimase fin sotto gli Asburgo. In poche parole il vescovo era spesso più un politico che un uomo di chiesa. Pensiamo a san Thomas Becket, che era cancelliere del regno d’Inghilterra con Enrico II il Plantageneto, di cui era stato amico di gioventù.

Ad un certo punto il re, che aveva bisogno che l’arcivescovo di Canterbury fosse un suo fido, nominò Becket e il papa dovette accettare; soltanto che Becket, mi si passi l’espressione, ci prese gusto e una volta che fu ordinato e consacrato cominciò a fare il vescovo davvero andando contro al re, che alla fine lo fece ammazzare. Il pellegrinaggio alla tomba di san Tommaso Becket diventò uno dei grandi pellegrinaggi medievali.

Insomma, questa Inquisizione, che chiameremo episcopale, fu un flop. Bisognava inventare qualche altra cosa ed ecco che prima Innocenzo II nel 1139 e poi Lucio III nel 1184 inventano l’Inquisizione legatizia. Non saranno più i vescovi ad occuparsi dell’eresia catara ma i legati pontifici mandati direttamente dal Papa e che rispondono solo a lui. Per questo compito furono impiegati i cistercensi, che erano forse l’unico ordine religioso che studiava.

San Domenico di Guzmán era uno degli assistenti di questi inquisitori legatizi e pure lui scampò ad un paio di attentati. Si rese conto che neppure questa Inquisizione legatizia aveva successo e per un motivo molto semplice. I catari con la loro austerità, il loro vegetarianismo, il disprezzo per le cose materiali e il denaro si presentavano in un modo che colpiva le plebi e il popolo minuto; invece i legati cistercensi arrivavano con tutto il loro apparato e sfarzo medievale. San Domenico fonda allora i domenicani, ordine predicatore che nasce in funzione anti-catara. Ecco perché i domenicani si chiamano Op, Ordo praedicatorum. Non solo, ma sono anche un ordine mendicante, nel senso che devono campare di elemosine. Erano insomma una task force di uomini preparatissimi alle dirette dipendenze del papa, utilizzabili ovunque nella cristianità per far fronte a qualsiasi necessità.

san Domenico

Qualche successo inizia finalmente a delinearsi, perché il popolo comincia ad affezionarsi ai domenicani in quanto vede che sono altrettanto austeri e preparati dei catari. Ma i domenicani da soli non bastano. Allora arriva San Francesco con un altro ordine mendicante creato quasi subito dopo. I francescani però non sono predicatori o perlomeno non nascono con questa intenzione.

San Francesco si rende perfettamente conto di ciò con cui ho esordito all’inizio, ovvero che la Chiesa aveva due nemici: uno interno, i catari, e uno esterno, l’islam. Contro i catari Francesco eleva il Cantico delle creature che loda la materia e il Signore che ha creato le cose materiali che invece i catari disprezzano.

Ricordo che Francesco si chiamava in realtà Giovanni figlio di Pietro Bernardone dei Moriconi, detto «francesco» perché la madre, Pica, era francese, provenzale per la precisione. E la Provenza era invasa dai catari.

Ebbene contro questi nemici Francesco manda il suo uomo migliore: sant’Antonio di Padova, il quale si reca prima nel Limousin e poi a Rimini, in Lombardia. Antonio, che in realtà si chiamava Fernando Martins de Bulhões, portoghese, prima di farsi francescano era stato un canonico agostiniano a Coimbra, ovvero faceva parte di quell’altro ordine che studiava. Fu scelto a causa di una specie di equivoco: c’era stata una disputa tra francescani e domenicani perché nessuno di loro si sentiva di pronunciare un’omelia; quasi per dispetto i francescani la fecero dire al cuoco, che era Antonio, il quale accettò per pura obbedienza. Senonché appena lo sentirono parlare rimasero basiti per la sua sapienza.

La voce si sparse e arrivò a Francesco, il quale all’inizio non voleva saperne di far studiare i suoi poiché i frati minori dovevano essere umili mentre lo studio insuperbiva. Quando seppe di Antonio acconsentì che questi aprisse una scuola di predicazione per i francescani, che così poterono affiancare i domenicani nell’inquisizione, portando a soluzione un problema, quello dei catari, durato tre secoli.

Vi dicevo dell’altro problema: l’islam.

Francesco aveva mandato il suo uomo migliore contro i catari. Contro l’Islam andò lui stesso. Come sapete Francesco partecipa alla quinta crociata come una specie di cappellano e si reca dal sultano Malik Al Kamil nel corso dell’assedio di Damietta e lo sfida ad una ordalia, ovvero ad un giudizio di Dio. In pratica Francesco propose di passare in mezzo al fuoco invitando il sultano a trovare un ulema in grado di fare altrettanto. Malik rifiutò permettendo però a Francesco di visitare i luoghi santi prima di metterlo alla porta. Ovviamente fece ciò non perché fosse uomo di buon cuore ma perché con i crociati c’era una tregua armata.

Come funzionava l’Inquisizione?

L’inquisitore avvisava la città in cui si sarebbe recato e, il giorno fissato, si faceva trovare nella chiesa principale dove faceva una predica in cui elencava i tratti dell’eresia che era venuto a combattere. Al termine dava un tempus gratiae, ovvero quaranta giorni di tempo durante i quali chi era stato eretico poteva presentarsi. Sì, perché spesso era facile diventare eretico, bastava la semplice ignoranza: c’era chi era convinto che il cristianesimo fosse quello dei catari o chi era diventato cataro perché gli eretici erano maggioranza e, per non pagar dazio, era meglio essere dei loro.

Insomma, a chi si fosse presentato entro il termine la Chiesa garantiva la sua protezione; la persona non doveva fare altro che confessare le sue colpe scontando la relativa penitenza. Le penitenze variavano e potevano essere il pagamento di una somma pecuniaria o la recita di preghiere. Nei documenti troviamo penitenze di tutti i tipi: c’è chi è stato condannato a mantenere un povero per un certo tempo, c’è chi è stato condannato a fare un pellegrinaggio. Tra l’altro c’erano anche gli sconti e le commutazioni di pena: traviamo chi, condannato a fare un pellegrinaggio, anni dopo non lo ha ancora fatto accampando una serie di scuse; alla fine gli è concesso di pagare qualcun altro perché lo faccia al suo posto. Insomma la cosa era piuttosto elastica.

Se invece si aveva a che fare con un eretico impenitente, ovvero uno che intendeva restare eretico e a nulla valevano i tentativi di riportarlo in seno alla Chiesa, questi veniva infine abbandonato al braccio secolare, ovvero al potere civile che comminava le sanzioni previste dalla legge per quel tipo di reato.

Finito il problema cataro l’Inquisizione medievale si sgonfia da sola.

Un’altra delle cose che colpisce negativamente l’immaginario quando si parla di Inquisizione, in romanzi come Il nome della Rosa o in certi film, sono i monaci incappucciati intenti a torturare fanciulle nude in cupi sotterranei alla luce di fiaccole. Nulla di più lontano dalla realtà. Anni fa fui invitato alla Rai a parlare di queste cose e siccome avevo tempo prima di andare in studio passai davanti a un Museo dell’Inquisizione; entrai e vidi che sulle targhette di ciascuna delle macchine di tortura c’era scritta una data che non poteva farle risalire all’epoca dell’Inquisizione, né ai luoghi di essa. In seguito a quel museo hanno cambiato il nome: non più Museo dell’Inquisizione ma Museo della Tortura.

L’Inquisizione applicava la tortura? Sì, ma come?

Innanzitutto è da tener presente che la tortura è stata applicata fino all’Ottocento dai tribunali civili di tutto il mondo e ancora adesso vedo che talvolta scoppia qualche scandalo; ad esempio il cosiddetto waterboarding: stendono legato il malcapitato a cui viene messo un asciugamano sulla faccia; poi gli versano sopra caraffe d’acqua provocando una sindrome da quasi annegamento. Nei film di Hollywood spesso vediamo l’eroe che si trova a tu per tu col killer il quale non vuole dire dove si trova la fanciulla legata su di una sedia che sta per esplodere tra pochi secondi. L’eroe che fa? Legge il codice? O piuttosto comincia a menare una serie di potenti sberle fino a quando il cattivo parla? Ma pensiamo anche a cosa accadrebbe oggi, nel 2018, se vi fosse una bomba in un asilo e chi l’ha piazzata non volesse dire alla polizia dove si trova. Io credo che i poliziotti tirerebbero le tende e cercherebbero di farlo parlare con sistemi non proprio ortodossi, perché è la stessa coscienza che quasi lo reclama.

Detto questo, sì, l’Inquisizione usava la tortura ma molto meno di quanto la usavano gli altri tribunali. Le torture erano di casa piuttosto nei tribunali civili, dove non esisteva la detenzione come pena a sé stante. E’ l’Inquisizione che inventa la detenzione, che non a caso è una pena tipicamente monastica; ovvero ti chiudo in cella, e la «cella» è la dimora dei monaci. Prima le pene erano quasi sempre solo corporali: occhio per occhio.

L’inquisizione usava un solo tipo di tortura: i tratti di corda, ovvero venivano legate le braccia dietro la schiena e con una carrucola il soggetto era issato in alto e poi lasciato andare di scatto ma in modo che al massimo potesse solo slogarsi le spalle. Il tratto di corda poteva essere usato una sola volta e alla presenza del medico e del vescovo del luogo. Ciò che veniva confessato sotto tortura doveva poi essere confermato senza tortura e soltanto se le versioni coincidevano la confessione era considerata valida; se invece non c’era coincidenza tra le versioni si poteva al massimo fare un’altra seduta di tortura che però non poteva durare più di un’ora.

Dopo due sedute se il soggetto resisteva era assolto. Tenuto conto di questo limite se guardiamo i manuali per giovani inquisitori – giovani fino ad un certo punto, perché per fare l’inquisitore ci volevano almeno quarant’anni di età, in un tempo in cui l’età media era molto bassa – spiegavano che la tortura poteva essere usata ma l’esperienza suggeriva di non farlo, perché non serviva a niente.

Gli inquisitori non credevano molto nella tortura perché se uno è un duro può essere torturato a piacimento ma non parlerà mai; se uno invece è un pavido anche la sola vista della corda lo spaventa e confessa pure quello che non ha commesso. Agli inquisitori interessava la verità e non estorcere per forza una confessione, per cui la tortura era usata con parsimonia e solo quando non se ne poteva fare a meno. Tutto questo in una epoca in cui ben altre torture erano usate nei tribunali civili, pertanto, con grandissimo anticipo sui tempi, già a metà del XIV secolo la tortura dall’Inquisizione non veniva quasi più usata.

Adesso una parentesi: l’Inquisizione in massima parte era un «affare interno» alla Chiesa, ovvero chi vi compariva erano per lo più preti e monaci perché difficilmente un laico diventava eretico; avevano molta più probabilità di diventarlo i chierici; Calvino era un teologo, Lutero un monaco, Tommaso Campanella era un domenicano, e pure Giordano Bruno.

Per quanto riguarda il processo, questo era modernissimo; è l’Inquisizione che si può dire inventa il processo moderno, introducendo la giuria, il verbale, gli esperti (traduttori, teologi, ecc.) a disposizione dell’inquisitore a seconda del caso in discussione, l’escussione dei testimoni: l’imputato poteva escludere quelli che a suo parere avevano motivo di malevolenza nei suoi confronti. Se dimostrava questo poteva ricusare lo stesso inquisitore e in ogni caso all’imputato, anche se condannato, rimaneva l’ultima chance dell’appello al Papa.

Facciamo attenzione al fatto che stiamo parlando di una realtà che, a differenza degli altri tribunali, è documentatissima, perché solo l’Inquisizione aveva un notaio che metteva a verbale tutto quello che veniva detto durante il procedimento; perciò abbiamo una mole di documenti che ci dicono proprio tutto su di essa, a differenza dei tribunali civili dell’epoca.

Innanzitutto il metodo assolutamente nuovo della inquisitio, cioè dell’inquisitore che va alla ricerca della verità, a differenza dei tribunali civili che funzionavano col sistema della querela di parte. All’Inquisizione al contrario non interessa risolvere una diatriba ma arrivare alla verità e soprattutto di far rientrare gli eretici nell’ovile della Chiesa. Scopo primario dell’Inquisizione è far sì che l’eretico giudicato, inchiodato alle sue responsabilità, si penta abiurando i suoi errori per rientrare in seno alla Chiesa.

Tutto questo, dicevo, si spegne alla fine del catarismo.

Arriviamo adesso a quella che fu l’Inquisizione più dura di tutte e che di più ha colpito l’immaginario: l’Inquisizione spagnola.

L’Inquisizione spagnola è cosa diversa dall’Inquisizione medievale. Innanzitutto risente di una situazione molto particolare in un paese molto particolare: la Spagna. Nel 1492, anno in cui la regina Isabella di Castiglia concede a Cristoforo Colombo le caravelle per il suo viaggio verso le Indie, viene riconquistata Granada, ultima roccaforte islamica in terra di Spagna. Questo è avvenuto finalmente dopo ottocento anni perché si erano sposati tra di loro Fernando di Aragona e Isabella di Castiglia riunendo in un unico regno i due più potenti regni della terra iberica.

Isabella di Castiglia

I due sovrani, cattolici, compiuta la unificazione della Spagna, si ritrovarono un grosso problema in casa: due potentissime e numerosissime minoranze, gli ebrei e i musulmani. Erano tutti sotto il governo cristiano ma queste due fortissime minoranze creavano non pochi problemi, specialmente i musulmani che non facevano mistero di una qual volontà di riscossa. Se guardiamo la carta geografica, la Spagna è proprio di fronte all’Africa, dove vi erano i regni barbareschi i quali, se avessero attaccato il Sud della penisola iberica, avrebbero potuto contare su una forte quinta colonna.

Non solo, ma siccome adesso comandano i cristiani, parecchi ebrei e musulmani chiedono il battesimo per pura convenienza mentre in segreto continuano le loro vecchie pratiche religiose. Insomma, se all’esterno fai il cristiano andando la domenica a messa ma in casa tua continui ad osservare lo shabbat o a pregare Allah, forse il re non ti vede ma il tuo vicino di casa sì, e forse è uno che ha versato il sangue nelle guerre contro gli islamici finite appena ieri, il quale magari si trova ora scavalcato da chi ha fatto il furbo.

I re cattolici quindi hanno l’esigenza di fare chiarezza; hanno bisogno di una Inquisizione che veda chi è ebreo, chi musulmano e chi fa solo finta di essere cristiano. Questo per evitare che scoppino sommosse, torbidi o addirittura la guerra civile. Insomma, i Re Cattolici giocano la carta dell’unificazione religiosa come collante dell’unità nazionale.

Il papa Sisto IV all’inizio non ne vuole sapere, perché quello che gli si chiede non è una Inquisizione come quella precedente, che promanava dal Papa e rispondeva a lui, ma qualcosa di diverso. Siamo agli inizi del Cinquecento e si stanno formando le monarchie nazionali mentre lo Stato comincia ad essere assoluto, pertanto i re spagnoli vorrebbero una Inquisizione che fosse una specie di ministero o dipartimento del governo spagnolo.

Proprio per questo il Papa non ne vuole sapere temendo che diventi uno strumento politico e finendo come con Giovanna d’Arco – che fu presa e bruciata da una Inquisizione politicizzata e al servizio degli inglesi – o i Templari – i quali finirono al rogo perché accusati da una Inquisizione completamente in mano a Filippo il Bello di Francia. Il papa finisce per trovarsi tra due fuochi, perché da una parte non vorrebbe ma dall’altra come fa a dire di no a dei re cattolicissimi che hanno appena riconquistato la Spagna alla cristianità?

Sisto IV quindi deve alla fine acconsentire ma si riserva la nomina del capo. Il capo sarà il famoso Tomás de Torquemada, passato alla storia come un sanguinario nonostante non lo fosse affatto, anzi. E per colmo di imparzialità era pure di ascendenze ebraiche.

Il periodo in cui l’Inquisizione spagnola resta in funzione coincide col Siglo de Oro della Spagna, quello dei grandi santi, come Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, il quale pure fu inquisito a causa delle sue manifestazioni mistiche, dei grandi pittori o scrittori, come Cervantes. E’ la Spagna che con l’Inquisizione e grazie all’Inquisizione vive un periodo di pace interna che favorisce lo splendore artistico e religioso, mentre nel resto dell’Europa imperversano le guerre di religione e si è scatenata la caccia alle streghe, la quale non ha nulla a che vedere con l’Inquisizione cattolica svolgendosi in massima parte in terre protestanti.

Qualcosa del genere poteva pure succedere in Spagna tanto che nel Paese Basco nel 1609 esplode una epidemia di “stregomania”. Fu inviato un inquisitore, Alonso de Salazar y Frías, il quale indagò deducendo che si trattava di una isteria e allucinazione collettiva e relazionando in tal senso alla Suprema Congregazione dell’Inquisizione che stava a Madrid, la quale sentenziò che presunti streghe e stregoni venissero lasciati in pace. La Spagna quindi non conobbe la caccia alle streghe proprio grazie all’Inquisizione. Per lo stesso motivo, con l’Italia, non conobbe le guerre di religione che insanguinarono nello stesso periodo l’Europa.

Uscendo dalla Spagna passiamo al Sant’Uffizio in Italia, creato come Congregazione nel 1542 per fronteggiare il problema del luteranesimo. Il Sant’Uffizio si occupa quindi dei protestanti ma soltanto negli stati del Papa mentre nel resto d’Italia le varie repubbliche, ducati e granducati hanno i propri tribunali civili che si occupano delle eresie, anche se lo fanno a modo loro perché ad esempio la Repubblica di Venezia, per motivi politici, proteggeva tutti i protestanti o i protestantizzanti che fuggivano dagli stati del Papa, come il frate Paolo Sarpi, o quando invece gli faceva comodo riconsegnava all’Inquisizione romana coloro di cui voleva disfarsi, come Giordano Bruno.

Sant’Uffizio

Infine la Congregazione dell’Indice. Sappiamo tutti cosa significa “mettere un libro all’indice”; ebbene essa nacque perché nel frattempo era stata inventata la stampa e grazie ad essa i libri eretici circolavano in modo prima impensabile. L’Indice però fu un vero e proprio flop, in quanto innanzitutto la congregazione doveva venire a conoscenza che un libro conteneva affermazioni eretiche e questo poteva avvenire qualche anno dopo che il libro aveva cominciato a circolare. E’ da tenere presente che c’erano librai i quali si procuravano l’Indice proprio per sapere quali erano i libri proibiti, poiché il gusto del proibito faceva lievitare le vendite. L’Indice insomma finiva spesso per diventare un boomerang.

Non solo, ma se il libro in questione non era tutto eretico ma conteneva soltanto delle affermazioni eretiche queste dovevano essere ricoperte con inchiostro nero, rigo per rigo e in tutte le copie. Abbiamo il caso di libri che sono stati messi all’Indice solo quarant’anni dopo che hanno cominciato a circolare, magari rilanciandoli perché tutti quanti erano attratti dal suo essere diventato proibito.

Purtroppo il mio tempo è scaduto, pertanto dirò solo due cose sulle Crociate.

Innanzitutto le crociate furono un fatto di fede e di Chiesa.

Nella prima crociata il papa Urbano II lesse l’appello di Alessio I, imperatore di Bisanzio, il quale chiedeva aiuto perché i cristiani d’Oriente non avevano pace, e fu innanzitutto la gente comune a raccogliere l’appello. Prima partì Pietro l’Eremita con una massa di persone comuni e solo dopo partirono i nobili con Goffredo di Buglione in testa, il quale si cucì la croce sulla veste per indicare che era pellegrino verso Gerusalemme.

Ogni pellegrinaggio ha il suo simbolo: la conchiglia per Compostela, la croce per Gerusalemme ed è da qui che viene il termine “crociati” anche se coniato solo successivamente.

Perché Gerusalemme? Perché per i cristiani la città santa per eccellenza non era Roma ma Gerusalemme. Di ebrei non ce ne erano più, almeno in modo ufficiale, da quando l’imperatore Adriano dopo l’ennesima rivolta nel 135 d.C. fomentata da Bar Kokhba aveva raso al suolo Gerusalemme edificando sulle sue rovine una città pagana, Aelia Capitolina, col divieto assoluto per gli ebrei di rimetterci piede pena la morte. Poi con Costantino l’impero diventa cristiano e Gerusalemme città cristiana che rimane all’Impero bizantino fino a quando prima i persiani e poi gli arabi la conquistano. Gerusalemme comunque era cristiana per diritto di eredità, mentre gli ebrei vi avevano perso ogni diritto avendo disconosciuto il Messia, quindi cosa c’entravano i musulmani?

Parentesi: era talmente forte il sentimento su Gerusalemme che nelle città europee in seguito sorsero i camposanti – oggi sinonimo di cimitero – come quello che ancora oggi sta a Pisa. I crociati pisani caricarono alcune navi di terra della Palestina portandola nella loro città, affinché chi non poteva fare il pellegrinaggio potesse almeno essere sepolto in terra santa. Poi altri li imitarono, e questo dimostra la voglia che avevano i cristiani di allora di toccare la Terra Santa.

Oggi sappiamo che Gerusalemme è contesa tra islamici ed ebrei ma il solo titolo che i musulmani hanno per rivendicarla è il famoso viaggio notturno in cielo che fece il profeta Maometto portato sul cavallo alato Burak dall’angelo, per poggiare i piedi sulla roccia di Abramo sulla cima del monte Moria su cui è stata costruita Sion. Su questa roccia sorge ancora oggi la cupola della moschea della spianata dell’ex Tempio. Per gli islamici Gerusalemme è la terza città santa dopo La Mecca e Medina. Invece per i cristiani era l’unica città santa, dove Cristo ha predicato, è morto ed è risorto.

Ecco perché la Chiesa – sarà sempre la Chiesa a farlo – organizza la crociata, la coordina, la predica e raccoglie i fondi in tutta la cristianità per organizzarla. La fa sempre guidare da un proprio legato pontificio, anche se la strategia militare spetta ad altri.

La crociata quindi fin dall’inizio è un fatto di fede.

I «motivi economici» per cui furono fatte le crociate – secondo la vulgata marxista degli anni sessanta – fanno sorridere. I signori medievali che parteciparono alle crociate persero intere fortune: Riccardo Cuor di Leone quasi ci rimise il regno. I nobili avevano insomma tutto l’interesse a restarsene a casa e non affrontare un viaggio di due anni per andare a combattere nel deserto con cinquanta gradi all’ombra e l’elmo di metallo in testa.

Un cavaliere solo per equipaggiarsi doveva spendere l’equivalente di una macchina di grossa cilindrata di oggi, tanto per fare un paragone, dovendo oltretutto possedere due cavalli da guerra, che non erano cavalli qualsiasi dovendo essere addestrati a restare calmi anche in mezzo alla battaglia, pertanto avevano bisogno di un tirocinio particolare e costoso, senza parlare del resto: selle, finimenti, armi, scudieri…

San Luigi IX re di Francia partecipò a ben due crociate: nella prima fu preso prigioniero e dovette pagare per il suo riscatto l’equivalente di un quarto dei suoi averi; nella seconda ci morì di peste.

Molti vendettero o impegnarono i propri beni per poter andare alla crociata e teniamo presente che soltanto il 15% dei nobili e cavalieri scelsero poi di restare in Oriente, il che dimostra che tutti gli altri non erano stati affatto mossi da interessi materiali, tanto che, sciolto il voto, se ne tornavano a casa, sempre che fossero sopravvissuti.

La maggioranza dei primi crociati spesso è tornata a casa molto più povera di quando è partita ma la cosa non scoraggiava i successivi, così per otto volte le crociate poterono ripetersi.

Ai crociati interessava solo Gerusalemme e l’avrebbero presa in qualsiasi modo. Ovvero l’aspetto militare e bellico è assolutamente secondario e rappresentava soltanto una necessità. Tanto che Innocenzo III nel 1213 e nel 1216 cercò umilmente di ottenere per via diplomatica dal fratello di Saladino la restituzione di Gerusalemme al fine di evitare ulteriore spargimento di sangue nel nome dell’unico Dio. Addirittura Riccardo Cuor di Leone gli offrì la mano di sua sorella Giovanna. Se la cosa fosse andata in porto – non andò solo perché Giovanna si rifiutò di sposarlo, il che la dice lunga sull’indipendenza delle donne (cristiane) nel Medioevo – si sarebbe creato un regno misto cristiano-islamico con Gerusalemme città aperta a chiunque volesse andare a pregare sui propri luoghi santi.

Le crociate pertanto, va ripetuto, furono armate per necessità e non per volontà.

Malgrado tutto i regni cristiani di Palestina erano una piccola striscia di terra a ridosso del mare, e di estensione molto inferiore a quella che Israele ha oggi, una striscia circondata dalla marea islamica. La domanda allora è non come mai sono finite le crociate ma come hanno fatto per due secoli a resistere. Di più: fintanto che i crociati restarono, l’espansionismo islamico segnò il passo; quando le crociate finirono, l’islam attaccò Bisanzio, l’Europa, a Otranto, a Lepanto, all’assedio di Vienna nel 1693, fino alla vittoria cristiana di Pietrovaradino nel 1717 a opera del principe Eugenio di Savoia.

Tutto finì nel 1291 con la definitiva caduta di Acri. A quel punto i cristiani si chiesero: Dio lo vuole o non lo vuole più? Insomma dovevano definitivamente rinunciare a Gerusalemme? Ed è proprio qui che nasce l’idea della sostituzione di Roma con Gerusalemme.

Nel 1291-92 cade l’ultima roccaforte in Palestina, nel 1300 Urbano VIII convoca il primo giubileo della storia a Roma. Cosa vuol dire il papa? Che, considerato che non è più possibile andare a Gerusalemme a lucrare l’indulgenza universale, si venga a lucrarla a Roma, sulla tomba degli Apostoli anziché sulla tomba di Cristo, che ormai è perduta. E’ qui che comincia la storia dei giubilei e di Roma città santa.

Concludo con alcuni versi di Thomas Stearns Eliot tratti dal Coro VIII de I Cori della rocca: «Solo la fede può aver fatto quanto in ciò vi era di bene. L’integra fede di pochi, la fede parziale di molti. Non avarizia, lascivia, tradimento, invidia, accidia, gola, gelosia e superbia. Non queste cose fecero le crociate ma furono queste cose che le disfecero».

Qui il video della conversazione