«Il caso di “Alfie” e la vita “degna” alla luce della legge 219/2017 (d.a.t.)»

Per Rassegna Stampa 29 Giugno 2018

 di Aldo Ciappi

(Centro Studi Rosario Livatino)

Il convegno giuridico organizzato dal Centro Studi “R. Livatino” si è tenuto a Pisa il 22 giugno in Arcivescovado per ricordare la drammatica vicenda, che ha scosso il mondo, del piccolo Alfie Evans ucciso (non ci sono altri termini per definirne l’azione) nel rispetto di tutti i “protocolli” sanitari e delle “procedure”, mediante sospensione dei sostegni vitali (ossigenazione, alimentazione, idratazione) nell’ospedale pediatrico di Liverpool.

La Dott.ssa Francesca Baldo, presidente dell’associazione “Respirando”, ha spiegato come quella di Alfie, affetto da una malattia mitocondriale progressiva non diagnosticata che l’avrebbe presumibilmente portato alla morte, non fosse affatto una situazione “terminale”, come dimostrato dalla sua sopravvivenza per ben 5 giorni dopo il distacco della mascherina che lo aiutava a respirare. Non vi era in atto, inoltre, alcun “accanimento terapeutico”, non potendo considerarsi tale il garantire al malato quei sostegni minimi come aria, acqua e alimenti.

Tantissimi sono i bambini affetti da patologie “inguaribili”, di cui la sua associazione si prende cura, i quali vivono nella necessità di quel costante sostengo tecnico per la respirazione negato ad Alfie, prima dai medici e poi dalle Corti inglesi, sull’aberrante presupposto che abbandonarlo al suo destino fosse nel suo “miglior interesse” (nonostante la contraria volontà dei genitori e la disponibilità a prendersi cura di lui offerta da parte di alcuni ospedali, tra cui il Bambin Gesù).

Nei protocolli inglesi relativi a certe patologie, ha spiegato l’Avv. Margherita Prandi, familiarista di Piacenza, ormai prevale una visione “utilitaristica” della vita che per cui, se non vi sono speranze di guarigione, il malato in gravi condizioni viene “lasciato andare”. Quindi, lo Stato, con una concezione tutta sua del “welfare”, di fatto e di diritto, si arroga il potere di discriminare tra coloro che hanno diritto alle cure e coloro la cui vita non è ritenuta più degna di attenzioni, anche contro la volontà delle famiglie che vorrebbero prendersi cura di essi.

Questa pericolosa deriva sta prendendo piede nel nostro ordinamento anche grazie all’approvazione della legge 209/17 sulle cd. “D.A.T.” laddove si consente ai rappresentanti degli incapaci di intendere e volere di interrompere ogni cura di persone in gravi e irreversibili condizioni di salute.

Il Dott. Giacomo Rocchi, magistrato di Cassazione, è entrato nei dettagli di questa legge che (v. art. 3) offre ampi spazi all’ introduzione dell’ eutanasia omissiva allorché costringe il medico (esentandolo, guarda caso, da ogni responsabilità civile e penale – v. art. 1 c. 6) ad interrompere anche l’ alimentazione, la respirazione e idratazione (anch’essi ritenuti “trattamenti sanitari” dalla legge; v. art. 1 c. 5) alle persone non in grado di esprimere un valido consenso, dietro richiesta dei loro rappresentanti legali (genitori esercente la potestà sui minori, tutori, amministratori di sostegno), salvo poter ricorrere al giudice tutelare, qualora dissenta.

In tali casi si hanno evidenti analogie con quanto accaduto al piccolo Alfie, in cui i giudici, anche contro la volontà dei genitori e aderendo alla posizione dell’ospedale, hanno ritenuto inutile e indegna di essere vissuta la sua vita, privandolo di ogni assistenza e, quindi, provocandone la morte.

Da ultimo il magistrato Alfredo Mantovano ha messo in luce il fatto che la normativa, in temi come questo, segua quasi alla lettera le strade già tracciate da certi giudici che, dimenticandosi di essere, in base alla Costituzione, “soggetti alle leggi” emanate da organi istituzionalmente competenti, si ergono, usurpandone la funzione, a creatori di “nuovi diritti”, benchè inesistenti nell’ordinamento vigente; un esempio tra tutti il “diritto” alla morte.

Emblematico, in tal senso, secondo Mantovano, è il famoso caso di Eluana Englaro, persona gravemente disabile ma tutt’altro che terminale, la cui “volontà” di non voler più vivere se si fosse trovata in condizioni analoghe, fu ricavata dalla Cassazione, già “orientata” in tale direzione, sull’unico debolissimo appiglio costituito da una affermazione, tanto risalente nel tempo quanto occasionale, che la stessa avrebbe fatto in presenza di amici, consentendo al tutore, questa volta con il consenso del padre, di sospendere la nutrizione e l’idratazione che le suore, per anni, le avevano assicurato. Oggi tale caso è espressamente regolato dalla L. 219/2017.

Quella piccola creatura, con la sua tenacia nel voler vivere a dispetto della Scienza e della Legge, ha ricordato al mondo intero che lo Stato non è il padrone della vita e non può pretendere di stabilire quale sia degna di essere vissuta e quale invece no.