Lula: la fine di una farsa

Tradizione Famiglia Proprietà n.78 Giugno 2018

di Julio Loredo

La stampa italiana ha dato ampia copertura all’incarcerazione dell’ex presidente brasiliano Luiz Inàcio da Silva, detto Lula. Con rare eccezioni, il tono è stato enfatico. Perfino un quotidiano ritenuto moderato, il Corriere della Sera, ha strombettato il leader marxista come “politico di razza come pochi”, “profeta”, “artefice del miracolo economico” e altri epiteti tanto altisonanti quanto privi di veridicità.

Lula è stato condannato in prima e seconda istanza a dodici anni di prigione per corruzione. Una pena minuscola di fronte ai suoi tanti crimini. Infatti, nella storia del Brasile non si era mai visto un tale “assalto alla diligenza” da parte di un partito di go­verno (il PT, Partito dei Lavoratori) ai danni dello Stato, cioè del popolo. Stiamo parlando di decine di miliardi di euro in tangenti, finanziamenti illeciti e favoreggiamento. Appellatosi al Supremo Tribunale Federale (tra l’altro, quasi tutto nominato dal PT), questi ha respinto la sua richiesta di habeas corpus: il presidente sarebbe dovuto andare in carcere, dove già lo aspettavano molti suoi compagni di partito, tutti condannati per corruzione.

Lula ha studiato con cura la sua uscita di scena. L’ultimo atto prima di consegnarsi alla Polizia è stato una cerimonia religiosa alla quale hanno partecipato vescovi e sacerdoti, oltre a personaggi dell’estrema sinistra, come Manuela d’Avila, candidata del Partito Comunista. Erano tutti lì, a rendere l’ultimo omaggio al “compagno Lula”. Puzzando di cachaga (grappa, lo ha detto Gleisi Hoffman, attuale presidente del PT, al suo fianco durante la cerimonia), Lula si è congedato con un discorso lacrimoso. I suoi seguaci avevano promesso di “incendiare il Brasile”. Niente di tutto ciò è successo: è stato l’ennesimo bluff di una sinistra che ormai ha perso l’appoggio popolare, checché ne dicano i giornali italiani.

Il comunismo politico in Brasile è un fenomeno marginale. Nelle ultime elezioni politiche i partiti dichiaratamente comunisti hanno ottenuto un magro 2,8% dei voti. Molto più insidiosa, invece, è la sinistra cattolica. “Il Brasile è un paese visceralmente cattolico – scriveva Plinio Correa de Oliveira – Se la Chiesa si oppone a un suo nemico, difficilmente costui riuscirà a impadronirsi del potere, e tanto meno a conservarlo”. Purtroppo, e già dagli anni Quaranta del secolo scorso, lungi dall’opporsi ai nemici del cattolicesimo, importanti segmenti del clero brasiliano li ha anzi favoriti, scivolando verso sinistra fino a costituire ciò che Plinio Correa de Oliveira definiva un Quinto Potere, spesso più decisivo degli altri quattro nel favorire la socializzazione del paese.

Sotto l’egida di personaggi come mons. Helder Càmara, farcivescovo rosso” di Olinda-Recife, questo Quinto Potere man mano è diventato la più influente forza di sinistra in Brasile, promuovendo sistematicamente le riforme socialiste e, allo stesso tempo, osteggiando ogni reazione conservatrice. Negli anni Sessanta e Settanta, questo stesso Quinto Potere promosse la Teologia della liberazione (Tdl) e il suo braccio militante, le Comunità ecclesiali di base (Ceb), con le quali intendeva mettere in atto “una vera Rivoluzione” di stampo comunista. Non è una coincidenza che, proprio in Brasile, la Tdl abbia avuto alcune delle sue manifestazioni più radicali.

Un esempio fra tanti. Nel 1968 venne alla luce il “Documento Comblin”, un testo scritto dal sacerdote belga Joseph Comblin, teorico delle Ceb e docente presso il seminario di Olinda-Recife. Il documento tratteggiava le tappe di un’insurrezione popolare, con un’ultima fase di violenza, fino all’instaurazione di una dittatura socialista con tanto di tribunali rivoluzionari per eliminare gli oppositori. Il sacerdote, di origine belga, fù espulso dal Brasile per “attività sovversive”. Ciò non impedì ad alcuni vescovi di solidarizzare con lui, implicitamente appoggiando la via insurrezionale.

Il braccio politico di questo Quinto Potere era, appunto, il Partido dos Trabalhadores (PT, Partito dei Lavoratori), dichiaratamente marxista, nato e sviluppatosi col patrocinio della Tdl e delle Ceb. Il PT è stato fondato il 10 febbraio 1980 nel convento delle Suore di Sion, a San Paolo, con la consulenza di importanti teologi della liberazione, tra cui il domenicano fra Betto, mentore ideologico di Lula. Annoverava addirittura un vescovo “cappellano”, mons. Claudio Hummes, futuro cardinale. Il suo programma era molto semplice: “Trasformare il Brasile in una seconda Cuba “. Tutto condito da un discorso religioso ispirato alla Tdl. “Comunismo e Regno di Dio sulla terra sono la stessa cosa “, proclamava Ernesto Cardenal. “Quello che vogliamo è marxismo nella teologia “, rincarava Leonardo Boff.

Il PT non disdegnava il ricorso alla violenza, come dimostra il sodalizio col movimento guerrigliero MST (Movimento dei Senza Terra), capeggiato da Joào Pedro Stédile, autoproclamatosi marxista leninista. I leader del PT erano soliti fare corsi di addestramento a Cuba, e parteggiavano per la guerriglia in America Centrale, come ad esempio i Sandinisti.

Proiettato dalla propaganda internazionale come leader del nuovo socialismo latinoamericano, Lula è un tipico prodotto del movimento della Teologia della liberazione. Fu, infatti, questi a lanciarlo come leader sindacale durante gli scioperi nella zona industriale di San Paolo nel 1980, punto di partenza della sua carriera politica. E fu anche questi a spingerlo a fondare il PT. Lula si è sempre mostrato riconoscente nei confronti dei suoi mentori. Nel messaggio che egli, ormai presidente, inviò ai partecipanti all’I I Encontró Intereclesial das CEBs, nel 2005, possiamo leggere:

Cari compagni e compagne delle Comunità ecclesiali di base. (…) Comprendo l’importanza di questo vostro incontro, come rappresentanti delle radici più popolari e più impegnate del nostro Paese. (…) Voi ben sapete quanto mi sono care le CEB, e quanto io riconosca il ruolo che le Comunità ecclesiali di base hanno svolto nella resistenza alla dittatura militare, nella formazione dei Movimenti Popolari, nell’appoggio al movimento sindacale e, in particolare, al PT. Credo che il nesso fra fede e impegno sociale, fra fede e politica, abbia prodotto frutti di grande valore per il nostro popolo. (…) Dio benedica la vostra lotta! “.

Arrivato al potere nel 2003, il PT presto tradì le sue promesse, trasformandosi nella maggiore macchina di arricchimento personale che il Brasile abbia mai conosciuto. Esagerando però. Lo stesso “compagno” Fidel Castro, amico intimo di Lula, gli con­sigliò in un viaggio all’Avana di essere più prudente. La disinvoltura con la quale il PT svuotava le casse dello Stato, mentre distruggeva la società brasiliana con misure socialiste, ha finito per sollevare una reazione popolare che nel 2016 ha travolto il governo di Dilma Rousseff, erede di Lula.

I media italiani hanno sistematicamente oscurato questa reazione, che ha coinvolto la maggioranza dei brasiliani. Massicce manifestazioni, che a volte superano il milione di partecipanti, costellano ormai tutto il Paese. Il loro slogan è semplice: “Il Brasile non sarà mai comunista! “. Perfino il Potere giudiziario, solitamente cauto, si è fatto sentire. Non meno di 3mila giudici e magistrati hanno firmato una petizione al Supremo Tribunale Federale contro l’habeas corpus di Lula. L’esito lo conosciamo: la star della sinistra mondiale è stato portato in una prigione nello stato del Paranà che, ironia del destino, fu inaugurata proprio mentre egli era presidente.

La condanna di Lula sferra un durissimo colpo alla sinistra.

Perde, prima di tutto, proprio Lula, la cui carriera politica è arrivata al capolinea. Perde poi il PT, che non possiede un candidato “pulito” da presentare alle elezioni. Perde il Movimento dei Senza terra, il cui leader Joào Pedro Stédile aveva promesso inutilmente di incendiare il Brasile nel caso in cui Lula fosse stato incarcerato.

Perde anche la macchina propagandistica mondiale, che ci aveva messo trent’anni per creare il mito Lula, salvo poi vederlo dietro alle sbarre.

Soprattutto, però, perdono certi vertici della Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb), che si erano sempre battuti in favore del leader marxista e del PT. Perde anche il movimento della Teologia della liberazione, privato di un suo simbolo politico.

Infine, perde la linea politica di Papa Francesco, che più volte aveva dimostrato la sua simpatia per il PT. Nel 2016, per esempio, egli era intervenuto a sostegno del vacillante governo della Rousseff. Nel 2015, e di nuovo nel 2016, egli aveva accolto in Vaticano l’incontro mondiale dei cosiddetti movimenti popolari, organizzato da Joào Pedro Stédile.