Quale futuro per l’Europa?

Osservatorio Internazionale cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa Newsletter n.878 del 23 Marzo 2018

Radici cristiane e relativismo radicale, popoli e politiche dell’Unione

Scienza & Vita, Firenze, 26 marzo 2018

di Stefano Fontana

Il IX Rapporto dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân

Il nostro Rapporto sull’Europa [1] esprime un giudizio piuttosto severo sul processo di Unificazione e sull’attuale impostazione dell’Unione Europea fino al punto da considerarla, per alcuni suoi aspetti un progetto fallito, come dice il titolo del Rapporto, e addirittura un pericolo.

Sappiamo bene che una simile valutazione diverge rispetto a quanto si sente dire in ecclesialese come pure in linguaggio politichese, ossia che ci vuole più Europa. Sappiamo anche che oggi i critici dell’Unione Europea sono accusati di populismo identitario. Tuttavia abbiamo ugualmente mosso apertamente le nostre critiche.

Il cardinale Angelo Bagnasco, intervenendo alla presentazione del Rapporto a Roma, lo ha definito un atto di amore per l’Europa. Lo è certamente verso l’Europa, non però verso l’Unione Europea. Alla fine della sintesi introduttiva del Rapporto, firmato oltre che da me anche dagli altri direttori dei sei Centri di ricerca che hanno contribuito alla stesura dello stesso tra i quali il Centro Studi Livatino, si trova scritto che un aiuto all’Europa verrà in futuro proprio da coloro che oggi criticano, anche duramente, l’attuale situazione dell’Unione Europea.

Errori nel progetto originario

La radicalità della nostra valutazione è data anche dal fatto che secondo noi gli errori di impostazione sono addebitabili anche al progetto originario e non solo a successivi eventuali intoppi o deviazioni. All’origine erano presenti due progetti, il primo impostato secondo i principi della Dottrina sociale della Chiesa, il secondo impostato secondo il Manifesto di Ventotene [2]. Bisogna riconoscere che ad imporsi è stato quest’ultimo, mentre il processo di unificazione si allontanava progressivamente dal primo di pari passo con la secolarizzazione della società europea.

Il Manifesto di Ventotene concepiva il processo di unificazione come un percorso rivoluzionario, socialista, condotto non dai popoli né attraverso i popoli bensì da un’avanguardia di intellettuali e politici che lo avrebbero imposto dall’alto. Si trattava di un progetto di tipo illuminista, giacobino e, fatte le debite distinzioni, leninista. Esso comportava l’idea di riplasmare il popolo europeo e, secondo l’impostazione rousseauiana, di dargli un’altra natura.

Lo schema era il medesimo del liberalismo massonico italiano che, una volta fatta l’Italia, volle impegnarsi dall’alto a fare, o meglio a rifare, gli italiani. Del resto solo in questo spirito – come vedremo anche in seguito – si può comprendere l’impegno ideologico delle istituzioni europee e la nascita addirittura di una ideologia europeista.

L’europeismo oggi è una ideologia che demonizza chi la contraddice accusandolo di populismo. Il Manifesto di Ventotene diceva come doveva essere fatta l’Unione Europea e ne stabiliva i contenuti culturali, identificandoli con quelli dell’ideologia che conciliava Gramsci con Gobetti, il socialismo con il liberalismo, lo statalismo per quanto riguarda i bisogni pubblici e l’individualismo amorale per quanto riguarda la vita privata. In altri termini era il progetto della società radicale o, per dirla con Augusto Del Noce di una società irreligiosa e opulenta.

L’occasione mancata

Nel nostro Rapporto evidenziamo come ci sia stato un momento nella storia dell’Unione Europea in qui questo schema poteva essere messo in discussione. Ci riferiamo al 1989 e al 1991, ossia al crollo del comunismo nell’Europa orientale. Ciò, come si sa, fu interpretato come la necessità di procedere verso l’Unione politica con il trattato di Maastricht (1992), ma poteva essere anche interpretato in altro modo, come insistentemente chiedeva Giovanni Paolo II.

La richiesta di inserire nella costituzione europea il riferimento a Dio non era una richiesta integralista, ma intendeva ricondurre le riflessioni sull’Europa alle loro autentiche fonti affinché essa potesse ritrovare la propria strada. L’Unione si sarebbe allontanata dall’Europa, mentre Giovanni Paolo II voleva che il processo di unificazione fosse a servizio dell’Europa, dall’Atlantico agli Urali. Per far questo essa doveva ricollegarsi con le sue origini cristiane, ma la strada intrapresa fu altra e gli interventi insistenti di Giovanni Paolo II furono disattesi.

Imperi e Stato moderno

 L’Unione Europea trovava nella storia dell’Europa due modelli a cui rifarsi: il modello dell’Impero e il modello dello Stato moderno [3]. Il modello dell’Impero era un sapiente equilibrio sedimentato nella storia tra centro e periferia, tra reductio ad unum e coexistentia membrorum, tra identità e pluralità. Le nazioni e i popoli venivano valorizzati e nello stesso tempo unificati dalla comune religione e dalla funzione imperiale.

L’epoca degli imperi finì con la conclusione della prima guerra mondiale e con essi sparì dall’Europa anche la funzione pubblica della religione. L’altro modello era quello dello Stato moderno, assoluto e accentrato, che sacrifica la coexistentia membrorum sotto la reductio ad unum. È il moderno Leviatano che, come scriveva Carl Schmitt commentando Hobbes, era Uomo, Dio, animale e macchina [4] nello stesso tempo.

L’Unione Europea non è diventata un Super Stato dal punto di vista formale, ma ha assunto molti aspetti e funzioni tipiche del Leviatano. E’ diventata una enorme macchina di burocrati e funzionari omogenei tra loro e che condividono la stessa ideologia europeista che alla fine si riduce a due soli elementi: la democrazia formale e la libertà vuota di contenuti.

Una costruzione artificiale

Bisogna riflettere sull’artificialità della costruzione dell’Unione Europea. Il Leviatano di Hobbes è una costruzione artificiale, senza rapporti con la natura sociale dell’uomo e senza alcun debito verso uno stato di natura che ne limiterebbe la potenza assoluta. L’Unione Europea, pur dicendosi a servizio delle nazioni e dei popoli, in realtà è una costruzione artificiale di trattati, gestiti da una classe artificiale di burocrati, e con una cultura artificiale essa stessa priva di alcun legame con la legge morale naturale.

Lo prova il fatto che dalle istituzioni europee arrivano ormai sistematicamente agli Stati membri pressioni indebite perché essi approvino leggi contrarie alla vita e alla famiglia, ossia contro i dettami della legge morale naturale, con cui l’Unione Europea ha tagliato i ponti. I cosiddetti “nuovi diritti” sono sostenuti dalla cultura dell’Unione europea, sono al centro di molte raccomandazioni del Parlamento europeo, sono difesi dalle Corti di giustizia europee sicché il cittadino che ad esse ricorre contro il proprio ordinamento giuridico statale in tema di diritto alla vita, per esempio, non trova adeguata difesa.

Nella fase propedeutica all’ammissione all’Unione, agli Stati richiedenti viene posta la condizione di attuare una legislazione sui nuovi diritti, in assenza della quale lo Stato darebbe prova di discriminazione.

L’opposizione al diritto naturale

Su questo tema dei diritti umani c’è nell’Unione una lotta trasversale sia all’interno dei singoli Stati sia tra Stati. Su questo terreno i Paesi dell’Unione sono molto divisi, tra loro e al loro interno. Le organizzazioni della società civile che difendono il diritto alla vita e la famiglia tra uomo e donna si contrappongono ai gruppi progressisti che invece vogliono estendere i nuovi diritti all’autodeterminazione individuale al di là di ogni regola morale e giuridica. Le istituzioni europee solitamente stanno dalla parte di questi ultimi, ma non riescono ad evitare il conflitto sociale e politico su questi temi. E la parte che difende il diritto naturale sente che le istituzioni europee le sono nemiche, aumentando così la disaffezione nei loro confronti.

Quando gli Stati Uniti di Trump hanno eliminato i finanziamenti internazionali alle organizzazioni che provocano l’aborto di massa, l’Unione europea li ha in parte sostituiti aumentando il budget a ciò finalizzato e diventando così la prima finanziatrice al mondo. La contesa interna ai Paesi c’è ormai anche tra Paesi e Paesi. Molti Stati dell’est europeo hanno blindato in costituzione la famiglia naturale, oppure la negazione del riconoscimento pubblico dell’omosessualità o il diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale.

Questi Paesi sono entrati in conflitto ideologico con le istituzioni europee, che li hanno osteggiati. L’antropologia diventa sempre di più terreno di divisione europea. La tendenza dell’Unione è di uniformare, ma alcuni Paesi ormai reagiscono contro l’appiattimento. I quattro Paesi di Visegrad – Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria – rivendicano la propria identità culturale, religiosa ed etica dall’appiattimento ideologico europeo.

Culture e popoli

Proprio su questo terreno della identità culturale e religiosa dei popoli europei si notano i maggiori sintomi del deficit nel processo di unificazione. Il nesso tra popolo e cultura è fondamentale. Se è indubitabile che esista una cultura europea, anche se è poi difficile precisarla data la notevole quantità delle sue componenti, è altrettanto indubitabile che essa nasce dalle culture dei singoli popoli che non assorbe in sé appiattendole.

La cultura, ci ha insegnato Giovanni Paolo II, è una strada verso la natura umana, la quale trascende tutte le culture, le relativizza e ne permette una valutazione etica. I popoli cercano di realizzare la comune natura umana secondo vari percorsi, le culture appunto. Esse non sono autoreferenziali, valgono in quanto svelano l’uomo quale esso è e si mettono al suo servizio. E’ per questo che nelle culture si può insinuare anche elementi negativi, quando esse non rispettano l’uomo e proprio la natura umana svolge in questi casi il ruolo di criterio di giudizio e di valutazione morale della cultura stessa. Tolto il concetto di natura umana, la cultura viene stabilita convenzionalmente a tavolino da parte dei poteri forti.

L’Europa è sempre stata un incrocio di culture e di popoli, incrocio reso possibile dal comune riferimento alla natura umana, riferimento garantito dalla religione cristiana. E’ infatti impareggiabile la visione della persona umana nata in Europa, trasmessa poi all’Occidente non come espressione di una cultura di parte ma come conquista universale. Ma oggi in Europa avviene proprio questo: ci si è congedati dalla natura umana e, quindi anche dalle culture dei popoli e delle nazioni che si vorrebbe uniformare e amalgamare artificialmente come dentro un tritacarne. Stanno nascendo nel nostro continente nuove rivendicazioni del diritto alla propria identità culturale e spesso questo viene rivendicato in polemica con le istituzione europee.

Il posto di Dio nella pubblica piazza

Ma la cultura è anche altro. Giovanni Paolo II ci ha anche insegnato che essa nasce sempre dalla domanda fondamentale dell’uomo riguardo a Dio. Tutte le culture hanno sempre avuto un’origine religiosa. Solo la cultura moderna e illuminista, come ha anche insegnato Benedetto XVI, nasce invece senza Dio o contro Dio. In Europa è nata la prima cultura antireligiosa al mondo, una sistematica espulsione di Dio dalla pubblica piazza, che poi si è estesa oltre i confini europei.

L’espulsione di Dio dalla sfera pubblica ha prodotto proprio in Europa i totalitarismi. Lo Stato ideologico è nato in Europa con la Rivoluzione francese, proprio per l’espulsione di Dio dalla vita pubblica e poi è continuato in altre forme, anche più devastanti. La domanda è questa: negando Dio dalla pubblica piazza, anche l’Unione Europea è un potere ideologico? [5]

E’ inevitabile che senza Dio le culture si inaridiscano e si avvitino su se stesse, perdendo di vista anche altri valori umani e laici, in un processo di dissoluzione o, come direbbe Carl Schmitt, di disperazione. Lo stesso Schmitt e lo storico Ernest Nolte hanno sostenuto che la nascita dello Stato ideologico in Europa ha sempre prodotto guerre civili. Quella della Francia rivoluzionaria, quella dentro la Germania nella repubblica di Weimar dopo la sconfitta della prima guerra mondiale, la stessa prima guerra mondiale, quella del nazismo contro gli ebrei, quella italiana dopo il 25 luglio, quella nella Russia sovietica dopo la rivoluzione d’ottobre … guerre civili.

Oggi si dice che con il percorso di unificazione europea il continente ha avuto la pace. In parte è vero. Se però dimentichiamo la Bosnia e il Kosovo della metà degli anni Novanta e se oggi dimentichiamo Crimea e Ucraina. A caratterizzare lo Stato ideologico è, secondo Nolte, la presunzione di colpevolezza … contro l’ebreo o contro il borghese capitalista. Anche oggi in Europa c’è una presunzione di colpevolezza ideologica: quella contro i bambini non ancora nati, fronte su cui le istituzioni europee sono molto impegnate.

Il bene comune e la sussidiarietà

Se esaminiamo la costruzione dell’Unione Europea e la sua attuale situazione, possiamo riscontrare che sui principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa le carenze sono piuttosto gravi. In particolare sui due principi fondamentali del bene comune e della sussidiarietà la distanza si fa notare.

La visione del bene comune della Dottrina sociale della Chiesa [6] ha due aspetti oggi completamente disattesi in Europa. Il primo è che esso è dietro di noi prima che davanti a noi. Ne fa parte l’ordine naturale in cui siamo inseriti e l’ordine storico della tradizione da cui riceviamo i principi e i valori. Il bene comune è un ordine etico e non materiale. Esso può esserci anche in una situazione di povertà quando non si fa violenza all’ordine4 naturale delle cose.

L’ideologia europeista, invece, si fonda sull’idea che ciò che viene dalle istituzioni europee sia il bene e che non ci siano ordini oggettivi da rispettare. Il secondo è il suo carattere verticale: il primo bene comune è Dio, sul quale si fonda ultimamente la stessa legittimazione dell’autorità. L’Unione Europea si è messa invece sulla strada di una secolarizzazione religiosa molto accentuata fondata sull’indifferenza alle verità delle religioni che sono considerate tutte uguali e tutte diverse e nessuna degna di godere di un particolare ruolo pubblico.

Poi c’è il principio di sussidiarietà [7]. Il trattato di Maastricht lo contempla, ma anche lo deforma, interpretandolo in senso unicamente funzionalistico e strumentale. Quel principio ha senso solo in un sistema di ordine sociale e morale nel quale le società inferiori devono essere messe in grado di agire liberamente per poter assolvere ai propri doveri oggettivi. Senza di questo il principio diventa solo una rivendicazioni di spazi per esercitare presunti diritti individuali non ancorati a dei doveri. Prevalgono le due visioni errate di sussidiarietà: quella che la considera una elargizione dello Stato sovrano alle società inferiori e quello che la considera una rivendicazione libertaria e anarchica delle società inferiori stesse. In ambedue i casi esso è disancorato da un ordine sociale e politico oggettivo.

Il problema politico dell’Islam

Vorrei terminare questa breve rassegna sull’Unione Europea dal punto vi vista della Dottrina sociale della Chiesa accennando al fatto che non c’è una visione politica del problema dell’Islam, che rappresenta un problema politico. In molti Stati europei si sono già presentati alle elezioni partiti islamici. Come ha scritto il filosofo Remi Brague quando si importano musulmani non si importa una religione si importa una civiltà.

Ora, nell’Islam: non esiste il concetto di diritto naturale, l’etica coincide con quanto è permetto o vietato religiosamente, la rivelazione divina possiede immediatamente anche un significato giuridico, la comunità prevale sull’individuo, non esiste il concetto di persona così come elaborato nell’occidente cristiano, la donna è antropologicamente inferiore all’uomo e ciò è frutto di rivelazione, obbedire a Maometto equivale ad obbedire ad Allah perché il Corano scritto è perfettamente conforme al Corano eterno, la comunità musulmana ha una superiorità antropologica su tutti gli altri e si espande per conquista [8].

Nell’Unione Europea non c’è una politica sull’Islam e non si tiene conto di questo elemento: l’Islam non è solo una religione. La vuota laicità europea è incapace di rispondere all’Islam.

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[1] Osservatorio Cardinale Van Thuân, Europa: le fine delle illusioni, IX Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo, a cura di Giampaolo Crepaldi e Stefano Fontana, Cantagalli, Siena 2017.

[2] Alfredo Mantovano, Il futuro dell’Europa tra manifesto di Ventotene e Dottrina sociale della Chiesa, Ivi, pp. 157-172.

[3] Gianfranco Battisti, Europa, le morte ragioni di una crisi epocale, Ivi, pp. 123-146.

[4] Cfr Carl Schmitt, Sul Leviatano, Introduzione di Giancarlo Galli, Il Mulino, Bologna 2011; Id., Legalità e legittimità, Introduzione di Carlo Galli, Il Mulino, Bologna 2018.

[5] Stefano Fontana, “Ex captivitate salus”: se sia ancora attuale il concetto di “guerra civile europea”, Ivi, pp. 147-156.

[6] Cfr Le ragioni del bene comune, numero monografico del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa”, XIII (2017) 1.

[7] Cfr La sussidiarietà, un principio da recuperare, numero monografico del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” XIV (2018) 1.

[8] Marie-Thérese Urvoy, Islamologie et monde islamique, Cerf, Paris 2016; Annie Laurent, L’Islam, Artége, Paris 2017; Pierre de Lauzun, La laïcité française est incapable de répondre à l’islamisme, Liberté Politique, n. 68, janvier 2016, pp. 143-146.; Bernard Dumont, La France, les catholiques, les musulmans, Catholica n. 130. Hiver 2016, pp. 12-18; Giulio Meotti, Il suicidio della cultura occidentale. Così l’islam radicale sta vincendo, Lindu, Torino 2018; Id., La fine dell’Europa. Nuove moschee e chiese abbandonate, Cantagalli, Siena 2016; Gianni Baget Bozzo, Tra nichilismo e islam. L’Europa come colpa, Mondadori, Milano2006.

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Leggi anche:

Europa: la fine delle illusioni

Europa. Le molte ragioni di una crisi epocale

“Ex captivitate salus”. Se sia ancora attuale il concetto di “Guerra civile europea”