Il riposo domenicale e Francesco Faà di Bruno

La Croce quotidiano 27 marzo 2018

 Di questo “santo sociale” (e militare), uno dei sacerdoti più geniali e poliedrici dell’Ottocento, ricorre il 27 marzo la memoria liturgica. Ricordiamone insieme alle virtù di Fede, Speranza e carità anche la testimonianza in quanto primo difensore nell’Italia contemporanea di uno dei diritti fondamentali dei lavoratori. Assieme a San Giovanni Bosco…

di Giuseppe Brienza

Recentemente il Segretario Nazionale del Popolo della Famiglia, spiegando le ragioni di uno dei cardini del nostro programma politico quale la riconquista del diritto al riposo domenicale, ha ricordato come il primo difensore nell’Italia contemporanea di questa fondamentale conquista sociale è stato un santo, l’ex ufficiale dell’Esercito savoiardo Francesco Faà di Bruno (1825-1888).

«L’abolizione del riposo domenicale non avvenne con provvedimenti normativi – ha scritto l’avv. Amato – ma col semplice ricatto del licenziamento. I “padroni delle ferriere” non lasciavano molte alternative ai salariati che non accettavano di lavorare sette giorni su sette. Pochi sanno, però, che la lotta per il riposo domenicale non appartiene alla tradizione marxista della lotta di classe. È un po’ più vecchia della Prima Internazionale socialista (1864).

In Italia fu, infatti, l’Opera per il riposo festivo, la prima organizzazione fondata a Torino nel 1850, di cui fu vicepresidente, peraltro, tale San Giovanni Bosco. L’iniziativa fu promossa dal Beato Francesco Faà di Bruno, che rivestì all’interno dell’Opera il ruolo di segretario esecutivo, e fu subito affiancata da numerose altre organizzazioni sorelle di matrice cattolica, tutte rivolte a questa nobile – e purtroppo dimenticata – battaglia in favore non solo dei cristiani, ma di tutti coloro che venivano considerati i “nuovi schiavi”» (Gianfranco Amato, La Domenica, un tesoro da proteggere, in “La Croce quotidiano”, 21 marzo 2017, pp. 1 e 4).

Francesco Faa di Bruno

La figura di padre Faà di Bruno, in effetti, è davvero straordinaria e poliedrica. Oltre che ex militare impegnato in prima linea nella Prima Guerra d’Indipendenza (1848-49), fu anche scienziato, matematico, musicista e, infine, sacerdote, rivestendo un ruolo ecclesiale di tutto rilievo nella storia della spiritualità cattolica del suo secolo. Realizzò tra l’altro il Santuario torinese dedicato a Nostra Signora del Suffragio e fondò a Torino, nel 1881, una nuova famiglia religiosa femminile dedicata alla venerazione mariana, le Suore “Minime di N.S. del Suffragio”. A queste religiose usava ripetere che la sola e unica cosa che conta davvero nella vita cristiana era farsi santi, tutto il resto valeva nulla.

Sul fronte delle operazioni belliche del 1849, pur giovanissimo (aveva allora solo 24 anni), mostrava di avere un costante pensiero per il bene dei suoi cari e del prossimo. Scriveva per esempio alla sorella: «Non dimenticare di pensare, dinnanzi a Dio, a tanti ufficiali, a tanti soldati che temo, in un momento così fatale, non mirino a purgarsi, ed a confortarsi, sempre per quella negligenza delle cose divine, della quale, vestitisi in pace, non possono spogliarsi più nemmeno in guerra. Raccomanda sì pietoso ufficio anche alle persone devote di tua conoscenza, poiché ti assicuro che anche in questo tu arrechi un bene – che non si può maggiore- alla patria, essendo i militi in grazia quelli che sono poi più valorosi in guerra».

I tanti caduti, sui campi di battaglia di quella sanguinosa epoca, avevano indotto il suo spirito sensibile a promuovere la lodevole iniziativa di promuovere preghiere in suffragio delle anime dei defunti. Si dedicò, perciò, alla erezione del suddetto Santuario e alla creazione di quell’omonimo Istituto Religioso che sostenesse tale meritoria opera.

Le Suore “Minime” proseguono ancora oggi l’impegno di pregare per tutti i defunti, vero atto di amore e di attenzione un po’ dimenticato ma indispensabile per il bene dell’anima di tutti coloro che, in Cielo, necessitano ancora del nostro suffragio. Ma Faà di Bruno promosse anche, nello stesso tempo, numerose iniziative sociali, in favore dei poveri, delle ragazze madri, dei giovani e, come visto, dei lavoratori e delle loro famiglie.

L’intuizione del beato piemontese sulla difesa del riposo domenicale conserva tuttora il suo valore e la sua attualità. Il legittimo impegno nel lavoro e nelle variegate attività sociali non possono infatti cancellare in noi il pensiero delle responsabilità familiari e nei confronti della nostra anima e vita spirituale. Di tutto ciò possiamo più agevolmente prenderci cura preservando almeno un giorno della settimana dalla routine quotidiana.

Il Beato Faà di Bruno non esitava a definire «barbari» tutti i datori di lavoro privati e anche pubblici che costringevano i dipendenti a lavorare dodici ore al giorno tutti i giorni dell’anno. Il grande scrittore cattolico Vittorio Messori ha ricordato che la sua fu una battaglia non solo “religiosa”, per permettere la frequenza alle funzioni della domenica, ma anche sociale. E fu tra le più preziose e solitarie lotte, visto che, allora come oggi, il sindacalismo “laico”, per la domenica, non si attivò più di tanto. Historia Magistra Vitae…

Il beato Faà di Bruno ha compendiato tutta la sua filosofia di vita in un motto che ha lasciato alle sue suore: “pregare, agire, soffrire per dare gloria a Dio”. Poter educare persone capaci di educarne altre è stato uno degli scopi della sua attività caritativa e sociale.

La situazione della scuola nei suoi anni, così come quella che siamo chiamati a “gestire” noi, era profondamente in pericolo. Gli influssi dell’Illuminismo avevano infatti portato a Torino prima di altrove, e fin dalla metà del secolo XVIII, la tendenza a regolamentare il mondo dell’istruzione pubblica in contrapposizione alla Chiesa ed alle necessità spirituali dell’educazione, statalizzando l’intero sistema e sottraendolo agli ordini religiosi.

I ministri borghesi e massoni della dinastia Savoia, fra le altre cose, avevano istituito all’uopo il “Magistrato della Riforma”, alto funzionario statale con il compito “politico-ideologico” di controllare l’istruzione con un atteggiamento poliziesco. Nascono le Regie Scuole di ordine superiore – Latinità, Filosofia, Teologia e Chirurgia – nei capoluoghi di provincia, e scuole di lettere latine nei grandi comuni. Le scuole elementari sono costituite da tre classi – quarta, quinta e sesta – precedute da una classe preparatoria, suddivisa in due corsi, e seguite da una settima classe. Solo i giovani di «basso ceto» sociale potevano frequentare le scuole popolari tenute dai parroci.

Il Regolamento del 5 gennaio 1802 estese inoltre, per agevolare l’idolatria dei “prinicipi del 1789”, lo studio obbligatorio della lingua francese a tutti gli ordini di scuola. Sul modello napoleonico sono poi introdotti i Licei triennali e le scuole speciali – università e accademie – a carico economico dello Stato.

Con la Restaurazione, il governo sabaudo di Vittorio Emanuele I restituì la scuola alla gestione degli ordini religiosi, primi fra tutti i Gesuiti, con la quasi totale esclusione del controllo statale, ma buona parte dei “mali semi” del laicismo erano stati piantati in quella che diventerà la classe dirigente del futuro “Regno d’Italia”.

Non molto anni dopo si mise nuovamente mano alle “riforme” nel campo dell’istruzione pubblica con la legge 3725/1859, promossa dall’onorevole Gabrio Casati, entrata in vigore nel 1860. La nuova legge sancì il riconoscimento del diritto-dovere dello Stato d’intervenire in materia scolastica, sostituendo e mettendo sotto tutela la Chiesa cattolica. Il ministro Casati rivoluzionò anche la formazione elementare, affidandola ai Comuni e definendo un livello inferiore di due anni obbligatorio per tutti i bambini e un ciclo superiore di altri due anni, facoltativo e da attuarsi solo nei Comuni con più di quattromila abitanti.

Nel 1860 Francesco Faà di Bruno aveva trentacinque anni, aveva già completato i suoi studi all’università francese della Sorbona ed aveva intrapreso varie attività sociali. Il desiderio di reagire alla corruzione imperante della cultura e dell’istruzione pubblica lo indusse istituire un Liceo ed a fondare un giornale cattolico, guidato da una figura “divisiva” di sacerdote-giornalista, q un Liceo quale fu Don Giacomo Margotti. Sia la prima che la seconda opera riscuotono un grande successo e, per esempio, iniziarono ad iscrivere i loro figli al Liceo voluto da Beato note famiglie torinesi, sia della nobiltà sia dell’alta borghesia, come quelle del deputato Crotti e dei conti di Costigliole, oltre al conte Carassi.

Con il proposito di formare buoni insegnanti perché i bambini siano istruiti in modo corretto e secondo i principi cristiani, Faà di Bruno nel 1869 chiese inoltre ed ottenne l’autorizzazione ad aprire una scuola per maestre intitolata a Santa Teresa. Accanto a queste istituisce la “Classe delle educande”, che deve fornire un’istruzione di base per le giovani che a loro volta avrebbero dovuto educare ragazze, provenienti dalle campagne, ai lavori domestici. Anche in questo l’insegnamento e l’azione del Beato dovrebbero guidarci ancora oggi, e l’attenzione del Popolo della Famiglia per il “lavoro familiare” delle madri-spose, con la proposta del reddito di maternità, sta a testimoniarlo.

Di recente la Bontà Divina ha forse voluto riproporre all’attenzione della comunità cattolica la vita e l’esemplarità del santo piemontese. Durante la notte di Natale del 2016, infatti, l’organo della chiesa di Nostra Signora del Suffragio in via San Donato a Torino prese a suonare da solo. «Qualcuno può averlo interpretato come segno divino», ha riportato Bernardo Basilici Menini su “La Stampa.it” del 4 marzo scorso.

Non sappiamo se questo straordinario evento è stato effetto del malfunzionamento che di lì a poco avrebbe silenziato per l’ennesima volta questo pezzo unico di 130 anni voluto da Francesco Faà di Bruno. Può servire comunque come una di quelle “sveglie divine” che, talvolta, la Provvidenza utilizza nei periodi di “tiepidezza spirituale” (e sociale) dei cristiani…