Magistratura e sovranità politica: la “Procura europea”

La Croce quotidiano 21 marzo 2018

Qual è il ruolo delle magistrature nazionali negli Stati (molti oggi) che pagano lo scotto di una carenza di sovranità? Il problema si pone soprattutto in relazione ai fenomeni, tra loro interconnessi, dell’internazionalizzazione del crimine e della globalizzazione. Continuiamo la serie di articoli dedicati all’erosione dei poteri giudiziari nazionali che, nei casi più gravi, genera anche un problema di democrazia

di Giuseppe Brienza

È inutile nasconderlo. Le cronache legate alle attività criminali internazionali sono sempre più frequenti. Si dice che sia un effetto della globalizzazione e possiamo condividere questa affermazione.

È di pochi giorni fa l’assassinio di un giornalista e della sua compagna che seguivano gli oscuri intrecci che potrebbero coinvolgere organizzazioni criminali italiane e classe dirigente locale. Il percolo non è di poco conto. L’agenzia europea che si occupa di queste materie, “Eurojust”, ha identificato nella lotta al terrorismo, alla criminalità informatica e alla criminalità organizzata i reati prioritari da perseguire, proprio per la loro “dimensione transfrontaliera”.

La lotta alla criminalità internazionale costituisce momento prioritario per la crescita di una Unione europea che intenda davvero perseguire la creazione di uno spazio di giustizia, libertà e sicurezza a livello continentale.

Questi principi sono richiamati in maniera esplicita all’articolo 67 del Trattato sul Funzionamento della Unione Europea che, fra l’altro, dispone che «l’Unione si adopera per garantire un livello elevato di sicurezza attraverso misure di prevenzione e di lotta contro la criminalità, il razzismo e la xenofobia, attraverso misure di coordinamento e cooperazione tra forze di polizia e autorità giudiziarie e altre autorità competenti».

Con Regolamento del Consiglio n. 2017/1939 approvato il 12 ottobre 2017, la Ue ha istituito una cooperazione rafforzata per giungere all’istituzione di una “Procura europea” (EPPO), con la finalità del coordinamento delle attività continentali in materia giudiziaria.

Con nota del 22 giugno 2017 anche l’Italia ha espresso la propria intenzione di partecipare a questa iniziativa di “cooperazione rafforzata”, la quale consente, in conformità al diritto europeo, che solo nove Paesi dell’Unione si accordino per stabilire un’integrazione o una cooperazione più stretta in una determinata area all’interno delle strutture dell’Ue senza la necessità immediata del coinvolgimento di altri Paesi membri.

Una tale procedura permette agli Stati promotori di muoversi a velocità diverse rispetto agli altri per perseguire obiettivi più “ambiziosi” di integrazione. L’autorizzazione a procedere nel contesto della cooperazione rafforzata è concessa dal Consiglio, su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo.

Cosa fa esattamente la Procura europea? Essa è competente per individuare, perseguire e portare in giudizio gli autori dei reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione previsti dalla direttiva (UE) 2017/1371 e stabiliti dal sopra citato regolamento, e i loro complici. A tale proposito, svolge indagini, esercita l’azione penale ed esplica le funzioni di pubblico ministero dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati membri fino alla pronuncia del provvedimento definitivo (articolo 4 del Regolamento).

Si vede chiaramente che si tratta di un organo “sovrapposto” agli analoghi istituti giudiziari dei singoli ordinamenti nazionali. E se ne nota a prima vista già una criticità forte. La competenza è limitata ai soli reati finanziari e non a quelli indicati più sopra all’articolo 67 che comprendono anche, ad esempio, il terrorismo.

La posizione in merito espressa dai maggiori organismi rappresentativi della magistratura italiana è articolata (cfr: www.associazionemagistrati.it). Possiamo riassumerla nei seguenti punti:

  • la competenza della Procura europea è esclusiva, nel senso che le autorità nazionali (qualora ricorrano certe condizioni – articolo 22 comma 1 del Regolamento) non sono più competenti a perseguire quei reati;
  • la competenza territoriale della EPPO è quella di tutti i Paesi che hanno attivato la cooperazione rafforzata, senza bisogno di autorizzazione all’avvio della indagine, né di assistenza giudiziaria né di mutuo riconoscimento delle decisioni;
  • in ogni Stato si applicherà la legge nazionale vigente, perché l’azione della Procura Ue si svolge di fronte alla magistratura nazionale.

Notiamo poi che il Regolamento europeo prevede la creazione di un direttore amministrativo della Procura che la organizzi e la gestisca, liberando da quest’onere i procuratori, e che l’azione penale non è obbligatoria per reati di valore inferiore ad un certo valore.

La istituzione della Procura europea, indubbiamente, costituisce un problema grave per l’esercizio della sovranità nazionale ed il modo in cui questa si esercita attraverso le singole magistrature.

Può essere interessante rilevare che le normali richieste delle autorità giudiziarie volte al compimento di atti su territorio straniero (le cosiddette “rogatorie”, parola che abbiamo imparato a conoscere durante “Tangentopoli”), devono essere autorizzate ed instradate attraverso i canali internazionali, cioè attraverso la via diplomatica.

Nel caso della EPPO, invece, questo passaggio – espressione tipica della sovranità – viene totalmente superato. I tradizionali schermi di uno Stato che poteva opporsi alla richiesta in nome dei principi di sicurezza o interesse nazionale saltano completamente. Il Procuratore europeo agisce infatti direttamente nei confronti dei cittadini disponendo anche la detenzione preventiva in virtù dell’articolo 33 del Regolamento.

Certamente anche in questo caso potrebbe essere preso in considerazione il principio classico della Dottrina sociale della Chiesa (DSC): “A ciascuno il suo”. Alla Ue, quindi, spetta perseguire in via esclusiva ciò che ad essa può essere stato sottratto in esito ad operazioni criminose.

Ci si chiede, però, se fosse stato il caso di prevedere un istituto così penetrante nelle sovranità statali e nella vita dei cittadini per raggiungere l’obiettivo… Basti pensare che, in nome delle competenze e modalità d’azione previste in capo alla EPPO, chiunque esporti in un Paese Ue potrebbe trovarsi prima o poi sotto le attenzioni di una figura così lontana e sconosciuta dal demos come quella del “Procuratore europeo”.

Siamo o non siamo allora di fronte a uno di quei casi potere «impersonale e burocratico» di cui parla il Compendio DSC (n. 412)? Riprendiamo questo punto nella lettera “M”, dedicata al ruolo della Pubblica amministrazione, del programma del Popolo della Famiglia, in quanto riteniamo che l’organizzazione della giurisdizione costituisca uno dei cardini fondamentali dello “Stato di diritto”.

Se i concetti di sovranità e di popolo continuano ad essere alla base della democrazia occidentale, affinché si realizzi la promozione e la tutela dei diritti e dei doveri dei cittadini occorre che l’esercizio della giurisdizione sia trasparente e controllata secondo Costituzione e deontologia democratica consolidata.

Altrimenti si rischia di trasfigurare il famoso detto di uno dei nostri migliori padri costituenti, il giurista e politico Piero Calamandrei (1889-1956): «Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra». Ma la giustizia può “uscire” dalla finestra delle democrazie anche quando ad entrare dalle sue porte ci sia la “politica europea”, tanto opaca quanto quella nazionale se in mano alle tecnocrazie o lobbies multinazionali.