Sovranità monetaria, per far sopravvivere l’economia

la Croce 7 marzo 2018

Dall’agenda legislativa “dettata” all’Italia dagli organismi economici o bancari internazionali alle prospettive della finanza pubblica se il nostro Paese rimarrà la parte più debole del sistema monetario europeo, per finire con i vincoli paralizzanti dei “professionisti”, nazionali e non, della trasparenza e dell’anticorruzione. Una riflessione sulla sovranità italiana a “valle” del voto politico del 4 marzo.

di Giuseppe Brienza – Mauro Rotellini

«Il tempo stringe per l’Italia, bloccata in una deflazione da debiti e alle prese con una crisi bancaria che non può affrontare con i vincoli paralizzanti dell’unione monetaria». Così ha scritto ormai un anno e mezzo fa il direttore della sezione affari economici e finanza internazionale del noto quotidiano di Londra “The Telegraph”. Il pezzo, riportato a suo tempo su questo giornale (cfr. Giuseppe Brienza, L’Italia e l’euro: una storia segnata da un destino tragico. O no?, in “La Croce quotidiano”, 18 maggio 2016, p. 6), campeggiava sulla testata inglese con un titolo addirittura esplosivo: “L’Italia deve scegliere fra l’euro o la propria sopravvivenza economica” (cfr. Ambrose Evans-Pritchard, Italy must choose between the euro and its own economic survival, in “The Telegraph”, 11 maggio 2016).

La percentuale del debito rispetto al Pil nazionale, in effetti, come ha documentato nella sua disamina l’editorialista britannico, sta continuamente salendo negli ultimi anni nel nostro Paese, passando dal 121% nel 2011 al 123% nel 2012, 129% nel 2013 e 132,7% nel 2015.

In una recente conferenza lo storico e filologo Luciano Canfora ha avuto la franchezza e il coraggio di porre la questione nei suoi precisi termini politico-costituzionali dichiarando testualmente: «in Italia le decisioni sull’economia sono prese in luoghi che non hanno il riscontro di un suffragio».

Per questo motivo, secondo il noto intellettuale di sinistra (Canfora è tra l’altro membro della Fondazione Istituto Gramsci), da noi «la democrazia è stata confiscata» (cit. in Federico Cenci, Canfora: “Riforma costituzionale? Una confisca della democrazia”, in agenzia “Zenit”, 24 novembre 2016). Non ci troviamo forse dinanzi a denunce del tipo di quelle che in passato sono state rapidamente liquidate perché provenienti da uno studioso formatosi “dalla parte sbagliata” (era vicino al Movimento sociale italiano) come Giacinto Auriti (1923-2006)?

Eppure il giurista, saggista ed economista abruzzese, noto per avere elaborato una personale teoria monetaria da lui denominata “del valore indotto della moneta” ed avere – con altri – fondato l’università di Teramo, continua a parlarci con frasi decisamente pessimistiche ma molto realistiche come la seguente: «senza sovranità monetaria le nuove generazioni non avranno altra scelta che quella tra il suicidio o la disperazione».

La trasposizione in luoghi non elettivi delle decisioni economico-finanziarie è un processo storico che in effetti risale almeno dal 1992, dalla firma cioè del trattato dell’Unione Europea, più noto come “trattato di Maastricht”, firmato il 7 febbraio 1992 nell’omonima cittadina dei Paesi Bassi, dai dodici paesi membri dell’allora Comunità Europea, oggi Unione europea. Tale strumento giuridico fissa le regole politiche e i parametri economici e sociali necessari alla realizzazione dell’unione economico-monetaria europea.

Il fatto di ricorrere oggi alle parole di due intellettuali molto distanti fra loro, uno di sinistra come Canfora e uno di destra come Auriti, ci sembra una utile introduzione quindi all’argomento che vorremmo trattare in questo articolo: il processo di svuotamento della sovranità, anche economica, dei singoli Stati nazionali.

Un processo che sarà ulteriormente accentuato se le legislazioni dei vari Paesi Ue continueranno ad essere una semplice trasposizione delle direttive provenienti dalla Commissione di Bruxelles o dalla Banca Centrale Europea (Bce), scavalcando quindi la reale capacità d’influenza sui temi economico-monetari non solo dei cittadini ma anche degli organismi parlamentari regolarmente eletti previe procedure democratiche.

Non si può, in effetti, liquidare come nazionalista o come populista chi segnala almeno l’anomalia di chi, volendo dettare gli “input” nazionali sulla legislazione sulla trasparenza e sull’anticorruzione, sia poi coinvolto in prima persona su tali delicati argomenti. Pochi in Italia hanno saputo, per esempio, che da pochi giorni è stato arrestato il governatore della Banca centrale della Lettonia, Ilmārs Rimšēvičs, che era anche membro di lunga data del consiglio direttivo della Bce (cfr. Sfiora la Bce lo scandalo di corruzione in Lettonia, in “L’Osservatore Romano”, 19-20 febbraio 2018, p. 2). Rimšēvičs era in effetti alla guida della Banca centrale lettone da ben sedici anni e, non a caso, è stato proprio lui che ha “accompagnato” la Lettonia nell’euro il primo gennaio di quattro anni fa.

Ora la domanda sorge spontanea, come direbbe Lubrano: in che posizione era la Lettonia che vede clamorosamente mettere in prigione una personalità così importante fra quelle che sono oggi le “leve” più importanti del potere? Come pensare il ruolo della magistratura nazionale, in situazioni di carenza di sovranità politica, in relazione ai fenomeni di corruzione? E come valutare, infine, la situazione italiana in relazione ad un criterio molto amato dai nostri concorrenti del Nord Europa, cioè la “corruzione pubblica”? Su quest’ultima domanda ci soffermeremo in questo articolo, rimandando un tentativo di risposta a proposito del ruolo degli organismi giudiziari in contesti di “crisi della democrazia” in un prossimo contributo.

In materia di fenomeni corruttivi pubblici, una delle fonti di riferimento comparatistiche più conosciute a livello internazionale è l’Indice di percezione della corruzione (“Corruption Perception Index” – CPI), regolarmente elaborato dall’organizzazione privata Transparency International. Sulla base dei dati relativi al 2017, in particolare, ci è stato detto che l’Italia ha “migliorato” la sua posizione mondiale nella graduatoria CPI, ma cosa significa effettivamente una tale notizia?

In effetti non è chiarissimo. Si tratta di un “indice di percezione” e, pertanto, non fotografa la corruzione reale (che in effetti non è facile da cogliere) ma come questa viene avvertita da una selezione di uomini d’affari e di esperti nazionali che si relazionano con le amministrazioni pubbliche.

Il presidente di Transparency International-Italia ha dichiarato che, a seguito della legge Severino del 2012, nel nostro ordinamento «sono stati fatti diversi progressi, tra cui l’approvazione delle nuove norme sugli appalti, l’introduzione dell’accesso civico generalizzato e, soprattutto, la recente legge a tutela dei whistleblower. Non va neppure trascurato l’importante lavoro svolto da ANAC [l’Autorità nazionale anticorruzione fondata nel 2012] per prevenire il fenomeno e garantire un migliore funzionamento delle amministrazioni pubbliche».

Ora non vogliamo addentrarci nell’esame degli esempi portati da Transparency per suffragare l’attendibilità delle sue graduatorie. Sarebbe troppo lungo anche se, ad esempio, potrebbe essere molto interessante soffermarsi sullo stravolgimento dell’ordinamento giuridico imposto dall’ANAC e dalle straordinarie competenze attribuite a tale ennesima “autorità amministrativa indipendente” nel tempo (il suo attuale presidente è il magistrato di sinistra Raffaele Cantone).

Ci sembra di poter dire, però, che questo indice CPI, il quale ovviamente non va sottovalutato, abbia comunque una visuale un po’ sfalsata. Innanzitutto perché prende in esame solo la parte relativa alla “amministrazione attiva” dello Stato, dimenticando tutto il resto. Prendiamo ad esempio il caso della recente condanna dell’immobiliarista Stefano Ricucci, arrestato nel 2016 dalla Guardia di Finanza per un’inchiesta su un giro di fatture false. Ebbene si tratta in realtà di una inchiesta in cui è finito agli arresti domiciliari anche un giudice della Commissione Tributaria del Lazio!

Come dimenticare poi le inverosimili vicissitudini di chi aspetta una decisione giudiziaria dopo 20 o 30 anni, documentate da tante associazioni come ad esempio l’AIVM, l’Associazione Italiana Vittime di Malagiustizia (cfr., fra gli altri: Il Caso Di Calogero Ponticello, in https://aivm.it/, 7 ottobre 2014)? Tutto questo non per un amaro mal comune mezzo gaudio ma solo per segnalare che il ruolo della magistratura in Italia non può limitarsi solo alla funzione repressiva, ma deve fare un salto di qualità. Deve migliorare essa stessa come funzione dello Stato al servizio del bene comune.

Quello che si richiede alla magistratura è, in definitiva, di migliorare i propri standard. Di fronte a casi come quelli pubblicati quasi ogni giorno sul sito AIVM, ad esempio, la magistratura dovrebbe reagire con prontezza. Al contrario, ancora la sentenza 4/2017 della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, a fronte di un caso in cui sono venuti in rilevo violazioni dei doveri di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo, equilibrio e rispetto della dignità della persona, i quali hanno arrecato «ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti» si limita ad irrogare la semplice condanna della “censura” (cfr. www.csm.it). Parliamo quindi del provvedimento disciplinare minimo per il magistrato responsabile.

Ed ancora, cosa penserebbe il Presidente di Transparency International-Italia del fatto che, un tale disservizio, secondo la decisione del CSM, non integrerebbe «l’illecito disciplinare fuori dell’esercizio delle funzioni per l’uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sé o per altri»? In pratica oggetto della sentenza 4/2017 è stata la condotta del giudice delegato ai fallimenti che aveva chiesto ad un curatore di sua conoscenza di favorire l’acquisto di un piccolo natante di proprietà di un commercialista amico del primo, prospettando al curatore medesimo la possibilità di favori connessi alle procedure fallimentari.

Ecco, questi sono solo alcuni esempi che sembrano comunque esemplificativi ad evidenziare quali siano i valori in gioco. Non solo di sola “percezione”, quindi, vive una democrazia…