Il cazzotto del barbone: quando fare la carità diventa difficile

Dal sito Breviarium 14 Febbraio 2018

di Lucia Scozzoli

 Ci sono condizioni di vita che scarnificano, abradono via ogni scorza di menzogna, buona o cattiva, ogni ipocrisia di protezione, ogni manierismo di facciata. A volte la chiamano follia, tanto è acida la verità che ci viene posta davanti senza filtri.

Un clochard a Milano, in via Marghera, rovistava in un martedì qualunque dentro un bidone dell’immondizia. Un bancario passa, lo vede, prova pietà, vuol fare qualcosa. Allora apre il portafoglio, tira fuori 5 euro e glieli porge. Ma il clochard si infuria inaspettatamente. I due discutono, il barbone sferra un pugno, l’altro gli dà una spinta. Una caduta scomposta all’indietro, la testa che batte sul marciapiede e il barbone finisce in coma. Disperazione del bancario, ricoverato anche lui per l’agitazione su un cuore già con qualche patologia cardiaca pregressa.

Perché?

Non lo sappiamo, ogni cuore è un insondabile mistero, ogni mente un incomprensibile groviglio. Possiamo fare qualche discorso generale, lasciando in pace questi due uomini, venuti a collisione in modo così improvviso, travolti da una catena di reazioni reciproche dagli esiti infausti. Su di loro, possiamo e dobbiamo solo tacere lo sgomento, immaginandoci la disperazione di trovarsi carnefici mentre si voleva essere samaritani. Cercare di essere buoni e generare cose cattive. Desiderare il bene altrui e procurarne il male.

È ahimé solo una esemplificazione della condizione umana, questa vissuta dai due: un bisognoso che non sa esprimere il suo bisogno e un benefattore che non sa come fare il bene. Nel confronto tra i due, scoppia la guerra.

Molti barboni non sono tali per motivi prettamente economici, o certamente non solo: tra di essi esiste una marea di diseredati senza speranza, che non si sentono più di appartenere al genere umano e non sanno nemmeno più come si fa a porsi in relazione.

I senza tetto in Italia sono oltre 50mila: l’85,7% sono uomini, il 58,2% sono stranieri, il 75,8% ha meno di 54 anni.

Già su queste tre percentuali ci sarebbe da riflettere lungamente: gli uomini sono forse meno protetti contro le avversità aspre della vita, sono meno aiutati dalle strutture statali rispetto alle donne, le quali spesso si accompagnano anche a figli minori e quindi hanno più diritti all’accoglienza dagli enti preposti. Forse gli uomini sanno anche reagire con meno umiltà delle donne alle prove più dure, si rinchiudono in una piccata solitudine, accettano meno facilmente l’aiuto, soprattutto se non percepito come rispettoso della loro dignità. Forse c’è anche il fatto che le donne disperate cedono all’ “opportunità” che gli uomini non hanno della prostituzione: vendono se stesse per campare.

Più della metà dei senza tetto è straniera, a fronte di una popolazione straniera dell’8%: vengono qua con tante speranze, ma ben pochi trovano il modo di realizzare il sogno di una vita dignitosa. Uno straniero ha 20 volte più probabilità di diventare un senza tetto rispetto ad un italiano. Ci sentiamo certo un po’ invasi, questa immigrazione incontrollata inginocchia il paese, tutto vero. Però è anche vero che chi si riduce barbone è di solito anche proprio l’onesto, che non si è piegato a delinquere per vivere, quindi la pietà che si deve ai clochard è assolutamente indipendente dal colore della pelle. Inoltre spesso la polvere e il sudiciume rende tutti marroncini, in un’uguaglianza al ribasso tragica.

I barboni non invecchiano: la vita è grama, d’inverno il freddo è pungente, d’estate il caldo soffocante, i pasti non sono regolari, la cura della propria salute inesistente, per non parlare dell’igiene. Il corpo cede assai prima del tempo, e non sono finzioni. Ricordiamo che solo il 60% dei senza tetto riesce a dormire almeno una volta al mese in una struttura di accoglienza notturna.

Il 14,1% degli intervistati per la rilevazione statistica della Caritas ha avuto difficoltà ad interagire con gli operatori, per problemi di comprensione linguistica (29,7%) ma soprattutto per problemi legati a limitazioni fisiche o a disabilità evidenti (insufficienze, malattie o disturbi mentali) e/o dipendenze da droghe o alcool. Quindi il disagio psicologico dei senza tetto è un dato di fatto grave.

Don Oreste Benzi era l’angelo anche dei barboni: li andava a cercare per le strade, era consapevole del fatto che la loro disperazione li teneva lontani dalle comunità, non sarebbero mai venuti da soli. Li cercava nelle notti fredde, li avvicinava e li amava. Primariamente li amava.

A noi, gente borghese col piatto pieno e il letto morbido, pare che il problema principale di un barbone sia non avere vitto e alloggio, sorridiamo con sufficienza all’immagine di questo prete sdrucito che gira per le strade con un sorriso tarlato ma aperto a questi derelitti. Non allunga pagnotte o coperte, bensì ascolto e abbracci.

Il barbone di Milano non gradiva offerte in denaro, chi abitava nella zona lo sapeva, forse avendo già sperimentato le sue reazioni scomposte di fronte ad un’elemosina. Chissà cosa gradiva allora. Chissà se lo sapeva, se ne aveva consapevolezza, del proprio autentico bisogno. Bisogno di essere riconosciuto come uomo, rispettato come individuo con una dignità, amato.

don Oreste Benzi

Quando andavo all’università, prendevo sempre l’autobus in piazza Malpighi. Sotto i suoi portici, stazionava un barbone sdentato e sorridente, con una motocicletta usata come carriola, stracarica di coperte e un paio di padelle. Già a cinque metri di distanza, si poteva avvertire il suo odore di sudore. Non chiedeva nulla, non sembrava avere bisogno di nulla, ma io provavo sempre una grande vergogna in sua presenza, vergogna per il mio benessere avvertito improvvisamente come fuori luogo, superfluo, irrispettoso. Un giorno mi avvicinai e gli allungai 10mila lire. Egli sorrise e mi disse che, se servivano a me, li potevo tenere. Forse gli facevo l’impressione di una spaurita ragazzina rinsecchita, magari pure affamata, nella mia magrezza spenta, piegata sotto il peso di una borsa stracarica di libri e appunti. Forse il mio sguardo era più insicuro del suo, la mia vita più fragile.

Mi schermii, scappai via sull’autobus: in fondo mi ero sentita offesa da quel suo tentativo di contro-dono, metteva in risalto la mia povertà interiore, la mia meschinità per essermi sentita superiore a quell’uomo solo perché avevo due soldi nel portafoglio.

Il barbone di piazza Malpighi era inspiegabilmente un uomo felice, ma i più sono invece tristissimi e arrabbiati, attoniti in un dolore acuito dalla solitudine che non li fa più pensare, quando non inebetiti e storditi dall’alcool o dalla droga. Le buone maniere, l’empatia verso il prossimo, la capacità di comportarsi in modo idoneo alle situazioni diventano una chimera perduta. La verità del loro bisogno d’amore li crocifigge nell’isolamento. Respingono i nostri soldi, o li accettano con disprezzo di noi o di se stessi. Diceva san Francesco De Paoli che bisogna farsi perdonare il bene che si fa, altro che pretendere riconoscenza!

Non di solo pane vive l’uomo: queste parole risuonano di un significato profondo, di fronte alla vicenda del borghese e del barbone.